La carità e i suoi compiti storici

Pubblichiamo un brano della conferenza (e ci dispiace all'infinito di non poterla pubblicare tutt'intera) pronunciata da P. Balducci al Convegno Nazionale dei Gruppi Giovanili Vincenziani, tenutosi l'anno scorso a Torino.
La Conferenza registrata è stata pubblicata nel n. 57 di «Testimonianze».
E' un discorso chiaro, profondo, essenziale: ogni vincenziano dovrebbe conoscerlo e tenerlo vivo e presente per una autenticità interiore di spiritualità vincenziana e per una sincerità piena e totale di rapporto di carità cristiana verso il prossimo: questo prossimo che ci vive accanto, insieme a noi, in questo nostro tempo.
«Quindi vi sono due prospettive della carità. Vediamo la prima: la carità presuppone e provoca l'integrità delle strutture di giustizia. Senza una chiara ed oggettiva distinzione tra le competenze di giustizia non è possibile l'esercizio della carità. Quindi la società civile non può aver fondamento immediato sulla carità, ma sulla giustizia. Tiriamo subito un corollario vineenziano: in un momento storico come il nostro, in cui la creazione di strutture giuridiche è basata sulla rigorosa uguaglianza dei cittadini, la carità deve favorire il processo di giustizia e deve cedere, abbandonare quelle strutture di supplenza che essa ha creato nell'epoca in cui la giustizia era comunemente manomessa. La S. Vincenzo ha avuto una esperienza, la sua maggiore esperienza, in un'epoca in cui le strutture sociali erano caratterizzate da tutt'altri segni che da quelli della giustizia, ed in cui la coscienza della giustizia sociale era paurosamente in ribasso. Non ci dimentichiamo che l'esempio di Ozanam, dobbiamo dirlo con forza, non fu sempre con coerenza imitato dai vincenziani delle generazioni successive. Ozanam era l'uomo che andava nei sobborghi di Parigi ad assistere i poveri, ma per esempio, quando nel 1848 vi fu quella strana e mirabile, in qualche senso, rivoluzione del proletariato, era fra i pochi cattolici che accettavano la repubblica nata dalla rivoluzione contro la monarchia di Montalembert. Dopo, nell'epoca successiva, non ci furono sempre uomini eccezionali per senso di giustizia sociale. Non dimentichiamoci la nostalgia dell'ancien règime che caratterizzò la Francia cattolica dell'epoca di Napoleone III e anche dell'epoca successiva; non ci dimentichiamo che quando Leone XIII promulgò la Rerum Novarum, in certi ambienti ci fu come uno scandalo. Ora la S. Vincenzo, che sembra minacciata dal crescere delle strutture della giustizia, in realtà deve favorirle e deve trovare su queste strutture, che realizzano l'ideale della giustizia, un suo nuovo modo di esistenza. Se noi dovessimo, per difendere la carità, ostacolare l'integrazione dei compiti dello Stato, ad esempio di quelli che sono compiti assistenziali, un tempo lasciati all'iniziativa privata: se noi dovessimo impedire che lo Stato compia fino in fondo le sue responsabilità di assistenza e di sollevamento delle classi umili, la carità diventerebbe corrotta.
La carità esige che la persona umana sia portata ad un livello di garanzie oggettive, da poter sperimentare con piena libertà la sua vita religiosa e la sua vita naturale. Ovunque la carità impedisca ciò, essa è corrotta. Una carità che volesse esercitarsi senza un adeguato rispetto, anzi senza una adeguata sollecitazione dell'ideale della giustizia, diventerebbe paternalistica. Cos'è il paternalismo? E' la presunzione di voler risolvere i problemi di giustizia in termini di carità. La carità deve invece postulare che i problemi che appartengono per loro natura all'ambito della giustizia, siano risolti secondo gli strumenti della giustizia. Se la carità non fa questo, essa si corrompe, e siccome «corruptio ottimi pessima», non c'è niente di peggio, nella esperienza religiosa, che la carità corrotta in paternalismo. Essa scredita il Vangelo agli occhi del mondo. Ora, l'epoca storica in cui siamo, è caratterizzata - ed è il suo aspetto più nobile - da un universale bisogno di giustizia. Le classi umili vanno portate dal loro ruolo passivo ad un ruolo attivo, i Paesi sottosviluppati vanno sollevati anch'essi ad una partecipazione diretta e dignitosa alla comune storia dell'umanità. Non sopportiamo la separazione delle classi. Noi vogliamo realizzare una comunione sociale in cui la distinzione sia legata alle funzioni. Non ammettiamo la divisione contro giustizia! Se la S. Vincenzo non rendesse in noi più urgente questo bisogno di giustizia, essa favorirebbe la corruzione della carità. Un interrogativo importante dunque si alza alla nostra coscienza: un'azienda va diretta non secondo criteri di carità ma secondo criteri di giustizia; uno stato va governato non secondo criteri immediati di carità, ma secondo criteri di giustizia. Che poi la carità ispiri la giustizia, la sollevi verso finalità più alte, la restauri nelle sue inevitabili corruzioni, questo è vero! Ma la giustizia deve crescere secondo le sue intrinseche misure, e non deve trovare nella carità un ostacolo. Se noi non facciamo con coraggio questo discorso, la testimonianza vincenziana non ha più senso nel mondo moderno».


P. E. Balducci


in La Voce dei Poveri: La VdP aprile 1964, Aprile 1964

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