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Siamo di nuovo, ancora una volta, ad essere buttati fuori dalla possibilità di una ricerca e di una testimonianza, da una realtà di lotta e d'Amore - quindi dalle condizioni chiare, allo scoperto, di una presenza viva e vissuta nella Chiesa, attraverso la carta stampata. Il Consiglio Particolare della Conferenza Vincenziana della nostra città, al quale appartiene la testata «Voce dei poveri» ci ha chiesto di restituire il periodico.
Non facciamo nemmeno un accenno di discussione. Non intendiamo fermarci a vagliare le ragioni o i torti. L'altra volta a spengere questa povera «voce» fu l'autorità ecclesiastica e allora pensammo che l'obbedienza era fattore indispensabile e insostituibile per l'unità alla Chiesa o, per essere più esatti, perché il proprio impegno e fatica non risultassero fatto personale, individualistico, ma realtà di Chiesa. Non avevamo ancora pensato o almeno non ancora responsabilmente chiarito che l'unità è la continuità, paziente e perseverante, di una rinnovazione. E' realizzabile soltanto a seguito e attraverso un morire e un immediato risorgere. O, meglio ancora, un morire che porta in sé un vivere più vitale, più pieno, più vero.
Concludere non è mai mistero cristiano. Il morire senza il crescere e moltiplicarsi di vita non è della creazione e tanto meno del Vangelo.
La spessissima citata frase di Gesù del chicco di frumento che se non cade in terra e non muore non porta frutto: chi la cita così volentieri per spiegare e giustificare che bisogna morire fino al punto che sia benedetto chi questo compie e se ne stia in pace chi questo morire deve subire, evidentemente non pone mente di quale e quanta potenza esplosiva sia caricata questa affermazione di Gesù.
E' il morire che porta in sé ed ha la sicurezza di vivere di più, d'essere più vivo, di moltiplicare la vita. Il disperdersi che crea una nuova unità e una nuova molteplicità. Il chiudersi di una strada finita che apre una strada nuova.
Il concludere unicamente per ricominciare.
Il morire per risorgere.
Lasciare perdere l'uomo vecchio perché viva l'uomo nuovo.
E' legge bellissima, ma difficile per tutti.
Da qualche tempo abbiamo scelto e deciso di accettarla questa legge e di cercare di conformare la nostra vita lasciandoci determinare e costruire dalla carica potente di Amore che porta in sé e dalla capacità di forza e di speranza che sprigiona.
Abbiamo paura quando il disegno di Dio su ciascuno di noi ci porterà fisicamente, storicamente, al momento in cui questo Mistero cristiano del morire per la vita, ci brucerà personalmente e ci seppellirà.
Abbiamo paura come ogni animale ha paura. Ma abbiamo fiducia che, come la dolce bontà di Dio ha sostenuto e sostiene i fratelli che anche in questo momento chiama alla spietatezza d'Amore di questa legge di morte-vita, sosterrà anche noi, se succedesse che qualcosa ci possa essere richiesto.
Nel frattempo, nella nullità del nostro vivere attuale, nella vicenda che ci riguarda personalmente, nella limitatezza di lotta che possiamo essere chiamati a sostenere, sia all'interno della Chiesa che nella condizione civile e politica, lotta che richiede così poco coraggio e che comporta rischi così poco rischiosi per i livelli di scontro che è scontro più di burattini che di uomini, più di parole che di fatti, più di contingenze che di storia, in questo frattempo e pur stando così le cose, intendiamo giocare il tutto per tutto.
E quindi accettiamo di morire con tutte le buone usanze e devozioni, ma non intendiamo sparire, non esistere più, essere cancellati dalla vita.
Questo avverrà quando a chi tiene in mano e unicamente le sorti della vita, piacerà disporre, secondo la sua Volontà che, lo crediamo totalmente, è sempre Amore, del nostro vivere e cioè del nostro vivere di qui o di là, in un modo o in un altro.
Ma come crediamo che non sarà mai la morte, ma sarà l'inizio di nuova vita e cioè continuità di vita in modi e misure diverse (è sempre la vita dì Dio che si manifesta e vive come un segno prima, come realtà dopo) così crediamo che questa Fede nella vita deve manifestarsi e deve essere testimoniata anche nelle contingenze d'ogni ricerca umana.
La risurrezione è sempre fondamento e riprova della fede cristiana. E deve essere sempre determinante nel vivere quotidiano come nel vivere totale della vita.
E' così che il cristiano può e deve essere Tuo mo che non muore mai perchè risorge continua mente. E che accetta serenamente di morire perchè porta già in sé la resurrezione.
Così dovrebbe essere per la Chiesa, nella quale la conservazione o mummificazione delle cose, delle leggi, delle Istituzioni, ecc è non accettare di morire per una non Fede nella resurrezione.
Ma lasciamo andare, per il momento, questo discorso e torniamo alle nostre povere e piccole cose che desideriamo molto però che non siano a livelli banali, o trattate e vissute con criteri di mediocrità di giudizio, fatto di mentalità grette e di visuali a palmo di naso.
Almeno per quello che riguarda noi.
Ed è molto bello scoprire che anche nella insignificanza di ciò che non è niente, vi può essere dentro, anzi vi è certamente, la Verità essenziale e la vastità della misura di Dio.
Vorremmo tanto vivere nel nostro nulla tutto il mistero e la responsabilità dell'esistenza, nel nostro piccolo i valori universali, nel nostro essere cristiani qualcosa di tutto quello che è Cristo.
Almeno come segno, almeno come valore di parabola, come qualcosa che si racconta per aiutare a capire la Verità, così sempre misteriosa» mente nascosta.
Essere almeno qualcosa come quelle poche parole che raccontano del chicco di grano, che muore e che non muore, perchè muore unicamente per portare frutto.
E vorremmo, per quanto da noi dipende, e se così piacerà alla dolce Bontà di Dio, che questo racconto di fiducia e di speranza, andasse avanti e raccontasse che realmente la spiga è cresciuta, si è colmata e traboccata, è diventata d'oro sotto il sole di estate ed è stata mietuta e riposta con gioia grande nel granaio. Per essere più pane e pane spezzato per la fame di tutti.
Molte cose, pensiamo, fra noi cambieranno. e Dio voglia che sia crescita, come l'altra storia del chicco di senape che diventa albero.
Siamo sulla strada - e chi è che non si sente sulla strada?
Si arriva ad un punto, ma unicamente per ripartire. Nonostante la stanchezza, la fatica e la incertezza.
Riprenderemo appena possibile, a raccontare anche con carta stampata, la nostra avventura. Ma non perchè sia più importante e ne valga la pena.
E' perchè questo raccontare fa parte del nostro camminare.
Questo scrivere rientra in una realtà di lotta. E' sentirci di più nella trincea di una guerriglia di liberazione. Di più esposti al rischio. Di più nella possibilità di morire e di risorgere... Di più nella ricerca di una sincerità cristiana, d'una realtà di Amore, di una forza di Fede...
Ci dispiace se chi si può rallegrare perchè non gli arriverà più a scocciarlo la Voce dei Poveri, si troverà di nuovo fra mano un altro foglio che evidentemente sarà più allo scoperto perchè la responsabilità sarà interamente nostra e cioè non più condizionata dal doveroso rispetto verso i proprietari della «Voce dei Poveri».
Agli amici che come noi possono averne sofferto come si soffre di ogni esperienza di chiusura, di imposizione, di incomprensione ecc. chiediamo la continuità della loro amicizia per un camminare insieme: è come stringerci insieme e tenerci gli uni gli altri quando si cammina sulla strada o sul sentiero di montagna e il vento tira forte da far paura.
La nuova testata che vorrebbe essere intensa mente programmatica ed impegnativa, dovrebbe essere «Lotta come Amore».
Arrivederci, ma ogni giorno e ad ogni passo in questa lotta come Amore.

La Redazione


in La Voce dei Poveri: La VdP novembre 1971, Novembre 1971

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