Sacerdozio e sacerdoti

La proposta a senso unico (meglio sarebbe chiamarla imposizione) di una figura sacerdotale tipo, offerta da quella macchina sempre più perfetta che è stata il Seminario, continua a condizionare la vita della Chiesa soffocata da schemi di una uniformità spaventosa. Ormai l'idea di un pluralismo di stile di vita sacerdotale è data per scontata, ma in pratica si continua ancora a condizionare l'ordinazione o la vita sacerdotale a canoni ben precisi che lasciano uno spazio di libertà ben angusto.
Nello spazio diocesano il porsi strada di offerte diverse da quelle tradizionalmente proposte, è fatica ancora iniziale, combattuta e spesso schiacciata dai Vescovi e più ancora dall'ottusa e interessata difesa dei valori tradizionali fatta dai preti. Un sistema centralizzato con un proprio apparato burocratico (le distinzioni tra Curia e Consiglio Presbiterale a questo livello si annullano) tende ad eliminare di per sé qualsiasi cosa che comporta un ascolto nuovo, una spinta ad incamminarsi ancora. I sacerdoti di questo sistema sono, come quelli del popolo di Israele, se non corrotti, perlomeno inetti, chiusi nel loro mondo senza vita.
Pure è il nostro stesso mondo dal quale tutti noi sacerdoti siamo usciti: è lo stesso dono che tutti abbiamo ricevuto. E raccogliere questo dono vuole che sia per essere nuovamente e pienamente donato a tutti, anche ai nostri fratelli nel sacerdozio. Offerta di un modo diverso di vivere lo stesso sacerdozio di Cristo, diverso non per contrapporsi, ma per allargare e crescere l'accoglienza di Lui.
Da qui un rapporto che continua, chiaro ed onesto con tutti i sacerdoti e con il Vescovo. L'essere inseriti nel tessuto diocesano per quanto basta ad essere accolti. Mai schiavi di questo fino al punto da rinunziare alla nostra ricerca e accoglienza di Dio, ma accettando fino in fondo il peso di una comunione che spesso significa solo essere dei poveri sfruttati nella Chiesa.
Questo spezza l'uniformità voluta e supinamente accolta, ed anche se è realtà respinta ai margini, è pur sempre ferita che non si rimargina, frattura che impedisce un ricomporsi tranquillo, un assestarsi per sempre.
Il vivere realtà diverse, noi sacerdoti di diversa età e provenienza, e il vivere in comunità, è offerta per una fiducia maggiore nella potenza unificante di una fede seria in Gesù Cristo.
Il sacerdozio nella parrocchia, nella vita di lavoro, nell'accoglienza di tutti, frantuma la figura tipica del sacerdote legata ad una funzione, ad una situazione precisa, confinata in moduli ormai così tanto consumati.
Non nasce di qui una nuova figura di sacerdote. E' una vita sacerdotale proposta ed offerta. Non è risposta alla crisi di identità del sacerdote di oggi, ma ricerca umile e seria di quell'unico sacerdozio che ci riveste. Nasce semmai l'indicazione di un insieme di motivi che rendono sacerdotale un'esistenza.
Condividere la condizione umana dei poveri, cioè di coloro che non godono di privilegi, che non hanno nessuna possibilità di difendersi, che non possono contare altro che sulle proprie braccia, sulla salute che dà Dio, sulla solidarietà e sulla misericordia degli uomini di buona volontà.
Vivere questa condizione unicamente determinati dal Vangelo, dall'annunzio a tutti che Cristo è il Signore. E bisogna veramente che lo sia in noi in misure sempre maggiori fino ad essere configurati a Lui che offre il suo corpo e il suo sangue perché il mondo abbia la vita e gli uomini l'abbiano in abbondanza.
Accogliere, a seguito dell'essere Lui il Signore, ogni realtà umana per orientarla all'unità, alla Sua comunione.
Significare nell'Eucarestia e negli altri sacramenti la Presenza di Dio, il camminare nella Sua luce, il raccogliersi del popolo che Lui si è scelto, l'attesa della Sua venuta.
La misura del nostro credere in questi motivi e viverli è il nostro essere insieme, la comunità, l'essere riuniti da Lui e nel Suo nome. E' il nostro segno più vero, quello forse più difficile, quello che impegna di più la fede di ciascuno di noi. E' misura debolissima eppure già concreta, indicazione tesa forse al compimento dei tempi, dello scomparire del sacerdozio personale, non per sostituzione, ma perché immerso e compiuto nel sacerdozio del popolo di Dio, del corpo di Cristo, del Cristo glorioso che raccoglie in sé ogni creatura perché tutto sia una cosa sola in Dio.




don Luigi


in La Voce dei Poveri: La VdP giugno-luglio 1971, Giugno 1971

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