Tristezze di un processo

Mi sono trovato alla seconda sessione del 3 maggio del Tribunale di Firenze contro alcuni preti e laici che una denuncia di un certo monsignore - con l'appoggio e l'approvazione e forse anche la spinta della curia di Firenze - ha accusato del crimine di avergli impedito di celebrare Messa il cinque gennaio del '69 nella chiesa parrocchiale dell'Isolotto, ormai diventata campo di battaglia fra la Curia e la comunità dell'Isolotto.
Le cose sono note e conosciutissime e non mi interessa in questo momento, come in quell'ora e mezza che sono stato accalcato nella chiesa-tribunale di piazza S. Firenze, ripensare e ridiscutere i prò e i contro del «caso» Isolotto.
La posizione e il giudizio restano per noi ancora quelli espressi con le lettere inviate, l'una e l'altra, al Cardinale e a Don Mazzi, subito dopo i giorni in cui era esplosa la questione.
Volevo soltanto, in questo momento, sfogare tutta l'angoscia e l'umiliazione di un prete che assiste (e quindi partecipa con tutto il destino defila propria vita) ad uno spettacolo di Chiesa veramente miserabile.
Dovevano essere sul banco degli accusati 438 persone. Per una amnistia applicata dal Tribunale, evidentemente per sfoltire il banco, ne rimangono solo nove: cinque preti e quattro laici. Istigazione a delinquere.
A seguito di un ridicolo atto di accusa di quel Monsignore, povera e squallida figura come ce ne sono tante a disposizione del potere, di qualsiasi tipo possa essere, è tutta la Chiesa nella sua istituzionalità e nelle sue contestazioni, nelle sue oppressioni e nelle sue ribellioni, davanti a giudici in toga, nelle mani degli avvocati, framezzo a carabinieri, a discutere, a battibeccare a strumentalizzare le proprie miserie, nella speranza che ne venga fuori qualcosa.
Che cosa?
Non mi è possibile accettare né sopportare che un problema, sia pure di scontro, avvenuto in una Chiesa per celebrare o impedire una Messa e cioè ciò che è Dio, Mistero di Cristo, valore e realtà unicamente religiosa, debba e possa essere trascinato in un tribunale, per una soluzione a base di codice penale, con escussione di testimoni, con lo svolazzare delle toghe degli avvocati, con la forza della legge a base di carabinieri.
E' di un'angoscia spaventosa il constatare che non sono finiti i tempi del braccio secolare a sostenere il traballare di una istituzione di Chiesa svuotata all'interno di ogni vitalità di Spirito Santo e bisognosa quindi di essere puntellata e sostenuta dalla forza militare e civile.
Che la Chiesa sia trascinata in tribunale e condannata e crocifissa dal potere civile (dal potere delle tenebre) è giusto e necessario, perché inevitabile, se la Chiesa è quello che deve essere: parola viva di Cristo che è «Beati» per i poveri, e «guai a voi» per i ricchi e i potenti di questo mondo.
Ma che la Chiesa porti in tribunale la Chiesa a regolare i conti fra fratelli, a sperare una sicurezza, un potere, a cercare una difesa e una rivincita, questo è sacrilegio. E' miserabile dichiarazione di ogni impossibilità di Amore.
Non voglio avere niente a che fare con questa Chiesa che mi vedo ridotta a litigio banale, a contrasti stupidi, a lotte ridicole.
Me ne separo e me ne divido a piena coscienza perché sono sicuro che il Regno di Dio non passa da quella strada, e ciò a cui credo, a cui mi sento totalmente fedele fino a giocarvi tutto di me, è la Chiesa Regno di Dio, non la miserabile baracca di una istituzione che ha bisogno dei carabinieri e dei magistrati per cercare che sia fatta giustizia e cioè per poter continuare a mantenere i suoi privilegi.
E altrettanto enorme pena mi faceva tutta quella folla accalcata a risentirsi, come unica possibile manifestazione di ribollimento, perché il microfono funzionava male. Povera folla a ricercare un po' di cristianesimo applaudendo calorosamente chi chiedeva, come grande e significativa conquista di giustizia, che anche il poveruomo del Cardinale fosse convocato fra i testimoni.
Povera folla riaccesa nei suoi fervori dalla stupidità di preti e monsignori, e che con tanta infantilità e ingenuità si abbandona alla speranza di una liberazione, da oppressioni ben più gravi, con una guerra di religione o qualcosa del genere.
Per questo non siamo d'accordo con tutti i significati politici, con tutte le forzature di trasformazione e di liberazione, come inizio di nuove cose, che la Comunità dell'Isolotto e gli amici, pensano che - tutta la lotta condotta fino a qui e ora con questo processo - abbia a fruttificare.
Siamo d'accordo nel dover lottare, ma la lotta da condurre, siccome è cristiana, ha una sua strategia, cioè una sua condotta assolutamente qualificata e anche particolarmente dignitosa: perché Gesù Cristo, oltre a tutte le cose, di cui Lui è veramente l'unico Maestro, è Maestro anche di una meravigliosa, adorabile dignità di lotta. Compresa anche la lotta davanti ai tribunali.
Con questo non che io sappia ed io possa nemmeno immaginare cosa bisogna fare e di dove passerà la strada della liberazione, perché la Chiesa sia Chiesa e cioè Regno di Dio: credo soltanto in una capacità sempre crescente di distinzione fra Chiesa. Mistero di Cristo e l'istituzione di uomini, ed una paziente, ma dura e tenace separazione - difficilissima quanto si vuole - fra Regno di Dio e potere temporale (Dio e Mammona), all'interino della Chiesa storica e tra la Chiesa e il mondo.
Era terribile dentro quel tribunale provare nell'anima la spaventosa confusione maturata piano piano (e spesso tanto violentemente) fra Chiesa e Stato, potere spirituale e potere temporale, Cristo e il mondo per il quale si è perfino rifiutato di pregare.
Questo strano tribunale fiorentino - la città del Savonarola e di Galileo... - in una tipica chiesa barocca dipinta a calce. Sul soffitto un immenso affresco dell'Assunzione di Maria, incontro al Padre e al Figlio appena apparenti nel fulgore della luce del Cielo. L'abside con un giro di grosse colonne bianche. Al posto dell'altare il banco dei giudici. Sui banconi di qua e di (là gli accusati, i testimoni, gli avvocati, i giornalisti, i fotografi ecc. e poi tutta la folla in piedi, accalcata in un brusio di profonda eccitazione e sdegno, più o meno repressi.
Un piccolo crocifisso, quello solito, di gesso, dei tribunali, delle scuole: la conquista di tanta lotta cattolica. Alzando gli occhi, grandi affreschi di scene della vita di S. Filippo Neri (povero S. Filippo, un santo così simpatico!) e alzando gli occhi ancora sul grande frontone dell'abside, incorniciate tra svolazzi barocchi, le parole, le terribili parole di Cristo: «Domus mea domus orationis vocabitur» (la mia casa è casa di orazione, di preghiera).
E, a quel tempo, a queste parole, prese una frusta di corde e scacciò tutti i mercanti dal tempio, rovesciando ogni cosa.
Avrebbe cacciato tutti, rovesciando ogni cosa, anche in quel momento.
Anche il Cardinale, nonostante che non fosse presente, ima lì a pochi passi, chiuso nel suo palazzo, insieme alla sua Curia.
Quelle parole sono il vero e terribile giudizio unicamente in diritto di fare giustizia in quel processo, segno di un più grande, impressionante processo, che la storia sta imbastendo intorno alla Chiesa e dentro la Chiesa.


don Sirio


in La Voce dei Poveri: La VdP maggio 1971, Maggio 1971

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