LA VOCE DEI POVERI: La VdP settembre 1963

Il Concilio Ecumenico

Si apre alla fine del mese la seconda sessione del Concilio Ecumenico.
E' doveroso intensificare la preghiera perchè Io Spirito Santo scenda veramente a «lingua di fuoco», come nella Pentecoste, sui Vescovi di tutto il mondo riuniti in San Pietro.
E bisogna ravvivare il senso di responsabilità nostro e di tutta la Chiesa perchè tutti siamo chiamati a una ricerca e a un impegno, serio e onesto, di rinnovamento di vita cristiana in tutto ciò che riguarda il nostro problema religioso personale, ma anche, allargando doverosamente la misura di responsabilità, come compete a «cattolici», a raggio universale, in tutto quello che riguarda la Chiesa, le sue istituzioni, la sua presenza storica, la sua testimonianza, il suo Mistero di salvezza nel mondo.
Non sappiamo perchè, ma avvertiamo in giro, nell'aria, meno interesse, minore ansietà, meno clima trepidante d'attesa, dell'anno scorso.
Ma come non sono state fatte - almeno da noi - inchieste, studi, particolari preparazioni, prima dell'inizio del Concilio, così, naturalmente, niente è stato fatto durante questo periodo d'intervallo su un piano di inchiesta e di sondaggi per conoscere impressioni, opinioni di popolo e di clero. E quindi, per capire qualcosa di questa strana vigilia conciliare, non si può che affidarci a raccogliere un clima generico, a cercare di afferrare al volo giudizi più o meno superficiali, considerazioni vaghe, impressioni a fior di pelle.
Verrebbe da concludere, tutto vagliato, ma naturalmente con un giudizio molto alla buona, che chi attendeva dal Concilio radicale rinnovamento, mutazione di strutture, qualcosa che scuotesse fin le fondamenta e costringesse a nuova costruzione, è rimasto alquanto deluso e sfiduciato e non spera più o quasi. In gran parte per l'andamento assai lento della prima sessione, anche perchè ci sono state le elezioni politiche con quegli esiti tanto deprecati, e poi - e specialmente - perchè è morto Papa Giovanni. E par proprio che la morte di quel vecchio ottantenne abbia voluto dire perdere speranza di giovinezza alla Chiesa.
Chi invece ha trepidato per paura delle novità e ha seguito con zelante ansia lo svolgersi della prima sessione del Concilio temendo che i Padri in S. Pietro finissero, in buona parte, eretici, non nutre grandi timori per questa seconda sessione.
E' diffusa l'idea che ormai i grandi pericoli di eccessivo rinnovamento - e loro pensano di pericoloso ammodernamento - siano scongiurati per sempre. Al massimo verrà un nuovo codice di leggi, volumi di esortazioni, indicazioni per nuove pastorali richieste dai tempi attuali. Ma il clima rimane temperato, ne troppo caldo né troppo freddo, un solicello per riscaldare le lucertole, una pioggerella per rinfrescare i dolci e tranquilli riposi dalle grandi fatiche d'apostolato.
Evidentemente sia l'una che l'altra impressione (si tratta però, e è cosa veramente angosciosa, di mentalità attendista e miracolistica da una parte e pigramente stagnante dall'altra che non dovrebbero esistere dentro la misteriosa e appassionata ricerca dell'avvento del Regno di Dio nel mondo attraverso la Chiesa) sono autentica stupidità dalla quale sarebbe bene guardarsi. E per molti motivi, ma specialmente, ci sembra, perchè ambedue le posizioni significano un tirarsi fuori, un aspettare che tutto facciano gli altri o che niente facciano, uno scaricare responsabilità riservandosi soltanto la parte, polemica e vuota, di essere sempre scontenti, malevoli, indisposti e indisponenti.
A parte quello che il Concilio concluderà in riforme, innovazioni, mutamenti ecc. A parte il lavoro sicuramente impegnato e tenace dei Vescovi riuniti a Concilio - e ci auguriamo che nella seconda sessione anche i Vescovi italiani si facciano avanti in posizioni di ricerca profonda e scoperta - a parte quindi il lavoro propriamente conciliare che non potrà che essere intenso e ricchissimo di imprevidibili sviluppi, rimane e s'impone sempre più un'ansia, una ricerca appassionata di rinnovamento nel popolo, nel clero, in tutta la Chiesa.
Tempo di Concilio vuol dire tutta la Chiesa in movimento d'impegno rinnovatore. Se la ricerca di tutto rivedere e tutto rinnovare alla luce del Vangelo parte della base - dall'ultima parrocchia di montagna fino a quelle metropolitane, dalla Congregazione di S. Luigi per bambini fino al Collegio dei Cardinali - potrà incontrarsi e confluire con la fiumana della vitalità perenne della Chiesa traboccante dal Concilio e così inondare questo povero deserto dell'esistere umano per tentare di fare fiorire e fruttificare le sue sabbie aride e riarse.
Abbiamo la triste, angosciosa impressione che questo miracolo non stia, per il momento, avvenendo. O almeno non ne appariscono, molto scoperti, i segni.
Forse non sarebbe difficile una diagnosi. E ci riferiamo, naturalmente, alla nostra povera esperienza, a raggio più o meno limitato.
E' proprio difficile che qualcosa di nuovo succeda sotto il nostro sole.
E viene la paura (e spesso provoca vergogna fino al rossore) di essere incapaci di novità cioè di libertà.
I figli di Dio fermi a mentalità usate e consunte. I nati dalla libertà dello Spirito chiusi dentro i brevi spazi di schemi fìssati da secoli. I salvati dalla Fede in Gesù credenti soltanto nella moltiplicazione delle leggi e delle scomuniche. Chi vuole cercare il Regno di Dio può farlo soltanto a convoglio che corre sull'unico binario... Mentalità chiuse, tradizioni utilitaristiche sacrosante come dogmi, consuetudini inveterate e intoccabili anche se ormai ridicole, sentimento di dignità puramente a titolo di distinzione e di privilegio, sfruttamento del sacro ormai decisamente a tipo profano, continuazione tenace dell'importanza esclusiva dei «nostri» con scartamento penoso degli «altri», affarismo sia pure a scopo di bene e per rendere bella e lucida di marmi la chiesa, clientelismo a scambio religioso-politico, pietismo sentimentale e formalistico, ecc.
E' un anno che i Vescovi di tutto il mondo sono a Concilio (la pausa di ritorno alle proprie sedi non crediamo che sia stata una interruzione, anzi, tutt'altro) e nel blocco granitico di tanta mediocrità religiosa e chiesastica non è avvenuta la minima incrinatura.
E' morto Giovanni XXIII e la sua morte ha dimostrato come è soltanto possibile intaccare la corteccia di indurito paganesimo di questo mondo nel quale viviamo, ma l'abbiamo seppellito devotamente nella sua tomba di bontà e stiamo continuando disinvoltamente a tirare avanti come se niente fosse stato.
Ecco la seconda sessione del Concilio Ecumenico e ne sarà probabilmente la conclusione.
E' tempo di arare la terra, rompere le zolle e nell'attesa della pioggia e del sole, stare pronti perchè il buon seme è per essere gettato a piene mani nel nostro campo.


La Redazione

Tempo di passaggio

Sono giorni di pioggia questo ferragosto e inizio di settembre. Cielo pesante, grigio, acquoso. Anima chiusa, nebbiosa, soffocata. Perchè il tempo bello è passato, l'azzurro è coperto e il sole fa giorno ma non splende violento e appassionato a incendiare di luce e di fiamma. Si vedono le cose e si intuiscono ì problemi, ma in modo annebbiato, confuso, quasi ovattato e assonnato.
Da una stagione all'altra il passaggio è gravoso, veramente carico di fatica. Forse è la fatica che fa la terra a muoversi da una sistemazione stagionale all'altra, è la pena degli alberi, l'angoscia degli animali, lo spavento del tempo che passa, il mistero di tutte le cose che si aggrava, forse è la fatica dell'andare avanti dell'esistere che dà questa strana oppressione, questa stanchezza profonda, questo riuscire a vivere solo per via della speranza.
Eppure tutto è stato chiaro, splendente, radioso. Anche nell'anima, nel mondo misterioso del cuore, nel cielo sconfinato dello spirito.
C'è qualcosa che ha invaso con violenza, ha tutto occupato e tutto sopraffatto, ma non come un estraneo che entra e si approfitta prendendo tutto il posto, ma come se non gli fosse dovuto. No, gli appartiene, è chiaro, è evidente e bellissimo.
E a pensarci bene, la stanchezza e la fatica di adesso è perchè non si è occupati, presi di violenza e sopraffatti.
Non sono capace di andare avanti da solo. Lo so bene ormai che non ho un filo di coraggio, né un'ombra d'iniziativa intelligente. Sono povero bambino che sa soltanto cercare il seno da succhiare. Un povero mendicante che sa soltanto tendere la mano con occhi supplicanti. Un malato rassegnato a implorare un bicchiere d'acqua e una fasciatura pietosa a piaghe inguaribili.
Portami per mano perchè altrimenti non farò un passo avanti. Non vedi che sono cieco pur avendo gli occhi spalancati, ma solo dalla paura?
Non riesco a dire parola che non sia implorazione sia pure dolce e serena. Non ho pensieri e quelli che mi nascono sono già stanchi e sono soltanto pensieri di fiducia e di attesa. E non ho cuore coraggioso ma soltanto aperto, tanto aperto che quasi mi spaventa, e vuoto così tanto che non so come potrà essere colmato.
Sono ancora terra - pur avendo età già così lunga - sono ancora terra che non ho provato le ferite dell'aratro e della zappa e poi la pioggia a ondate fragorose dal cielo e il sole che brucia e riscalda fin dentro. Per questo il buon seme che ritorna generoso di speranza ad ogni stagione, non mette le radici e non fruttifica il cento per uno.
Sono il povero - e forse non è più giusto che sia così - che riceve il tozzo del pane e gli spiccioli e la Bontà e l'Amore, ma poi tutto rimane consumato e speso e al mattino - o passata la buona stagione quando è più facile ricevere ricchezza d'Amore - sono povero ancora, anzi più
povero perchè io ho più bisogno, ma gli altri trovo necessariamente più stanchi nell'Amore per me.
E' passata l'estate. Ecco, adesso tutto è proprio diverso. Forse è come dopo una esaltazione appassionata. Tutto un sogno acceso e vastissimo e risonanze imprevedibili e inimmaginabili, chiuso, spento, svanito all'improvviso: adesso rimane soltanto alzarsi dal letto, vestirsi, lavorare, lottare, soffrire, affrontare concretamente la vita. Il passato, ciò che è stato ieri, un mese fa, in piena estate, è spesso - almeno qualche volta - come il ricordo di una ubriacatura: fissazioni esaltate, visioni accese, irrealtà immaginose eppure concrete, realmente vissute fino all'entusiasmo, alla gioia, a cantare di felicità. Poi tutto adesso è tornato piccolo, gretto, meschino, crudele, impossibile a essere così.
Si parte felici, con tutto il mondo in tasca e l'infinito palpita nell'anima per una gioia incontenibile perchè senza motivi. Non si va a cercare qualcosa, che allora tutto sarebbe preciso e facile ad aversi e comporterebbe misure di ritorno sicure perchè limitate. Si va invece verso l'imprevedibile, spinti dal vento appassionato dell'avventura. Si sa soltanto una cosa, che non potrà accadere nulla di limitato, di gretto, di egoistico, di così e così, o almeno questo si sogna. E' partire senza indirizzi di recapito, ma soltanto con la carta geografica sott'occhio. Senza programmi, ne impegni, né doveri. Ma si sa benissimo che si scaleranno le nuvole, che si prenderanno le stelle con una mano, si camminerà sempre al di là del filo dell'orizzonte, sempre oltre tutto ciò che è di questo mondo, di questa povera e meschina esistenza particolare di ogni giorno. Perchè si può vivere - sia pure come eccezionalità, anche se dopo il rientrare nel normale e adattarsi sarà molto duro e faticoso - si può vivere come all'inizio, prima che la storia fosse, la storia fatta dagli uomini, dai loro egoismi e grettezze e vergogne. Come nemmeno si fosse sentita raccontare, mai conosciuta oppure totalmente dimenticata come un brutto sogno d'incubi.
Allora soltanto il cielo azzurro è azzurro. Il sole è sole. E tutto è nella serena luce della libertà perchè tutto è buono e bello. Splende e trionfa di pienezza scoperta, un filo d'erba, il mio corpo, quell'albero, il gridio delle rondini, perchè l'anima è libera e sovrasta serena, meravigliosa regina dell'universo, per tutto, assolutamente tutto raccogliere davanti al trono di Dio a dire a Lui la Sua Gloria perchè tutto sta adorando, in sacerdozio universale, l'infinita Maestà divina.
Allora si può essere scoperti da ogni velo, liberati da ogni limite di timore perchè si è vestiti dell'azzurro del cielo, del verde dei poggi e degli alberi, di luce e di sole. Avvolti dall'infinito Mistero che avvolge la terra, il mondo, l'universo e gli uomini tutti e ciascuno. Scende dì lassù come un mondo meraviglioso da un trono di Gloria a raccogliere sotto la Sua grandezza infinita anche le più povere cose come siamo noi poveri uomini.
Ma questa stagione d'estate è passata. Forse è stata questione d'istanti, di brevi momenti, come lampi a sprizzare luce, improvvisi. Ma resta nell'anima l'esperienza profonda a segnare, incancellabile, il vero personale destino.
E diventa un richiamo, un invito incessante, un dovere terribile. E' scavata l'esigenza ormai e un bisogno spietato. Non si può e non si deve aspettare nemmeno un minuto. E è giusto giocarsi tutto sorridendo, perchè niente altro può avere importanza.
E' molto bello che succeda qualsiasi cosa, se poi da qualsiasi cosa fiorisce la dolce e meravigliosa Verità che Dio è tutto, che Lui soltanto è tutto e s'impone, concreto e violento, il dovere di un Amore totale.
L'ho capito sotto il cielo azzurro colmato di sole. Sui poggi freschi di verde. Alla sera, e la vallata distesa a ovale immenso ormai nel velluto dell'ombra, si andava disseminando di luci. Di notte, e le stelle lassù si potevano raccogliere con le mani, come i fiori in un prato. Nel respiro, lungo e profondo, della terra che dormiva abbandonata a tutto il suo inimmaginabile mistero. Allora si allargano il cuore perchè tutto entri liberamente e senza paura: cos'è che non ci appartiene e non è fatto per noi? Perchè tutto ciò che è Suo è nostro perchè possa essere ancora Suo e molto di più perchè dopo è arricchito, traboccante d'Amore.
Adesso il cielo è scoperto e un sole nebbioso sbianca di luce opaca le cose. Nell'anima hanno ripreso posto e vorrebbero soffocarla - le trite miserie e i vuoti problemi di ogni giorno. La strada fatta di sassi e intorno le siepi hanno le spine. E gli uomini vogliono essere a tutti i costi nemici sforzando i loro egoismi.
Guardi d'intorno e cerchi di poter sognare, almeno sognare, ma è roba da pazzi. Hai bisogno di vedere la Verità e vuoi toccare con mano l'Amore, ma poi scoprì dolorosamente che era illusione. E ricadi stanco, eternamente, al punto di partenza.
Piove una pioggia sottile in quest'aria calda ancora del sole d'estate e attacca sulla pelle umidiccia di sudore gli abiti ancor leggeri.
Chi mi darà di essere ancora sopraffatto da Dio?
Perchè non basta più - se mai è bastato - un pensiero, un sentimento, una preghiera: qualcosa di Lui.
Occorre che scenda in tutto il Suo infinito e mi prenda e mi occupi e mi sopraffaccia.
Dio ha bisogno di vincere e a resa incondizionata, in trionfo assoluto. E è giusto, ha ragione.
Io voglio che sia così. Ma ho paura in questa morta stagione di passaggio. A questo punto della vita. Quando tutto vuol dire che si va verso il tempo dei frutti.


don Sirio

Preghiera sul molo

Vieni, o Signore,
sull'onda d'un Amore
che sorrida
non che crocifigga

Vieni sul mare
che respira appena
tra l'ali dispiegate
delle Apuane

Un'ora coglierò
miraggio d'oro
se Tu così cammini
nel sereno.

G.M.



Lode del rischio

E' così facile salvaguardare la pace della coscienza e la sicurezza della propria situazione condannando quelli che, a forza di amare i poveri, esagerano un po' e si sbagliano nell'affermazione, troppo assoluta, di certi principi. Quelli che si compromettono e si impegnano, quelli che, con una certa mancanza di misura, che intendono come testimonianza, affermano a proprie spese valori di pace e di non-violenza, di rispetto e di amore dei poveri: a loro non sarà perdonato il linguaggio meno misurato, di sbagliare qualche poco, di fare qualche passo falso. E' così facile non sbagliare quando non si fa nulla, è così facile non passare la misura a forza di una prudenza troppo calcolata, che non osa intraprendere più nulla, più nulla sacrificare, più nulla compromettere! Noi siamo tenuti ad avere un grande rispetto della verità, certamente, e a non tradire mai, nei nostri giudizi e nelle azioni, i principi naturali e soprannaturali che devono dirigere la vita umana. Ma è così difficile, nell'azione e nella concretezza di situazioni umane complesse, scorgere sempre in quale misura gli impegni degli uomini sono conformi in tutto alla verità, che coloro che non vogliono mai infrangere questa verità potrebbero essere così portati a non agire che con una prudenza troppo timorosa o addirittura a non capire del tutto! Questo è perché, mi sembra, non appartiene agli stessi uomini affermare la verità sul piano intellettuale e dell'insegnamento e compromettersi nell'azione. Sono molto rari coloro che possiedono questo doppio dono della chiara visione della verità dei principi e di una azione coraggiosa ed efficace. E' troppo facile, per quelli che non sono chiamati ad impegnarsi nell'azione, rimproverare a coloro che vi si consegnano in totale generosità e buona fede, qualche errore a cui possono lasciarsi trascinare loro malgrado. Santa Teresa d'Avila non diceva forse che chi vuole correre nel cammino dell'amore non potrà non avere i piedi coperti della polvere delle imperfezioni, e che vale di più rischiare questo per amore che rinunciare a camminare per paura di sporcarsi i piedi col fango della strada.
Chi dunque si dà alla chiara visione della verità, come chi s'impegna in una azione efficace, sappia correre - con ogni rischio - sul cammino dell'amore!
Rimane che ciascuno ha il suo compito da svolgere quaggiù e la sua particolare missione. Ma non è da noi gettare la pietra a coloro che, in completa buona fede e nell'estrema generosità del loro amore, potrebbero aver mancato di misura ed essersi sbagliati nella loro affermazione dei principi. Noi gli dobbiamo umilmente il nostro rispetto e il nostro affetto e possa la nostra carità essere trovata nell'ultimo giorno ardente e pura come la loro.
(Dalle pagine di un diario privato)



La dolce pietà di Dio

Sto invocando - e è quasi un gridare - la dolce pietà di Dio. Ma non perchè copra o cancelli peccati e rifaccia l'anima pulita e bianca come la neve. Non so perchè ma i peccati se paura mi fanno e sgomento, è perchè sono qualcosa che complica ciò che è già terribilmente difficile, come un velo che cade sugli occhi quando già poco si vede, come una mazzata in testa quando già tutto è agonia e ombra di morte. E poi perchè me ne dovrei occupare e preoccupare - e non ho voglia e non è giusto dare attenzione e tempo e cuore e anima al male mentre c'è tutto il bene e bontà e verità e Amore a cui pensare e a cui servire. Perchè devo stare a brancicare nel buio, quando fuori vi è tutta la luce? Pensare al diavolo mi sembra che sia togliere qualcosa a Dio che ha diritto di avere tutto, assolutamente tutto, di noi.
E pensare ai peccati con Lui è semplice e facile, basta un istante e tutto è perduto nell'infinito mare della Sua Bontà.
Ma invoco e grido alla dolce pietà di Dio perchè povero e misero, vuoto ed inutile, è questo nostro esistere umano.
No, non posso incoraggiarmi all'apprezzamento e all'entusiasmo orgoglioso perchè sembra che siamo i padroni del mondo.
Ecco ciò che mi spaventa ed annienta: nella tua anima non puoi niente tu e tanto meno io posso qualcosa e nulla possiamo nell'anima del mondo, nella storia degli uomini.
Non ho da poterti dare - e lo vorrei tanto, più che pane morendo di fame e più che acqua agonizzando di sete - una scintilla di Verità e un momento di pace: che importa allora anche se potessi deporre nella tua mano il mondo intero?
E nella tua solitudine di deserto bruciato non sono capace - lo so bene ormai - di far nascere un filo d'erba, di far cadere una goccia di rugiada, di ottenere una zona d'ombra riposante, sia pur piccola come una foglia.
La Bontà stessa - e credevo che tutto potesse - ho visto che non può. Non può varcare l'oceano, scalare ogni montagna, sfondare ogni difesa, spezzare tutte le catene, vincere tutte le diffidenze e paure... Povero cavaliere errante in cerca di affermare la giustizia, voglioso di difendere la libertà e di aiutare i deboli oppressi, pronto al dono di sé fino al sacrificio, perduto a correre dietro a ideali altissimi come le nuvole portate via dal vento! Gli vien voglia - poveretto - di appendere le armi della gloria nella sala da pranzo per mostrarle come pezzi d'antiquariato ai rari visitatori del castello antico.
E anche l'Amore: quello vero, limpido e puro perchè libero da qualsiasi ritorno personale, è forza e violenza appassionata, debole e povera. E' fiumana incontenibile che un fuscello ferma e arresta. E' fuoco a incendio cui la foresta può tanto facilmente sottrarsi e una goccia di egoismo può renderlo fuoco che non brucia. E' sole a mezzogiorno splendente nell'azzurro, ma le imposte di una finestra lo possono spengere e rendere buio ed inutile..
E ti sono vicino, tutto dentro l'anima tua, ma nemmeno te ne accorgi e tanto meno mi ascolti e io so, anche se gridassi fino a morire che le mie parole sono senza voce e peggio ancora senza senso e valore.
Allora - forse perchè mi pare che null'altra cosa sia possibile e utile fare - grido a Dio implorando la Sua pietà per noi poveri uomini ridotti sul lastrico di una povertà infinita. E' la preghiera di anime senza luce, di cuori sconfitti nell'Amore, di braccia, a moncherini, senza mani, di esistenza stanca perchè la speranza sembra spengersi ogni volta che rinasce, di affamati e di assetati senz'acqua e senza pane. Ma non è disperazione perchè è preghiera. E' soltanto e semplicemente invocare aiuto dal fondo - non è destino che debba essere da tutti toccato? - dell'abisso che è questo povero mondo.


La poesia dei giorni

10 giugno - Ora che Papa Giovanni ci ha lasciati, il vuoto si fa tanto doloroso. La sua malattia, le sue ultime parole, il suo volto disteso nella morte ci hanno tenuto ancora in compagnia di questo grande: adesso non ci resta che l'angoscioso «perchè», ho in cuore i versi di David Turoldo: «O Signore mio, amato e crudele».

14 giugno - Passano i miei giorni a riordinare e ripulire la casa. E' considerato così leggero e quasi sciocco il lavoro della donna, eppure mi sembra che il nostro faticare tutti i giorni a togliere polvere e rimettere ordine sia un portare nel mondo un riflesso d'eternità. L'uomo trova la casa pulita e linda, e così in ogni parte del mondo. E' dunque un lavoro nobile questo che restituisce alla terra un poco del volto celeste del Paradiso perduto.

Corpus Domini - Sento così vivo questo giorno in cui particolarmente adoriamo il Corpo del Signore. L'infinità di Dio si fa Corpo, una particola bianca che portiamo in processione per le strade. Dunque tutta la realtà si fa possibilità d'infinito, lievito d'eternità. Proprio la nostra realtà così intrisa di dolore, di fatica, di disinganno possiamo portarla come un ostensorio per le glorie di Dio.

21 giugno - E' morto il nostro vicino di casa, la morte ci riproduce ogni volta l'intensità del suo mistero. Era un ingegnere che tanto amava queste colline e questo verde mare d'ulivi. All'improvviso è andato di là: con che occhi guarderà questa campagna, come sarà il suo sguardo?

25 luglio - Pecol d'Ampezzo - Ho passato giorni muti, ore cieche, affogate in una tristezza senza fondo. Mi è tanto difficile rialzarmi e guardare con fede perfino i crocefissi che quassù spalancano le braccia su tutta la valle. Oggi arriva mio marito, forse ne usciremo insieme.

29 luglio - Ho ricevuto una lettera carissima in cui era stata avvertita, pur da lontano, la mia pena. L'ho letta con tanta commozione. Uscendo nel prato c'era superbo un giglio di montagna, avrei voluto poter mandarlo così, senza altre parole, come risposta.

20 gosto - Sono arrivati i giorni felici tra boschi e rocce, lungo torrenti vivi e laghi luminosi, la gioia è stata di essere insieme e soli quassù dove il cielo è vicino e le crode ne lambiscono l'altezza.

21 gosto - Ieri sera recitando il mio rosario ho tanto meditato il Mistero della preghiera nell'orto. Il Cristo quando chiese al Padre che Gli fosse allontanato il calice della morte in croce non pregava e soffriva solo per sé, era per tutta l'umanità che avrebbe seguito la sua sorte e portato la propria croce per tutto il mondo e per tanti secoli.

25 agosto - Ieri siamo stati al Sasso Pordoi, l'occhio ha spaziato su un mare di cime e vallate, di ghiacciai e contrafforti fino all'estremo orizzonte. Stamani quando il sacerdote ha recitato il Pater durante la Messa ho avvertito, quasi con violenza, quanto sia giusto che prima di ogni domanda per noi, l'anima s'innalzi all'alto dei cieli, invochi la santità del Nome di Dio e chieda l'avvento del Suo Regno.

27 agosto - Stamani in riva al lago di Landro tutto azzurro su cui il vento scendeva dal fresco dei prati, dalla limpidezza delle crode, abbiamo afferrato un riflesso di cielo, forse per l'ultima volta, prima di partire.


Grazia Maggi

Cristianesimo impossibile

La conversazione ha preso subito un andamento assai animato. Frasi taglienti, parole un po' dure, interventi improvvisi. Non lasciar parlare, impossibilità di stare ad ascoltare, insopportazione delle idee altrui, interventi immediati di chi entrava nella stanza in quell'istante.
Le discussioni tra i preti (ma forse anche tra l'altra gente) sono particolarmente colorite e vivaci specialmente per la confusione, il disordine con cui sono condotte e per una certa infantilità di modo di argomentare fino a non rifiutare affatto il cercare di avere ragione sopraffacendo, alla voce, l'avversario. E quindi tattica istintiva è non lasciar parlare, ma cogliere il pensiero altrui a volo, per intuizione e non aspettare che l'altro spieghi a suo agio, con calma e serenità.
Quindi discussioni che sono un mangiarsi le ragioni altrui con disinvolta violenza, finche ci si ricorda che abbiamo altre cose da fare e ce ne andiamo lasciando serenamente tutto al punto di partenza.
Così è andata anche l'altra mattina. E come sempre o quasi è cresciuta la pena e la stanchezza per la troppa differenza d'idee e per il ravvivarsi di un vecchio problema, complesso e difficile, ma che pure dovrebbe avere una soluzione.
Non so, non ricordo bene cos'è che ha dato l'avvio alla discussione. Ma a volte basta che mi presenti o ci si incontri, e vengono fuori giudizi, apprezzamenti o problemi che ormai, ma chissà perchè, secondo tanti confratelli, sono identificati con me stesso, come se io ne fossi il richiamo o l'indicazione vivente.
L'altra mattina il (discorso è caduto su Franco, quel tale della Spagna. Sui «delinquenti» che sta tranquillamente fucilando o garottando per la difesa del suo regime.
Naturalmente non è mancata una qualche precisazione per una doverosa e onesta inquadratura del problema e quindi, subito, l'uscita, ormai consacrata, che se le stesse cose avvenissero, come sono avvenute, in Russia e vicinanze, avrei trovato coperture, scusanti e forse comprensioni.
E subito il discorso si è aggravato in tentativi di approfondimento e di precisazione sui problemi di un regime nazionale costituito, sulla legittimità o meno di tentare di farlo crollare, sui mezzi che è consentito usare e sui mezzi che, se usati, fanno diventare «delinquenti» fino al punto che il dittatore può condannare a morte ecc. anche senza processi o quasi. D'altra parte se certi mezzi di violenza non vengono usati, in certi casi, è praticamente impossibile scuotere una dominazione che è stata instaurata e che si regge proprio sulla violenza.
E la discussione si è accesa sempre più con richiami di cultura scolastica e con accenni alla storia, recente e lontana.
La posizione del cattolico, del cristiano?
Ecco, sembrerebbe che lo spinoso problema, a stare a certi modi di pensare, compiacenti per un ordine stabilito nel quale i propri interessi (quelli immediati e di superficie, evidentemente) sono piuttosto affermati e salvati, per non dire favoriti, sembrerebbe che il cattolico, o la cricca cattolica, che è al potere, sia legittimata a continuare a difendere la propria posizione con qualunque mezzo, compresa la violenza, più o meno legalizzata, l'oppressione della libertà, il non rispetto della persona, ecc. Mentre invece i buoni cattolici oppressi, alla catena (e lo sono anche se sono liberissimi di fare processioni, costruire chiese e accendere candele davanti ai santi, ecc.) devono rassegnarsi, avere pazienza e giudicare «delinquenti» quelli che tentano di fare «qualcosa» per allentare o spezzare le catene e consentire che siano fucilati, garottati, perseguitati, incarcerati o se non altro, fare finta di niente, se non proprio benedire la provvidenza perché «l'ordine» continua a essere mantenuto.
Quando poi succede che la sensibilità di qualche cattolico si risenta, allora ci saranno pronti sempre quelli che propagandisticamente sistemano ogni cosa e rimettono ogni coscienza in pace perchè in Russia hanno fatto di peggio e in Cina, adesso, fanno cose da matti.
Quindi stiamo allegri, solleviamoci da ogni angoscia e liberiamoci da ogni senso di vergogna noi cattolici, se attualmente Franco imperversa con la sua dittatura ottusa e banale in Spagna, se Salazar continua a soffocare il Portogallo e strazia di colonialismo l'Angola, se il cattolico Ngo-Ding-Diem e famiglia per fare dell'anticomunismo schiacciano il Viet-Nam e spingono i bonzi a bruciarsi vivi nelle piazze per protestare e invocare libertà: Stalin ha fatto di peggio, Krusciov, nonostante tutto, non si salva e così Tito e gli altri e Mao-Tse-Tung non se ne parli.
Il discorso è di una pietosità incredibile e insopportabile, ma ancora riesce, dopo essere stato argomentazione usatissima ai tempi delle battaglie elettorali, riesce a risolvere parecchi problemi di coscienza e a mettere l'animo in pace a molti cattolici in questi e in tantissimi altri problemi compresi quelli sociali, di giustizia, ecc.
E questo perchè anche adesso le cose si guardano con mentalità polemica, non con oggettività, serenità e coraggiosa sincerità.
E ce ne siamo andati, ognuno per conto nostro, calcandoci il berretto in testa, con le mani in tasca, a provvedere ai nostri problemetti di ordinaria amministrazione.
Ma noi, fratelli, non si può non piangere e non vergognarci, in questi nostri tempi, per via del cattolicesimo di Franco, di Salazar, di Ngo-Ding-Diem, e riesce difficile per noi, poveri e semplici uomini della strada, sprovvisti di diplomazia e incapaci delle grandi e responsabili ragioni, non patire perchè ufficialmente e chiaramente questo cattolicesimo da dittature non venga respinto e condannato.
Perchè la chiarezza della Verità e l'aperta ricerca della Giustizia nel Regno di Dio sono più importanti delle relazioni diplomatiche e di qualsiasi altro interesse.


un prete

Lettera fra amici

Carissimo Don Sirio,
ho ricevuta in questo momento la sua lettera, sempre tanto cara, e mi precipito a risponderle, perchè non si deve perdere tempo quando, come nel mio caso, debbo chiedere perdono. Sì, Don Sirio, sono stata proprio egoista perchè non le ho scritto subito quando dovevo dividere con lei la grande gioia di sapere E. V. a posto, e finalmente tranquillo. Le debbo proprio chiedere di essere perdonata, perchè sono stata sollecita nel dividere con lei la mia pena, mentre non lo sono stata altrettanto nella contentezza. Vedo infatti, dalla sua lettera, la sofferenza per il bene che le è impossibile fare, e posso dire che la comprendo benissimo perchè tanto spesso questa è la mia stessa sofferenza.
Il patire per l'ottusità del mondo che ci attornia, troppo spesso chiuso ai nostri appelli, diventa spesso anche lo spasimo del mio essere, pure così meschino, e non posso neppure piangere su questa pena, perchè ne verrei incompresa, se non dileggiata. Non so quante volte Dio si sia servito di me per condurre in porto qualche cosa perchè, per fortuna, dimentico subito tutto e posso sempre guardare con patimento vero alla mia nullità. Ma forse i miseri che sperano lo ricordano - e si sparge così presto questa voce umana che sa tentare con l'adulazione! - così che troppo spesso si bussa alla mia porta e ricomincia il mio patimento.
Io, poi, alla mia volta, debbo seccare gli altri e questo mi è così sconvolgente da portarmi alla sofferenza fisica. E forse, all'opposto, nelle fabbriche dove vado a chiedere un posto per questo o per quello, pensano che io sia una petulante ficcanaso, mentre non posso neppure reggermi per il gran tremore delle mie gambe e sento scorrere copioso il sudore. Qualche volta non ne posso più e scoppio perfino in singhiozzi: ma sono sinceri, Don Sirio!
Sento l'egoismo della società umana, come un muro doloroso nel quale batte invano chi soffre: ed è tutto uno sconvolgimento così forte, e che non so descrivere, tanto che qualche volta penso che mi debba uscire il cuore e rompersi proprio su quel muro.
Mi dicono: «Lei non ha le croci, e se le fa!». Ma è perchè la croce di uno deve essere la croce di tutti, la pena di uno la pena di tutti... Non so scindermi da questo complesso umano, benché tanto pochi sono quelli che mi comprendono. La povertà, lei mi dice: per me è sofferenza, ed è un grande sbaglio. Prego Dio che mi liberi da questo tormento, Dio che ha saputo dare il soprappiù a Pietro, con la pesca miracolosa, chiedendogli in cambio l'amore... So di una persona che è serena eppure dà via tutto quello che ha: quando io mi sono spogliata di tutto trovo altri che bussano ancora e non trovano niente, e questo già cambia la serenità in tormento. Io non so trovare gioia nel fare il gesto dei poveri, e quando chiedo, è sempre un atto di miseria che non so colmare, non posso lenire. Per i miei malati, per il Treno Bianco, per lenire qualche disgrazia, vado sì, casa per casa tendendo la mano, ma mi costa tanto sacrificio, tanta vergogna, tanta sofferenza, che non so più qualificare il mio atto. Eppure, mi creda Don Sirio, vorrei amare Gesù molto ma molto di più e meglio che non Lo ami, è questo il mio solo desiderio, e mi sento così male di non saperLo comprende, di non saper fare niente, di valere meno di niente, che mi sento smarrita e infelice.
Dai primi di giugno sono sempre in giro, casa per casa a cercare ammalati per il Treno e, prima, per la Giornata dell'Ammalato: ma quante cose tristi, più tristi del male fisico, quanti bisogni e quale coscienza del mio niente! Povertà di terre abbandonate, povertà di focolari abbandonati, povertà nelle anime e nei corpi! Quante volte rientro in casa avvilita, impaurita di dover arrivare davanti a Dio con le mani vuote! Eppure so anche che Dio mi risponde quasi sempre: solo che mi lascia dimenticare completamente, e molto presto, quello che mi è accaduto. Se da una parte è bene, perchè mi vieta d'inorgoglirmi, dall'altra è male, per la mia stupidità, perchè ecco che io ricomincio presto a piangere per la sofferenza che mi dà l'impossibilità di risolvere tanti casi.
Lasci che le racconti di E. con ogni particolarità, per poterle dimostrare la grande cura di Dio. E. che io non conosco personalmente, è un povero giovane sbandato, solo al mondo, più rovinato dalla mancanza di una guida e la comunanza con esseri corrotti che per sua stessa natura. Avendo l'incosciente persuasione di trovarsi una famiglia in quella inesistente nella Legione Straniera, per pagare la somma pattuita con un losco arruolatore, si appropriò di una macchina da scrivere, e pagò, oltre questo reato, quello di non avere né casa, né famiglia, né i mezzi di sostentamento. Sfruttato, deriso, oltraggiato, bisognoso più di una guida morale che del vero e proprio pane: per questo lo raccomandavo ai Sacerdoti. Avrei potuto farlo venire qui (e forse mi sarebbe costato di meno) ma ero certa di non potergli dare il bene di cui aveva un reale bisogno. A Modena, Mons. R. gli fece trovare un lavoro ma lo lasciò solo; a Roma non seppero che farsene e lo mandarono a Salerno, da un parente più solo e più malandato di lui. Gli vollero dare un'elemosina che rifìutò: non aveva fame di pane, e intanto le sue lettere mi denotavano uno stato d'animo sempre peggiore. D'altra parte, a Salerno non conoscevo nessuno. Erano i primi giorni in cui trapelava qualche notizia sulla malferma salute di Papa Giovanni, e una mattina, in Chiesa, mi rivolsi, al Memento Domine, proprio a lui, l'uomo della terra più vicina a Dio.
Appena di ritorno a casa, ripresi il libro che stavo leggendo: Le lettere di S. Paolo, nella traduzione di Mons. Settimio Cipriani. Casualmente m'accorsi che Mons. Cipriani stava a Salerno. Gli scrissi subito, brevemente, dandogli l'indirizzo di E. «...continui a stargli vicina, e speriamo, con l'aiuto del Signore, di poterlo salvare» - mi rispose; poi, dopo pochi giorni: «Ho il piacere di comunicarle che abbiamo trovato per il Signor E. V. un posto di ragioniere presso una Ditta, con iniziale compenso di L, 60.000 mensili» e l'essenziale: «...sarò ben lieto di aiutarlo anche spiritualmente. Come vede la bontà del Signore sa fare anche i miracoli». La lettera mi giungeva mentre la radio informava il mondo della morte di Papa Giovanni...
Non è meraviglioso tutto questo, Don Sirio? E mi perdona per non avergliene parlato subito?
Grazie, Don Sirio, delle sue buone parole. Con sincero affetto, mi creda


M. R.

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