Questo mondo cane

E' diffuso e si sta diffondendo sempre più fra i giovani un clima di crisi. Andare in crisi, trovarsi in crisi è quasi fatto normale. E' di moda come i pantaloni stretti.
Non penso affatto che questo fenomeno, così particolare ai nostri tempi, sia dovuto a una maggiore superficialità, ad una più vasta sfasatura propria del nostro tempo. E' cresciuta la visione materiale della vita, quindi l'amoralità di mentalità e di costume dilaga, sommerge e spazza via valori e importanze, lasciando desolazione e morte, cioè vuoto, senso d'inutilità, stanchezza di tutto.
Il fiume ha rotto gli argini, ha dilagato impetuoso e dove erano campi coltivati ora vi è un metro di fango e di rottami. Tanto lavoro per dissodare, piantare e coltivare e poi un giorno è scoppiato l'incendio e ora tutto è cenere e tizzoni neri, fumiganti.
Il contadino si fa sull'uscio di casa, guarda con la morte nel cuore per una crisi infinita di desolazione. Pensa che è meglio abbandonare la terra e andare a lavorare in città. Sarà quel che sarà, ma almeno sul pezzo di pane non ci piove.
E' strano - e realmente mi impressiona - il fatto che quasi sempre questo andare in crisi voglia dire rassegnarsi ad una situazione. La crisi non è più un momento particolare di passaggio, ma diventa una stasi, una condizione di vita, un modo normale di esistenza. Il problema che diventa di per se stesso soluzione.
Ormai la crisi è stato permanente, è realtà acquisita e scontata, è a ragion veduta e quindi è una scelta. Diventa e è fine a se stessa.
La malattia pensata come stato di salute. La tempesta come cielo sereno. E essere in crisi, come condizione normale per essere sinceramente vivi.
E' come uno che viene colto da un acquazzone improvviso e si rifugia sotto un terrazzo, se è in una strada di città, o dentro una grotta, se è in un sentiero di montagna, e poi pensi di stabilire lì la sua dimora e vi sistemi un materasso e un fornello a gas, deciso di abitar lì per sempre.
Ormai ho visto bene come vanno le cose. Buona famiglia, buona educazione. Chierichetti a servir Messa. Scoutismo o Azione Cattolica. E tutte le altre storielle che poi vengono giudicate - non so quanto a ragione - educazione cristiana della gioventù. Servono molto bene ad ammannire un sacco di cose buone che dai ragazzi vengono poi prese in modo totalmente passivo. Non crescono con loro o crescono rachitiche, rimanendo in condizioni tali per cui, da un giorno all'altro, appariranno ridicole, superate, oscurantiste, buone soltanto a fare degli inibiti, carichi di complessi pesanti come montagne.
La cosa logica, normale, a questo punto, è che si entri in crisi. Ne viene quasi un sussiego, un valorizzare se stessi, una liberazione.
Tutto viene smontato pezzo per pezzo e riposto insieme alla fionda e ai pantaloni corti.
Messi i tacchi alti, tutto non può non essere giudicato da un'altra altezza e con visioni, quindi, molto più ampie.
D'accordo. E' giusto, deve essere così. L'onestà però vorrebbe che, iniziata la crisi, questa ottenesse una sofferenza, provocasse un'angoscia, costringesse ad una ricerca.
Se la casa è stata bombardata, molto bene, poteva anche essere tanto vecchia e malandata da essere una fortuna che sia stata demolita, però non ci si deve aggiustare e sistemare sotto le macerie, facendone abitazione normale.
Che crolli il problema religioso ai primi terremoti, d'accordo. Ma perché non riconosci che è il problema religioso del fanciullo che è crollato? Disgraziatamente - e i motivi di questa disgrazia sono così tanti - la costruzione non poteva che essere di cartapesta, o di cubetti di plastica colorata come le case fatte per gioco: ha avuto soltanto l'importanza di occupare il terreno, prima che tutto fosse venduto, perché domani vi fosse dove gettare i fondamenti per la seria costruzione di tutta una vita.
Sensibilità per gli altri. Ricerca di giustizia, ideali di uguaglianza, ecc. finché non conviene che le ragazzine siano giudicate trastulli e passatempi. Finché il danaro non scopre il suo fascino e la voglia del successo non prenda a 40 di febbre.
E rutto crolla, allora. Crisi circa i valori umani. Gli uomini sono una massa di puzzoni. La politica una porcheria. Ciò che conta è arraffare più che si può e far di sé un padreterno più che sia possibile.
Così per tutto. Assolutamente per ogni valore. Giudizi spietati. Demolizione a terra bruciata. Nikilismo radicale. Criticismo a zero. Ormai nulla da fare. Perdiamo le speranze. Mondo cane davvero.
Rimangono salve solo poche cose: il tubo digerente, i genitali, l'automobile, il conto in banca, il benessere più assoluto, una lunga vita, una vecchiaia felice e la tomba onorata di famiglia per il cavaliere o il commendatore.
D'altra parte la crisi risolve gli ultimi problemi di coscienza, quelli che si sono fortunosamente salvati da tanta e santa distruzione.
Perché la crisi, l'essere in crisi, diventa come una giustificazione. Quasi fosse una posizione onorata. Vuol dire che uno non si è lasciato imbottigliare da nessuno. E' rimasto un libero pensatore, come dicevano una volta, ma il termine è bene, forse, rispolverarlo.
Chi tutto critica e tutto quindi disprezza e butta a mare è a posto con la sua coscienza. D'altra parte non ha trovato nulla che meritasse attenzione (i valori di cui sopra sono "scoperte" personali ottenute dalla propria personale saggezza e esperienza) e quindi onestamente non poteva che rimanere in crisi.
E' come una dolce beatitudine, la crisi. E' dolce come il sereno conversare nel salotto della Signora, sorseggiando il the con i pasticcini. E' magnifica come il sonnellino schiacciato dopo pranzo. E' appassionante come una violenta disputa filosofica o politica.
La crisi, naturalmente, quando è arrivata a sistema, a soluzione, a impostazione di vita, come mentalità ormai acquisita, come scelta di esistenza.
Non è quella dei giovani questa crisi, questa è drammatica, angosciata, da disperazione, da lacrime (o da eccessività come il bere, nottate sfrenate, teddy boys, ragazzette squillo, ecc.), ma lasciatela crescere e troverà la sua buona e decorosa sistemazione in una serena crisi permanente, in cui tutto rimane cordialmente disprezzato, meno che se stessi. Perché il proprio egoismo è l'unica cosa rimasta intatta fra tanto scempio.


un prete


in La Voce dei Poveri: La VdP giugno 1962, Giugno 1962

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