Don Beppe Socci 1939 - 1998

Biografia
La sua vita dedicata ai deboli, il modo caldo di fare, le tante esperienze che ha intrecciato, hanno fatto di Don Beppe Socci un punto di incontro fra persone di diversa generazione e provenienza sociale. Una persona che i viareggini hanno amato in maniera speciale.
Il denominatore comune delle esperienze da lui vissute è stato l'ostinato non arrendersi di fronte alle ingiustizie, la mano sempre tesa a chi era sopraffatto dalle difficoltà del vivere.
Don Beppe nasce nell'aprile del 1939 a San Casciano Val di Pesa, dove trascorre un'infanzia felice. Quando il padre muore all'improvviso d'infarto mentre si reca al suo lavoro di fattore, il clan familiare si stringe intorno al bambino e alla mamma in una gara di affettuosa solidarietà che rimarrà per lui fonte di ispirazione costante.

DON BEPPE ARTIGIANO
Entrato giovane nel seminario di Firenze, nel '62 legge un libro di don Sirio Politi, il primo prete operaio italiano che lavorava ed abitava nella darsena di Viareggio. Chiede di conoscerlo e attratto dal suo stile di vita decide di seguirne l'esempio.
Ordinato prete, fa il bracciante agricolo nelle colline del Chianti e si trasferisce a Viareggio nel '69 per unirsi alla piccola comunità di uomini e donne alla quale Don Sirio aveva nel frattempo dato vita. Vivono nel quartiere Bicchio, nella parte Sud della città.
L'anno seguente diventa pescatore, un mestiere, come scriverà "antico e duro, che ha conservato un suo carattere primitivo. Il vento e la pioggia, il giorno e la notte, la bonaccia e il marettone lo rendono dipendente dalle forze della natura". Qualche anno più tardi farà il manovale in un cantiere navale.

DON BEPPE PADRE
Nel '75 decide di lasciare la comunità per andare a vivere per conto proprio seguendo un impulso del cuore: prendersi cura di quattro fratellini (dai 5 agli 11 anni) che in seguito a un grave episodio di cronaca nera si erano trovati improvvisamente senza genitori. Ne ottenne l'affidamento attraverso Gianpaolo Meucci, allora presidente del Tribunale dei Minori di Firenze e suo caro amico. Li tenne con sé fino all'adolescenza, in attesa che la loro difficile situazione familiare si sistemasse.
Sono anni in cui, a partire dall'esperienza che sta vivendo, propone con forza la tematica dell'affidamento familiare, coinvolgendo un giro sempre più vasto di famiglie sensibili alla proposta di farsi carico temporaneo di minori in difficoltà. Viareggio diventa in poco tempo la prima città toscana per numero di affidi.
Se nei primi anni si destreggia come può fra le incombenze domestiche e la cura dei piccoli, in seguito riprende in mano anche il filo lavorativo.
L'occasione viene nel '79 quando Don Sirio gli offre di partecipare a una nuova avventura: un laboratorio artigianale da fare sorgere in un grande capannone nel cuore della Darsena. Beppe vi si recherà a lavorare a mezza giornata facendo l'impagliatore di seggiole. Durante il giorno molte persone si recavano nella nuova struttura a fare una chiacchierata. Capitò che qualcuno chiedesse loro di ospitare a "lavorare" nel laboratorio il figlio handicappato: da allora il numero delle persone con disagio crebbe e il laboratorio, specie dopo la morte di Don Sirio, perse l'identità artigiana per ospitare la C.R.E.A., una cooperativa di servizi sociali.
Don Beppe rimane a lavorare in cooperativa come operatore la mattina e come artigiano impagliatore il pomeriggio. Nel frattempo i figli in affidamento crescono e tornano alla casa paterna e lui a sua volta torna a vivere con Don Sirio e don Luigi alla Chiesetta del Porto in Darsena.


UNA PARROCCHIA COME FAMIGLIA
Il 1988 segna per lui un'importante novità: il vescovo lo nomina parroco della chiesa dei "Sette Santi Fondatori" in Darsena. Beppe riversa nella parrocchia le stesse cure che aveva dato ai suoi ragazzi creando un continuum fra due momenti della sua vita. In pratica per lui la parrocchia è stata come una famiglia e questo stile, questa capacità di accudimento vengono recepiti e fra la gente si alimenta la capacità di intrecciare relazioni. Fra l'altro è presente sul territorio un pensionato per anziani del quale Don Beppe in quanto parroco è il presidente: anche lì farà di tutto, e con successo, per legare il pensionato alla realtà del quartiere.

L'IMPEGNO PACIFISTA
Accanto al tenere insieme, al fare famiglia Beppe riesce a vivere un'altra parte della sua personalità: pacifista convinto, in occasione della guerra del Golfo anima a Viareggio i comitati per la pace e riprende con lena la sua lunga battaglia contro i cappellani militari. Per mantenere viva la mobilitazione decide di dare luogo a una "Scuola per la Pace" che per alcuni anni organizza lezioni e convegni.
Nel frattempo, per rendere la pace una realtà concreta, dà nuova vita a un'associazione già esistente l'A.R.C.A. In questa imbarcazione fa lentamente confluire le creature che incontra: apre in Darsena, alcuni pomeriggi la settimana, una bottega delle seggiole impagliate dove far incontrare volontari e persone con disagio creando un posto semplice, umile, dove si lavorava e si stava insieme, un punto di riferimento vivace nel tessuto sociale del quartiere. L'associazione dà anche l'avvio al progetto di creare a Viareggio una casa famiglia per ospitare i portatori di handicap che con il passare degli anni e l'inevitabile morte dei genitori rimangono soli.
Nel pieno delle sue attività, mentre stava ancora impastando la vita, il 19 gennaio 1998 un infarto lo coglie di mattina, mentre si reca al lavoro. Morirà dopo poche ore, in ospedale.

UNA CITTA' IN LUTTO
Migliaia di persone, inconsolabili, accorrono a vederlo, si svuotano i posti di lavoro, la Darsena si affolla di gente unita da un nuovo senso di fraternità. Il sindaco dichiara mezza giornata di lutto cittadino per consentire ad ognuno di recarsi alla Chiesetta del Porto a rendergli l'ultimo omaggio.
Il giorno dei funerali i negozi chiusi per lutto, le bandiere nere issate sui pennoni delle barche dei pescatori, gli striscioni dei consigli di fabbrica, i gonfaloni del Comune che seguivano il feretro, tutto raccontava la ferita della città.
Ma la morte non chiude la storia e la sua memoria continua ad essere viva fra gli abitanti di Viareggio.


Maria Grazia Galimberti

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