2 - Non sono povero

E' tanto difficile dire cos'è la povertà, in che cosa consiste il suo vero valore e anche dov'è la povertà e dove non è.
Siccome la povertà, secondo il Vangelo, è condizione indispensabile e determinante per la verità dei nostri rapporti con Dio e col prossimo perchè dà di poter realizzare l'Amore che è l'unico Comandamento e quindi tutto il Mistero di Dio, non può essere contenuta in una formuletta o in una definizione, né può essere pensata in un modo assoluto piuttosto che in un altro e tanto meno contenuta in programmi chiusi come una strada fra gole di montagne.
C'è il Vangelo che narra quanto la povertà sia stata scelta da Dio nel Suo venire e abitare e morire fra gli uomini. C'è la Parola di Gesù che ne fa una essenzialità pressoché assoluta per una libertà di servizio a Dio e al Suo Regno.
Ma poi nella sua attuazione, nell'essere vissuta, la povertà non può non risentire delle diverse misure di richiesta della Verità del Vangelo, a ciascuno.
Dio non chiede tutto a tutti. Anche se esige sicuramente che quello che chiede a tutti, anche se di diversa misura, sia però perfettamente secondo Verità, cioè secondo il Suo Pensiero.
E il Suo Pensiero, non si può sbagliare, è quello di Gesù, la Sua Parola, la Sua Vita.
La povertà risente di questo Mistero. E è per questo che ogni cristiano non può non cercare di conoscere cos'è la povertà secondo Gesù perchè o poca o tanta o tutta che gli sia richiesto viverla, deve essere povertà perfettamente secondo il Vangelo.
Non so bene quale misura di povertà mi sia richiesta. A volte mi sembra di scoprirne una misura da farmi letteralmente terrore. Ma non so con chiarezza e speriamo che non sia perchè ho paura a saperlo. Sta il fatto però che sento vivissimo il desiderio e il dovere di saperne qualcosa di questa misteriosa povertà del Vangelo. Così: apertamente e scopertamente, senza girarvi d'intorno o guardando da un'altra parte, come si fa quando si incontra un creditore.
E scopro sempre di più che non sono povero. Che non ho vissuto la povertà e che forse non mi sarà mai dato di viverla.
Ho pensato che la povertà secondo il Vangelo esiga il non possedere niente. Appena, appena il necessario per l'oggi e null'altro, all'infuori di una Fede nella Provvidenza di Dio.
Il diritto dì proprietà è sicuramente diritto di ordine naturale, connaturato a come l'uomo è fatto, espressione dell'istinto di conservazione, necessità in rapporto alla famiglia e per l'ordinamento sociale, ecc.
Ma secondo il Vangelo il diritto di proprietà ha solo il valore di potersene spogliare facendone formidabile realtà di Amore.
Mi sembra che sia mal conciliabile il diritto a possedere (se stessi, le cose, i valori umani) e il dovere di amare secondo il comandamento dell'Amore cristiano.
Ho sempre pensato (e forse ancora non ho molto accettato perchè è cosa veramente dura) che il Cristianesimo comporti un libero superamento di ogni diritto personale perchè rimanga il solo diritto a chiamare, insieme a Gesù, nello Spirito Santo, Dio come Padre e a nome di tutti gli uomini, sentiti unicamente come fratelli.
Sì, è vero che questo perdere ogni diritto non è affatto immiserimento e tanto meno distruzione di noi stessi. E' uscire dai propri limiti - e sono sempre una prigione anche se castello incantato. E' vincere l'egoismo che è sempre raggomitolarsi su se stessi, fatti spietatamente principio e fine di tutto. È liberarsi di pesi, zavorra che soffoca ogni ricerca e schiaccia l'anima e il cuore.
Ma è anche non esistere più. È non essere nemmeno più oggetto di niente e di nessuno. E' diventare soltanto un valore di relazione e di rapporto. E' essere sempre in movimento di convergenza. Portato via incessantemente verso un'altra realtà. Mai essere punto di arrivo. Termine di qualcosa e di qualcuno. Niente è mio. Nulla mi appartiene. Nessuna cosa è per me. Unicamente per me. Mai allora sono io, soltanto io a vivere, a essere.
Questo vuol dire, prima di ogni altra cosa, l'avere o no il diritto di proprietà. E il non possedere due tuniche, o due calzari, l'andare senza borsa nella cintura. Il dare anche il mantello a chi ti chiede la tunica. Non resistere al malvagio. Dare la guancia destra a chi percuote la sinistra. Amare i nemici. Pregare per chi perseguita... questo strano modo di impostare i rapporti con tutta la realtà della vita umana, mi pare che voglia dire, andare di là, saltare oltre il diritto di proprietà fino a non saper più nemmeno cosa voglia dire. Diventato quasi un assurdo questo diritto fondamentale che decide di tutti gli altri diritti, fin quasi anche di quello di mangiare e di respirare.
E questa è la povertà. Sarà la povertà fino alla misura massima, sarà la povertà che nasce e fiorisce sull'orlo dei precipizi come certi fiori di montagna, che corre sul filo di qualcosa che rassomiglia così terribilmente alla pazzia, eppure è la povertà con la quale devo fare i conti perchè sicuramente condiziona la sincerità di tutto il Cristianesimo.
Tant'è vero che gran parte del Cristianesimo, e in particolare nella sua essenzialità del Comandamento dell'Amore, non è vivibile (perchè pensato assurdo) proprio perchè non siamo poveri di questa povertà che ci vuole spogliare del diritto di proprietà fino a ridurci sul lastrico, in modo che chiunque, se vuole, possa approfittarsi di noi: perchè è dal consentire tutto a tutti che comincia a germogliare l'Amore.
E non ci basta pensare e poter credere che è allora, ridotti sul nostro lastrico esattamente come siamo in realtà, che entriamo nel gioco misterioso di Dio che vuol fare di noi copie conformi di Colui che lasciò fare - e lascia fare - di Se stesso tutto quello che gli uomini vollero - e vogliono - per poterli salvare e rendere Figli di Dio.
Non sono povero e non voglio esserlo. Lo vedo bene. Sto aggrappato ai miei diritti con una caparbietà pazzesca. Posso dar via tante cose, ma non mi consegno mani e piedi legati. Nemmeno a Dio. Continuo ad aver paura di Gesù Cristo. Diffido di tutti e qualche volta mi pare che sia saggezza buona il detto: fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. Forse non ho nemmeno amici, se ho paura che a un certo punto prendano troppo di me.
Non voglio che tutti si approfittino di me come di uno straccio. Sono stanco spesso di servire soltanto. E ogni tanto vorrei anch'io ricevere. Avere qualcosa per me, per me soltanto.
E invece so che dovrei essere mani che raccolgono e che offrono immediatamente. Terra che riceve il sole e la pioggia e il buon grano del seminatore e subito tutto fruttifica per la sazietà di tutti. Perchè la semina e la mietitura sono di ogni giorno e di ogni istante per questa mia povera zolla di terra ormai senza speranze di riposo, E non è gioia questa povertà anche se spesso è chiara consapevolezza di Amore, perchè è sempre troppo poco. Dovrebbe essere di più. Perchè la misura giusta, è quella del Suo ultimo respiro sulla Croce: "Tutto è compiuto", (Gv. 19, 30) perchè tutto è stato donato.


don Sirio


in La Voce dei Poveri: La VdP febbraio 1963, Febbraio 1963

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