La Chiesa dei poveri

Quando uscì dal Concilio questa parola «la Chiesa dei poveri», anche se il per lì lasciò un pò perplessi e poco fiduciosi, riuscì a fare un certo effetto e accese non poche speranze.
Voleva dire molte cose, ma certamente era coraggiosa constatazione che la Chiesa non era dei poveri, che non era povera, che non era amata dai poveri. Bisognava quindi ritornare all'apprezzamento della povertà secondo il Vangelo, era necessario che la Chiesa fosse povera, era semplice dovere ritrovare la simpatia della povera gente e solidarizzare col povero popolo fino ad esserne l'anima, la speranza, la forza, la salvezza.
Non fu però possibile non avvertire il terribile pericolo che una affermazione, che una dichiarazione così formidabile che rovesciava impostazioni di mentalità e di costume ormai secolari e quindi incredibilmente inveterate e incallite, non rischiasse di rimanere sentimentalismo, sogno impossibile, se non proprio frase letteraria e accademica d'effetto.
Gli «slogan» saranno una gran cosa psicologicamente e potranno avere effetti sorprendenti dentro la povera mutabilità dell'impressionabilità umana, ma non pensiamo che servano e nemmeno che siano producenti in bene, per ottenere convinzioni cristiane e modi di vita secondo il Vangelo.
Tant'è vero che il discorso sulla Chiesa dei poveri fino a questo momento è rimasto parola pronunciata in situazioni di particolare fervore, uno slancio fatto a gran cuore ma ricaduto poi e riassorbito dalla piatta spietatezza della praticità prudente e della convenienza immediata.
Con questo non vogliamo assolutamente dire che il problema «Chiesa dei poveri» sia accantonato o possa esserlo, in modo o in un altro. Anche quelli - quanti saranno? - che lo vorrebbero problema non troppo acceso se non altro perchè lo giudicano un discorso rischioso, un ideale impossibile, una raffinatezza da sognatori e forse, chissà, una istintività demagogica, un riverbero di comunismo in sagrestia, una malattia dei nostri tempi ecc. non potranno spengere nella Chiesa e nella cristianità quest'angoscia del problema della povertà: il Vangelo è troppo esigenza di verità e di sincerità e la povera gente ha troppo il diritto di avere «incarnato» nella propria povertà d'esistenza umana Gesù Cristo, perchè Lui è nato nella sua stalla, ha vissuto del lavoro delle sue braccia e è morto sulla sua Croce. E la Chiesa non può non essere Lui "incarnato" nella povertà della povera gente. Gesù è dei poveri, la Chiesa deve essere dei poveri.
Quindi il discorso della Chiesa dei poveri non potrà essere accantonato, nonostante tutto. L'importante però è alimentarlo e cercare di mantenerlo su un piano di ricerca e d'impegno di autentico problema di povertà cristiana.
L'adempimento però di questo essenziale dovere della Chiesa di essere Chiesa dei poveri può correre un gravissimo rischio, quello cioè di cercare e di realizzare forme di partecipazione alla povertà della povera gente a tipo paternalistico. E anche, osiamo dire (pur essendo il discorso molto pericoloso perchè si può essere terribilmente male intesi) sul piano di una carità che è ancora troppo aristocratica perchè scende troppo dall'alto in basso. Raccogliere molto, avere molto, dare molto, aiutare molto, sì, è sicuramente carità cristiana ma non è povertà.
La Chiesa (la presenza di Gesù nel tempo e su tutta la terra e nel cuore di ogni uomo e dell'umanità tutta insieme) se moltiplicasse opere di carità, di assistenza, di beneficenza e sollevasse malattie e fame e miserie di ogni specie (lo ha fatto in modo meraviglioso nella storia della sofferenza umana e in misure incredibili) non sarebbe la Chiesa dei poveri, se fra lei e i poveri rimanesse a separazione un suo essere ricca (o anche, semplicemente, il suo apparire ricca per tutto quello che di ricchezza sa, cominciando dal dare l'impressione di essere d'accordo con chi la ricchezza detiene e ammassa e se ne fa strumento di potenza e di grandezza).
Chi è ricco può fare carità di aiuti, di conforti, di sollievo ai poveri e è certamente buona, ottima cosa, è persona caritatevole, non è però un povero, non è fra i poveri, non è dei poveri: dona ai poveri qualcosa di quello che possiede, non dona se stesso.
E dare qualcosa (anche se moltissimo) è carità. E' soltanto dare tutto che diventa povertà perchè dopo non si ha più niente e si è poveri come i poveri e a loro si appartiene perchè si è uno di loro.
Dio facendosi Uomo ha scelto non la via della carità (opera buona, generosità di offerte, aiuti, sollievi ecc. ricchezza offerta, donata a chi non ha nulla e ha bisogno di tutto) nei suoi rapporti con l'esistenza umana, ma la povertà e ne ha fatto il Suo modo di partecipazione alla vita umana.
E' chiaro che il discorso è molto duro, ma fu già molto duro quando Gesù lo fece al giovane ricco chiedendogli di diventare povero e quindi di seguirlo.
Il problema Chiesa dei poveri è molto complesso, sicuramente molto difficile (è per la Fede che abbiamo in Gesù, nella Sua parola e nel Suo esempio e nella Chiesa come continuatrice di tutto il Suo Mistero o, meglio ancora, presenza di tutto il Suo Mistero in ogni tempo e luogo, che non lo giudichiamo impossibile o assurdo): fa quindi gran gioia il sentirne parlare in Concilio e non ci fa preoccupazione se il discorso si è un pò attenuato e annebbiato e nemmeno ci sorprende se può rischiare di prendere avvii ideali o pratici non molto convincenti o non molto rispondenti, come a noi sembra, alle attese e ai diritti della povera gente.
Ci sia consentito però su questo foglio che vuole essere in qualche modo, voce dei poveri, di trattarne: con umiltà e semplicità anche se con molta schiettezza. Non facciamo trattati di teologia o cose del genere. Raccontiamo soltanto dei sogni raccolti in un ora di preghiera o nel cuore della povera gente, compreso il nostro che disgraziatamente non sa riuscire a essere povero anche se lo vorrebbe cosi tanto.


d. S.


in La Voce dei Poveri: La VdP novembre 1964, Novembre 1964

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