Povertà sulla Strada

immagine:  Povertà sulla Strada Per due volte, nel giro di pochi giorni, mi son trovato, perduto fra loro come uno di loro, dentro una folla di centinaia di operai incolonnati, in un camminare triste e doloroso lungo le strade della città. Era un andare pesante e smarrito come di sbandati, senza convinzione ma anche senza resistenza, rassegnati come dietro 1'inevitabile. L'inevitabile di una condizione umana in questo suo povero destino terreno.
La prima volta si accompagnava alla Chiesa e poi al cimitero un compagno di lavoro, rimasto ucciso sotto il crollo di una gru. E pesava su tutti lo strazio della sua morte, 1' angoscia della sua famiglia, lo smarrimento per un destino terribile.
Mi pareva di seguire, passo passo, confuso nella folla, senza volto e senza nome, di tutti i lavoratori dei mondo, le innumerevoli bare - e, chissà quante, senza fiori e senza lacrime - delle povere vittime del lavoro. File lunghe, oppresse di tristezza, di dentro ai tunnel scavati nelle montagne, dalle bocche nere delle miniere, dai cancelli dei complessi industriali, dai campi di lavoro, forzati per violenza o per fame. Logorati e finiti, schiacciati e distrutti, mangiati dal progresso e dal benessere degli altri, di tutti: per loro, avevano cercato soltanto il pane quotidiano e l'avevano avuto pagandolo con tanta sofferenza di ingiustizie, di fatiche, di sciagure e di morte. E gli altri, i rimasti, li accompagnavano sotto terra, per nascondere là sotto il tormento di tutti, 1'angoscia di chi si sente sullo stesso cammino, ogni giorno, in attesa che la terra si apra e si richiuda, a fin re la giornata della vita.
So troppo bene che la maggioranza degli operai non crede in Dio, nell'esistenza dell'anima spirituale ed eterna, e non spera nulla al di là di questa vita. Allora il dolore è troppo, perché è solitudine spaventosa. E accoglievo nell'anima, mentre camminavo insieme a tutto il dolore del mondo operaio in cammino lento e stanco verso il cimitero, accoglievo tutta la storia angosciosa del morire senza speranza di chi china la schiena sotto il peso di una fatica ricompensata da pochi soldi, e, ogni giorno mangiati per poter tornare di nuovo a piegare la schiena.
E camminavo, con questo spaventoso problema nel cuore, e mi pareva - io sacerdote confuso e perduto fra loro - di dare senso e valore a questa fiumana di gente, che va, ogni giorno, a morire lentamente o tragicamente sul lavoro. Mi pareva di guidarli perché li sentivo cosi tanto con me, verso una meta sicura, che loro non potevano conoscere, perché, forse, per loro troppo impossibile. E non dicevo una parola, ma ero però veramente uno di loro, e, quindi, si faceva insieme necessariamente lo stesso cammino: no, non era possibile che non si arrivasse insieme.
E l'altro camminare della povertà, anzi della miseria operaia.
Li ho trovati, all'uscita del cantiere, queste centinaia di vecchi amici e compagni di lavoro, Ci siamo messi un po' in ordine, così alla buona, e abbiamo cominciato a sfilare in silenzio: quelle poche parole che si dicevano avevano solo lo scopo di aiutarci a vincere la vergogna. La vergogna di andare per la strada come tanti straccioni a chiedere l'elemosina. Gente che sa lavorare, che non si rifiuta mai davanti alla fatica e al pericolo di infortuni e sciagure. Ha realizzato costruzioni splendide e sente la propria dignità di lavoratori, mariti e padri di famiglia, cittadini onesti, autentica ricchezza nazionale... poveri straccioni dalle tute sporche di lavoro, le mani nere, arruffati dalla fatica, in cammino per le strade della città a stendere la mano per avere lavoro. Loro a mendicare pubblicamente il lavoro da chi, se lo darà, sarà per non avere complicazioni politiche o perché gli comporterà vantaggi personali. E se questo lavoro verrà ci guadagnerà chi ci ha sempre guadagnato lusso e benessere e, per loro, otterranno quel povero pezzo di pane, e la fetta di salame o la scatoletta di carne di bue per poter tornare ogni mattina a faticare e a morire là dentro, dietro le inferriate dei cartellini di presenza.
Sulla piazza davanti al Comune. Sotto il sole malato di questo marzo, affogato di pioggia in attesa che il sindaco guardi di dietro il vetro della finestra questo povero branco d'uomini, e vada a Roma perché facciano il "favore" di dar loro a mangiare le lamiere e le staminare di una nave traghetto.
Mi sentivo dentro questa folla di poveri uomini, veramente colmato della loro vergogna e umiliazione. Ma ero anche felice, io povero prete della Chiesa Cattolica, di mendicare del lavoro, di stendere la mano e chiedere le briciole, come il povero Lazzaro alla porta del ricco Epulone. Umiliato e zero e nulla come tutti i lavoratori imploranti la grazia di faticare, di sudare, di morire, lasciando della propria energia e della propria esistenza attaccata a lamiere di ferro, e macchinari e attrezzature spietate. Contento di essere dentro il gioco politico che ci asfissia, ma non come uno che conta, ma soltanto come ingrediente, che vale solo perché utilizzabile, come "povera gente", che interessa soltanto quando contano i numeri, come motivo e paura di fastidio, di complicazione e di pericolo sociale. Dentro il gioco finanziario e capitalistico, ma come povero sfruttato, solo come braccia da lavoro, unicamente per il quanto "si rende"... Dentro questo povero mondo, per dare tutto me stesso, non chiedendo assolutamente niente. Niente, nemmeno la simpatia, nemmeno perché credano a quello a cui credo io.
Solo la gioia, semplice e povera e bellissima, di trovarsi - e è sempre con immensa sorpresa - sulla povera strada polverosa, perduto dentro queste folle sterminate, che camminano e a piedi, faticosamente, sempre più stanche e desolate per il peso, che cresce ogni giorno, guidate - anche se loro non lo sanno e non lo credono - da Dio fatto Uomo carico della Croce di tutto il desiderio umano, verso l'unica Redenzione e salvezza.
* * *


"Che cosa resta loro da fare in un'epoca che esige uomini che s'impegnino nella lotta e non ne vuole più sapere di marionette da fiera? E' nata una nuova gioventù, un pò rigida, un pò schematizzata forse nei suoi gesti inadeguati; ma ha visto la miseria e la sua vita ne è stata trasformata. La prosperità da adito al gioco e maschera l' ingiustizia. La miseria inchioda l'uomo nei suoi problemi essenziali e rivela ampiamente i peccati di un regime. L'esperienza o il procedere a fianco con la miseria sono stati il nostro battesimo di fuoco. Il corpo tutto coperto di ferite del proletariato è come un Cristo in croce, coi farisei intorno e la gioia dei mercanti e gli apostoli fuggitivi: e la nostra indifferenza assomiglianza alla notte abbandonata sul Calvario "
E. Mounier
" La fame e la miseria esistono nel mondo non perché vi è troppa gente ma perché vi è troppa poca gente per produrre e molta per mangiare»
Josuè De Castro
"Mio caro figlio, gioia grande, infinita, dunque ti lascio senza padre? Tutt'un popolo, no, ancora troppo poco, tutto il genere umano sarà padre per te,,
(biglietto scritto pochi istanti prima di morire da un condannato a morte della resistenza tedesca )
Cosi scrive una ragazza di 16 anni ricoverata in un sanatorio:
"La giornata trascorre assai più piena di quanto si possa pensare anche se in sanatorio.
Alla malattia non ci penso e se lo faccio è unicamente per vedere come posso sfruttare questo meraviglioso dono di Dio che ha voluto elargire proprio a me, una ragazza di 16 anni che forse non meritavo, ma ciò mi convince ancor più della bontà del Signore: infatti per me il richiamo alla malattia è stato un richiamo alla vita".
Angela
"Mi pare sempre di più che la migliore penitenza, quella che il Signore vuole dalla Chiesa di oggi, è l'accettazione della sofferenza che viene dal favore. Santificare questa sofferenza che è spesso incompresa e maledetta da chi la sopporta mi pare la migliore partecipazione alla Passione del Signore in cui dobbiamo entrare profondamente se vogliamo essere salvati e salvatori ".
(da una lettera di un amico)
" Appena credetti che c' è un Dio compresi che non potevo farà altrimenti che vivere solo per Lui : la mia vocazione religiosa data dalla stessa ora della mia conversione. Dio è così grande! Vi è una tale differenza tra Dio e tutto quello che non è Lui ! "
C. De Foucauld

in La Voce dei Poveri: La VdP aprile 1960, Aprile 1960

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