Il Sacerdote: la scintilla sul roveto

Teilhard ha pronunciato i voti solenni nella compagnia di Gesù il 26 Maggio 1918 in una breve parentesi del servizio militare e del suo lavoro di porta-feriti in prima linea durante la guerra. Era sacerdote da sette anni. La vita del fronte, la meditazione dell'uomo preso nella tormenta della violenza, della distruzione e della morte, erano state la sua preparazione a quel momento e a quell'impegno.
«Sto per fare voto di povertà: non ho mai capito così bene come ora fino a qual punto il denaro possa essere un mezzo potente per il servizio e la glorificazione di Dio. Sto per fare voto di castità: non ho mai capito così bene come ora fino a qual punto l'uomo e la donna possano completarsi l'un l'altro per elevarsi a Dio. Sto per fare voto di obbedienza: non ho mai capito così bene come ora fino a qual punto Dio renda liberi al suo servizio».
Come prete sogna di vedere estratto da tante ricchezze inutilizzate o pervertite tutto il dinamismo che racchiudono in sé. Vuole essere il primo a cercare, a simpatizzare, a faticare; il primo a schiudersi e a sacrificarsi, più ampiamente umano e più nobilmente terrestre di nessun'altro servitore del mondo. «Voglio da un lato immergermi nelle cose e, mischiandomi ad esse, sprigionarne attraverso il possesso fino all'ultima particella di ciò che esse contengono di vita eterna, affinché nulla si perda.
E voglio nello stesso tempo con la pratica dea consigli evangelici ricuperare nella rinunzia tutto ciò che racchiude di fiamma celeste, la triplice concupiscenza, santificare nella castità, nella povertà, nell'obbedienza la potenza contenuta nell'amore, nell'oro e nell'indipendenza». La gioia e la forza di questo prete è di aver rivestito i suoi voti e il suo sacerdozio di uno spirito di accettazione e di divinizzazione delle potenze della terra.


SALVEZZA UNIVERSALE

Secondo Teilhard ogni prete, perchè prete, ha dedicato la propria vita ad un'opera di salvezza universale, se è cosciente della propria vocazione, non deve più vivere per sé, ma il mondo, secondo l'esempio di Colui che il prete è stato consacrato a rappresentare. Anima vera del mondo vuole affermare a coloro che incanta la nobiltà dello sforzo umano in nome di Cristo, che il lavoro degli uomini è sacro, sacro nella volontà che l'uomo sottopone a Dio, e sacro nella grande opera che egli elabora nel corso dei suoi infiniti brancolamenti: la liberazione naturale e soprannaturale dello spirito. «A coloro che sono vili, timidi, puerili o angusti nella loro religione voglio ricordare che lo sviluppo umano è richiesto dal Cristo per il suo corpo, e che c'è, nei confronti del mondo e della verità un dovere assoluto della ricerca».
Questo dovere assoluto della ricerca è in sostanza per lui una ricerca continua, nella realtà visibile della creazione, della Parola che vi si è incarnata, del figlio di Dio diventato figlio dell'uomo, del regno di Dio che è già in mezzo a noi e che tuttavia deve essere pazientemente cercato e realizzato.
Teilhard più va avanti nella vita e più sente che il vero riposo consiste nel rinunciare a se stessi, cioè nell'ammettere risolutamente che non ha nessuna importanza essere felici o infelici. Riuscita o soddisfazione personale non meritano che ci si fermi in esse, se si hanno: né che ci si disturbi se fuggono o mancano. Vale solo l'azione fedele per il mondo, in Dio. La grande gioia nella vita di quest'uomo di Dio fu di essere caduto come una scintilla su di un roveto. «Che il nostro essere sia teso e tutto ardente verso ciò che è lo spirito in tutto, e questo spirito si sprigionerà sotto il nostro sforzo oscuro e anonimo». La fiducia tenace che deve dominare e come coprire le forze che sentiamo in noi, anche se destinate all'oscurità o ad una cerchia ristretta, sta nell'essere coscienti che sono nate in noi e che portano a Dio l'omaggio del mondo. Non si preoccupa questo prete del risultato, ma piuttosto della fedeltà continua nello sforzo anche oscuro e anonimo per rendere attorno a sé il mondo meno duro e più umano.


PIENAMENTE UMANO

Teilhard non vede, per la sua vita di uomo di Dio, se non una sola via di uscita: andare sempre avanti, credendo sempre di più. «Che il Signore mi mantenga solamente il gusto appassionato del mondo, una grande dolcezza, e mi aiuti ad essere fino in fondo pienamente umano». Un prete non pienamente umano non è un prete. Ed essere pienamente umano comporta patire la sofferenza, l'agonia, la fatica e la solitudine degli uomini, il mordente del male nella storia e nella natura, dal quale il Cristo, primizia del sacerdote, è venuto a liberarci: «Il mondo, in certi giorni, ci appare come una cosa spaventosa: immensa cieca e brutale. Ci sballotta, ci trascina, ci uccide, senza fare attenzione. Eroicamente, si può ben dirlo, l'uomo è pervenuto a creare, fra le grandi acque fredde e nere, una zona abitabile in cui pressappoco è chiaro e fa caldo e dove gli esseri hanno un viso da guardare, delle mani per addolcire, un cuore per amare. Ma quanto questa dimora è precaria! Ad ogni istante da tutte le fessure, la grande cosa orribile irrompe, quella di cui ci sforziamo a dimenticare che è sempre lì, separata da noi da un semplice tramezzo: fuoco, peste, tempesta, terremoto, in ogni scatenamento di forze morali oscure, che travolgono in ogni istante, senza riguardi, ciò che avevamo penosamente costruito e amato con tutta la nostra intelligenza e il nostro cuore. Mio Dio, poiché mi è proibito dalla mia dignità di uomo, di chiudere gli occhi in tutto questo, come una bestia o come un bambino, affinché io non soccomba alla tentazione di maledire l'universo e Colui che lo ha fatto, fai tu che io lo adori vedendoti nascosto in lui. La grande parola liberatrice, la parola che al tempo stesso rivela ed opera, ripetila, Signore: questo è il mio corpo».
E' la certezza che anche dietro il volto della distruzione e della morte è la mano creatrice di Dio ad animare la convinzione di questo prete che vede come operino senza stanchezze le realtà dell'annuncio evangelico, anche nel fragore delle catastrofi. «Tutto ciò che ci spaventa nella nostra vita, tutto ciò che ha costernato anche te nel giardino, non sono in fondo se non le specie o apparenze, la materia di uno stesso sacramento». Noi dobbiamo credere e creder tanto più forte e più disperatamente quanto più la realtà apparisce minacciosa e irriducibile. La fede è la sostanza delle cose: il grande tesoro umano e divino della Chiesa. Per partecipare di questa sostanza e per comunicarla a tutti gli uomini Teilhard si è fatto sacerdote rispondendo alla vocazione di uomo che segue il comandamento di Dio, scrutando e cercando nelle viscere della terra la carne palpitante della creazione. Sarà lui a dire un giorno: «se la Chiesa cade tutto è perduto». Questa chiesa dove trova dei consensi alla sua visione dell'universo e della vita dell'uomo, ma dove trova anche delle incomprensioni, dei sospetti, dei rifiuti, delle condanne sottaciute.
Continua a lottare senza amarezza e con immensa fiducia, «dal di dentro» sicuro che niente gli può impedire di amare e di adorare al massimo. Conserva facilmente la pace e vi trova la gioia: la gioia dell'uomo che sa di collaborare ad un lavoro comune, che porterà gli uomini al di là delle sofferenze che fanno sudare sangue nel giardino; al di là, in un mondo in cui gli uomini avranno veramente inteso che la creazione è opera e dono di Dio all'uomo, nelle sue apparenze visibili e nella sua realtà più segreta.


AMORE: CUORE DELLA MATERIA

L'amore è l'energia fondamentale della vita. Senza amore sta davanti agli uomini lo spettro del livellamento e dell'asservimento, il destino della termite o della formica. L'amore per Teilhard non è un non so che di aggiunto, un tremore misterioso e piacevole soprattutto ai primi passi, che ci sia dato per stabilire un rapporto sentimentale e di sensibilità con i fratelli o un rapporto pseudomistico con Dio, ma è il segreto vivificatore e vivificante di tutto l'uomo, anche nella carne e nel sangue, il cuore della materia. L'Amore per Iddio non viene a sovrapporsi o a contrapporsi allo slancio naturale verso gli altri che l'uomo porta dentro di sé, bensì è presente e operante nell'uomo che nasce alla vita, e purifica l'uomo, lo matura, lo colma a cominciare da quell'aspetto dell'unico amore che è il rapporto tra 1 uomo e la donna. L'uomo e la donna saranno più uniti a Dio quanto più si ameranno l'uno l'altro e si vedranno portati ad amarsi di più nella misura di quanto più apparterranno a Dio. «Sotto la pressione di questa nuova esigenza, la funzione essenzialmente personalizzante dell'amore si distaccherà più o meno completamente da ciò che ha dovuto essere per un certo tempo l'organo della propagazione, la carne. Senza cessare di essere fisico, per rimanere fisico, l'amore si farà più spirituale».
In questa prospettiva anche l'amicizia viene a rivelarsi con il suo volto più vero, questa comunione in una ricerca insieme che ci attira fuori di noi, oltre noi stessi. Gesù ha chiamato amici i suoi all'ultima cena, quando era per lasciare fisicamente, e l'amicizia si sarebbe realizzata nel compito comune. E se è vero che «non è bene che l'uomo sia solo» come ci ha confidato Dio nel Genesi non è tanto per ovviare alla malinconia dell'uomo, quanto perchè l'uomo ha bisogno dell'altro per andare incontro alla creazione e a Dio stesso. «Le grandi amicizie si stringono nel perseguimento di un ideale, nella difesa di una causa, nelle perizie della ricerca. Si sviluppano molto meno per la penetrazione di uno nell'altro che per un progresso a due in un mondo nuovo. L'Amore passione, anche spirituale, è per natura sua esclusivo o almeno molto limitato nel numero degli esseri che avvicina: è fondato sulla dualità. L'amicizia per struttura rimane aperta ad una crescente molteplicità».
Era lui Teilhard a scrivere alla cugina, dal fronte, piegato nel ridotto della trincea «tieni a mente che quel giorno alla mia messa mi ricorderò di te con molto affetto e una grandissima speranza che la nostra amicizia attuale non sia che un principio, comparata a tutto quanto ancora deve uscirne di buono e di forte per noi e per molti altri in Dio». Trovandosi vivo alla fine di una guerra che aveva fatto tante vittime «se qualche cosa mi fa apprezzare la vita salva che Dio mi ha lasciato alla fine di questi quattro anni, è proprio (con la speranza di lavorare per Lui) la dolcezza di una amicizia come la tua».


IL DONO DI DIO

I trenta anni silenziosi di Gesù a Nazaret sono espressi con tanta semplicità nelle parole evangeliche "Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia presso Dio e gli uomini". E' un dovere propriamente cristiano quello di crescere anche dinnanzi agli uomini, e far fruttare i propri talenti anche naturali. Crescere nella sapienza e nell'operosità, far fruttare i talenti, è partecipare al rigoglio di vita che continua ad animare e a sollecitare la creazione, riconoscere il dono della vita e della creazione in noi stessi e in ogni creatura. Questo dono di Dio che è la vita stessa nella sua pienezza e lievita senza soste la vita del singolo e della comunità e di tutta la creazione, continua Teilhard: « è una prospettiva essenzialmente cattolica quella di considerare il mondo come una potenza che va maturando, non soltanto in ogni individuo o in ogni nazione, ma nella totalità stessa del genere umano, una potenza specifica per conoscere e per amare, il cui termine trasfigurando è la carità. ma le cui radici e la cui linfa elementari sono la scoperta e la predilezione di tutto quanto è vero e bello nella creazione".
La sanità per una creatura è aderire a Dio al massimo delle sue potenze «e cos'è aderire a Dio al massimo se non adempiere nel mondo organizzato attorno al Cristo, la funzione esatta, umile e eminente alla quale per natura e soprannatura essa è destinata»?
In Gesù Cristo non c'è insensibilità. Egli è la pienezza dell'umano. Perciò il vicino, il prossimo, non gli diventa abitudine; e quanto alla vastità della creazione egli ha chiara coscienza ed esperienza della propria realtà umana che si prolunga in lei e attraverso lei perviene alla realtà del Padre. Così ogni uomo, lungo la sua vita presente non deve soltanto dimostrarsi obbediente, docile, con le sue fedeltà deve costruire, cominciando dalla azione più naturale di se stesso, un'opera in cui entri qualche cosa di tutti gli elementi della terra. Ritmo di esistenza in cui azione e contemplazione siano gli aspetti di una stessa Fede, di una stessa speranza, di uno stesso Amore.
E' nella partecipazione al lavoro di Dio che si realizza la comunione di lavoro tra gli uomini e la liberazione del lavoro stesso dell'uomo dalle varie alienazioni prodotte dall'individualismo e dal disamore, l'oppressione, lo sfruttamento, l'abiezione, l'ingiustizia, l'abbrutimento, l'arrivismo, la dittatura. E nell'azione che partecipa all'opera incessante di Dio che il mio cuore cresce e che si realizzano per gradi impercettibili l'immagine e la somiglianza.
La visione cristiana dell'uomo e della vita non tendono dunque a rimpiccolire e ad avvilire l'uomo, ma liberarlo piuttosto ponendolo di fronte alla realtà della sua compiutezza: «in nome della nostra fede abbiamo il diritto e il dovere di appassionarci delle cose della terra. Come voi (si rivolgeva ai non credenti) e anche più di voi io voglio votarmi, corpo e anima al volere sacro della ricerca. Saggiamo tutti i muri. Tentiamo tutte le strade. Scrutiamo tutti gli abissi».
Anzi è Dio stesso, presente senza vuoti di tempo e di spazio nella creazione sensibile, a sollecitale la nostra passione per la ricerca. E' Teilhard stesso a riproporci il discorso di Paolo all'Aeropago: «Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che vi si trova, il Signore del cielo e della terra, non abita in templi fatti dalla mano dell'uomo. Se da un principio unico egli ha fatto tutto il genere umano perchè abiti su tutta la faccia della terra; se ha fissato dei tempi determinati e dei limiti alle dimore degli uomini, è perchè essi cerchino la divinità per raggiungerla, sia pure andando a tastoni. E non è che Egli sia lontano da ciascuno di noi, giacché in lui abbiamo la vita, il movimento e l'essere». (Atti 17-28ss).
Commenta Teilhard «Egli ci avvolge dappertutto e così il mondo stesso. Che vi manca dunque, perchè possiate stringerlo? Una cosa sola: vederlo». Vederlo. Alla fine della sua vita chiarirà che cosa sia stato per lui vedere Dio.
«Il mondo, lungo tutta la mia vita, si è acceso a poco a poco, infiammato ai miei occhi fino a diventare, attorno a me, interamente luminoso dal di dentro».
Così vide ed amò Teilhard uomo e sacerdote di Cristo.




Don Rolando ("Teilhard de Chardin", Kati Canevaro)


in La Voce dei Poveri: La VdP giugno-luglio 1971, Giugno 1971

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