Risposta alla lettera di Novembre di don ***

Io non sono un Sacerdote e certamente non posso vedere le cose da quel punto di vista, però cerco, con tutte le mie forze, di vederle da un punto di vista cristiano e questo, credo, sia il modo esatto, indipendentemente dallo essere Sacerdote o no. Non riesco proprio a capire in che senso quel Sacerdote che si firma * * *, intenda dire che «non tutti debbono dare tutto». Non mi sembra, per la povera conoscenza che ne ho io, che nel Vangelo Cristo dica questo. Cristo non ha mai fatto distinzione tra Apostoli e fedeli, la santità può essere degli uni come degli altri, se ha fatto una distinzione è tra chi lo vuole seguire e chi non vuole.
«Vai vendi quello che hai e seguimi». Vuol dire vendere quello che si ha. Chi ha dieci venderà dieci, chi venti venti, proprio come la parabola dei talenti, chi più ha ricevuto più deve dare. E allora mi sembra che quel tutto si debba intendere nel dare tutto ciò che può nella propria condizione, come trappista, come certosino; come nunzio apostolico, come semplice sacerdote.
Non si tratta di drammatizzare le cose, si tratta di vivere seriamente il Cristianesimo che ci impone di non dimenticarci di nulla e di nessuno, avendo la stessa comprensione e lo stesso amore per chi sta in alto e per chi sta molto in basso. Si pretende, con non so quale diritto, che gli altri capiscano la spogliazione spirituale, ma Cristo che conosceva gli uomini più di ogni altro, ha iniziato dalla spogliazione materiale. Non si può pretendere che gli uomini semplici facciano elecubrazioni complicate per arrivare a capire che c'è una povertà a volte più vera di quella materiale (del resto, per chi la vive veramente è abbastanza lampante, ma si accompagna senz'altro a quella materiale: es. Papa Giovanni XXIII).
Evidentemente il Cristianesimo deve essere impegnato, lo sento così seriamente, ogni mattina durante la S. Messa, al momento dell'offertorio: «Accetta questo pane» «Accetta questo vino». E poi: «Questo è il mio Corpo; questo il mio Sangue». E il Sacerdote in quel momento è Cristo e Cristo ha dato «tutto».
Non so come si possa fare distinzione tra vocazioni particolari o no, se c'è una vocazione è quella cristiana che ci impegna, ciascuno nella propria condizione, a dare tutto ciò che si ha e tutto quello che si è.
E' logico che poi la vocazione si diversifichi in una gamma di vocazioni particolari che permettono la realizzazione della intera vita del Cristo.
Ognuno è un mattone della immensa costruzione che si sta realizzando nei secoli e serve per il suo compito specifico, ma quel compito lo deve assolvere. Non si può parlare di cristianesimo tragico quando si sente il problema, si vorrebbe farlo sentire così intensamente anche agli altri come noi lo sentiamo, dell'impegno tremendo che è essere cristiani; Cristo non ne ha mai parlato leggermente. Ecco perchè quando il Sacerdote offre per me sull'altare è come se fossi io stessa ad offrire il mio corpo ed il mio sangue, perchè Cristo è ognuno di noi e ognuno di noi è in Cristo, perchè Egli è l'intera umanità, affinché il suo Sacrificio, la Messa iniziata sul Calvario continui e si realizzi nel tempo e nell'umanità. Non è Cristianesimo tragico sentire vivamente il dolore dell'umanità e capire che noi dobbiamo esserci in mezzo, perchè se la sofferenza è il vero volto del Cristo, dal momento che continua la sua opera di redenzione, non abbiamo altro mezzo, per avvicinarci a Lui, che avvicinarci alla vera sofferenza facendola nostra, compartecipandola con vero amore.
Le vocazioni particolari si armonizzano in questa più grande vocazione, che è quella cristiana, che esige tutto, vuole tutto, senza esclusioni di sorta, senza tentativi di scappatoie che possono trovare giustificazioni così umane e razionali da consentire una tranquilla quiescenza dello spirito.


Una laica


in La Voce dei Poveri: La VdP marzo 1964, Marzo 1964

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