LA VOCE DEI POVERI: La VdP novembre 1962

I giorni della povertà del mondo

"Beati voi, o poveri, perchè il Regno di Dio è vostro". (Lc. 6,20)

La settimana dal 21 al 28 ottobre scorso è stata sicuramente la settimana in cui la povertà di questo povero mondo è apparsa in tutta la sua tragedia perchè arrivata fino ai limiti estremi forse mai toccati da che mondo è mondo.
Quelle giornate in cui l'esistenza è rimasta sospesa a un filo (il debole e fragile filo di seta della saggezza umana così tanto spesso prossima alla follia - e la storia ce lo insegna), quelle giornate se sono state sentite in tutta la loro pesantezza come l'aria ferma e gravosa quando è lì lì per scoppiare la tempesta, non possono non aver scavato impressioni profonde, suscitato ripensamenti seri e responsabili, ottenuto chiarimenti essenziali.
E' vero che la nostra incoscienza ha risorse inimmaginabili. Il tempo cancella tutto come l'erba nei cimiteri. E già ci stiamo dimenticando - anche su un piano di sensibilità fisica - il significato vero, tragico, crudele della guerra. E il terrore di una guerra nucleare si fa sempre più vago, confuso, nebbioso. Scivoliamo facilmente in una impressione come di impossibile, di assurdo.
E forse in quella settimana siamo stati un po' come il condannato a morte. Ha sentito le parole di condanna. Guardandosi dintorno si ritrova nella cella della morte. Sente i passi del plotone che lo viene a prendere. Ecco, tutto è pronto: il cappio al collo, disteso sotto la mannaia, bendato davanti ai fucili spianati e tutto è ancora come un sogno assurdo. Un gioco strano, di cattivo gusto, certo. Ma non può essere vero. Ecco, fra poco diranno: hai visto era uno scherzo.
Abbiamo pensato - quante volte questa povera umanità avrà pensato come noi, come il condannato a morte perduto in un sogno d'impossibili, che non sarebbe stato vero, che non poteva essere vero e poi invece è stato vero spaventosamente vero - abbiamo pensato che la ragione avrebbe trionfato, che non poteva mancare quel minimo di buon senso, che, diamine, di morire nessuno ne ha voglia ecc. e ci siamo consolati e incoraggiati.
E' proprio terribile pensare - almeno a noi sembra davvero impressionante - che l'umanità sempre più speri e ormai con un ragionamento diventato quasi l'unica speranza (che tristezza e che disperazione che gli uomini non abbiano più che questo motivo per nutrire la loro speranza di non essere spazzati via dalla guerra) che l'umanità sempre più speri che la guerra sia evitata perchè sarebbe guerra atomica, nucleare e quindi distruttiva del mondo.
«Siccome la guerra sarà troppo orrenda, dunque non sarà fatta».
Siamo davvero poveri, ma poveri fino al lastrico, se il motivo di una ricerca di pace (e pace è giustizia, è tranquillità nell'ordine, è rapporto sereno, è Amore vicendevole..) è ormai soltanto l'orrore di una guerra.
La nostra civiltà di sta impoverendo e immiserendo fino al punto che sta costruendo la sua ricerca della pace - frutto unico e supremo della civiltà - per mezzo del terrore spinto fino all'estremo.
In quella settimana l'umanità si è aggrappata a quest'unica speranza. Tutti abbiamo confidato nell'evidenza di questo ragionamento. Una settimana in cui l'umanità ha implorato pietà confidando che la spaventosità di ciò che sarebbe successo muovesse a compassione la sensibilità (ciò che di più volubile e inafferrabile esiste nella creatura umana) di un paio di uomini.
E in quella settimana abbiamo avuto le prove chiare e spaventose che sia l'uno prima e l'altro poi, hanno rischiato fino all'orlo estremo dell'irreparabile.
Evidentemente ancora una volta contare sulla pietà degli uomini è fiducia sciocca, è speranza a vuoto. Come fare affidamento sulla loro saggezza.
Non sono considerazioni per concludere a pessimismi drammatici, ma è perchè è doveroso fare il punto del camminare della nostra civiltà e misurare il rischio che ancora incombe e pesare i motivi che decidono.
La storia dell'umanità è ancora tutta come quando eravamo ragazzi: ci si metteva una paglia su una spalla e si diceva in tono di sfida, con già i pugni stretti e decisi: ora se hai coraggio gettala giù. E l'altro o se la dava a gambe o se si azzardava succedeva il finimondo.
Questa volta ha vinto la paura. Forse è un pezzo che si campa sulla paura. Può venire la tentazione di approfittarne. Può darsi che succeda di dover dimostrare di non averne. Sta il fatto che chi governa il mondo e decide dei suoi destini è la paura.
Il giorno che la paura diminuirà, da una parte e dall'altra, sarà il disastro.
Arrivati a questo punto, se fossimo logici dovremmo accorgerci che in fondo non siamo che dei poveracci. Sballottati di qua e di là dal vento di tramontana o di scirocco, non abbiamo sicurezza di nulla. Mai come adesso, forse, nella storia dell'umanità tutto è scosso fin dai fondamenti. Tutto è veramente in crisi.
Dall'insicurezza dell'esistenza a quella politica ed economica. Dalle incertezze dei principi fondamentali alle dubbiosità dei valori umani e morali, è scaduta e scade sempre più la fiducia in se stessi e nel prossimo, nella società e nell'umanità. E' uno scardinamento generale, un ridursi all'istante presente e chiudere tutto in quello che abbranchiamo con le mani.
Viviamo di accattonaggio. Fino a mendicare il diritto di vivere. Fino a elemosinare, implorandola, un po' di pace.
Siamo sul marciapiede a mostrare i moncherini, nudi e arrossati di freddo, per intenerire chi può darci uno spicciolo di pietà.
Sarebbe utile per tutti da quella settimana di paura universale riconoscere che la povertà è pane quotidiano per tutti, è l'acqua che beviamo e l'aria che respiriamo.
La ricchezza, la potenza si rivelano sempre più realtà provvisoria, valore falso, apparenza vuota. Paludamenti sontuosi sopra manichini in vetrina. Belletti a tingere di vivacità visi smorti.
E' perchè l'umanità non perda ma acquisti i valori essenziali che la storia è spietata e, nonostante tutto, riduce l'umanità all'incapacità di risolvere perfino i problemi dell'esistenza e della sopravvivenza.
Perchè ogni tanto, quasi a scadenze fisse, c'è bisogno della tempesta perchè l'aria torni limpida e trasparente e le cose riabbiano il loro colore e la loro semplice e naturale evidenza?
Forse la storia ci impoverisce spietatamente perché l'Amore fra gli uomini sarà possibile soltanto se valori comuni ci uniranno, e la povertà ai nostri tempi - almeno quella fondamentale che sta alla base dell'esistere umano - è veramente realtà comune. E' da questa povertà che può nascere la semplicità e l'umiltà cioè la gioia di essere fratelli.
Perchè è stato detto e le Parole sono incise a fuoco fino a fare piaga o ferita gloriosa, nel destino di ciascuno e di tutti gli uomini, che il Regno dei Cieli è di coloro che credono nella povertà.
E la pace come tutto il resto, è fiore che sboccia e fruttifica soltanto nel Regno dei Cieli, sulla terra di Dio.


La Redazione

Mese di novembre

Una volta - fino a qualche tempo fa ma non molto, mi sembra - capitavano, ogni tanto, momenti particolari determinati da qualche occasione o circostanza, meno spesso da improvvise sensibilità interiori capitavano avvertimenti strani e misteriosi circa il mistero della vita e quindi intorno al buio della morte.
Ora invece sta succedendo il contrario. La presenza dell'avvertimento - forse è meglio dire della sensibilità - del mistero della vita e della morte è continua e capita di rado assai qualcosa che distragga fino in fondo, in modo che qualcosa possa essere vissuto - vissuto nel vero senso della parola, cioè accolto e partecipato fino alla totalità - a se stante, per realtà propria e indipendente da un rapporto al mistero della vita e della morte.
No, no, non è una presenza drammatica e tanto meno romantica questo confondersi in unica realtà del vivere quotidiano con le profonde ragioni dell'esistenza. E non comporta affatto spavento o sconforto e forse nemmeno stanchezza. Tanto meno succede che i valori di questo mondo perdano consistenza concretezza o importanza. Tutto rimane al suo posto e conserva la sua splendida preziosità. Soltanto che forse è cambiata la capacità visiva, c'è un altro modo di vedere perchè sicuramente vi è più luce, più calore.
Non vi è mai successo di vedere quanto il mondo è diverso - più bello - la sera quando il sole è appena, appena calato dietro il filo splendente dell'orizzonte?
Le cose non sono più immerse nella luce e sopraffatte e come vinte ma adesso palpitano di luce propria nella leggerissima penombra che tutto avvolge. Restituiscono per qualche istante la luce che le ha accecate lungo la giornata di sole e splendono chiare di serenità tutta intima e segreta. E l'ombra sopravviene perchè quella luce si spenge a poco a poco. La restituiscono le case e gli alberi e il mare e poi anche le montagne perché al mattino possa ancora ritornare.
E forse l'autunno, questo dolce mese di novembre, è bello, quando si è avanti negli anni, perchè ci somiglia così da vicino. Mi sembra di vedermi, di vedere la mia anima scoperta e distesa in tutto il suo mistero così meravigliosamente avvertito, lungo il sentiero fra i pini umidi di pioggia, nel sottobosco fermo e stanco nel suo lento e tranquillo morire, sulla terra coperta di foglie bagnate, a strati, abbandonate, vive soltanto il colore acceso e mescolato, come ricordo di sole, di vento, di azzurro.
Ora l'aria è calma e il vento vuole soltanto scheletrire gli alberi e muovere le nubi per portare pioggia lunga, sottile, come la pazienza a coprire il mondo. E' tempo di pace consapevole, di visione serena delle cose, senza fretta e orgasmo, senza dramma e tanto meno tragedia.
Bisogna prendere coscienza del mistero. Ora è diventato scoperto. E' sotto ogni albero fra le foglie cadute, E sul velo di seta disegnato di colore, disteso sul mare così calmo e fermo come non mai durante l'anno. E' diffuso dovunque come l'umidità vellutante ogni cosa. Come la tristezza e la malinconia, laggiù in fondo, a cristallo liquido, negli occhi.
Allora raccolgo con dolce serenità il dramma dei rapporti fondamentali della vita e della morte. Sono realtà che si spiegano a vicenda. Si schiariscono soltanto legandole insieme in relazioni essenziali. Hanno luce propria e soltanto fondendosi illuminano il mistero infinito del mondo.
Ora penso, con pensiero continuo incessante come un camminare senza soste, che morire rientra a buon diritto nella logica della vita. Mi pare che la spieghi come un qualcosa che ordini una realtà ad un'altra.
Diversamente rimarrebbe come fine a se stessa, e quindi una fissità assurda, irrazionale. Sarebbe qualcosa che è essenzialmente movimento, costretta invece all'immobilità.
La vita è un dono, un dovere senza limiti: siamo così assurdi quando vorremmo tenerla tutta nelle nostre mani. Fermare l'acqua del fiume. Impedire il volare del vento.
Morire è continuazione di tutto. E' poter non fermarci mai. E' varcare la soglia per dove la vita può continuare ad espandersi. Cammino che entra in una strada senza fine.
Sento già che in qualche modo questa strada è imboccata. E' assai di più di quando studio la carta geografica prima d'iniziare un lungo viaggio.
Cammina già, lo sento bene, su questa strada senza fine. Nulla ormai è conclusione, visto e sentito come punto di arrivo. L'orizzonte si sposta sempre più avanti quando si è cominciato il viaggio senza meta. E non vi sarà orizzonte possibile a raggiungersi.
Sembrerebbe che ne venisse uno smarrimento o un senso di stanchezza terribile. Ma questo invece succede quando vi sono programmi fissati come quelli che viaggiano affidati alle Agenzie di turismo.
Qui no, qui è visione libera e aperta. E il tempo ha già perduto assai dell'ossessione del suo passare. Nessuna fatica per trattenerlo, nessuna volontà per impedirne lo scivolare silenzioso e veloce come quello delle ombre.
E' molto bello dare libertà al tempo, affidandoci alla sua dolce corrente di fiume verso l'oceano.
Non sembra, ma la vita acquista serietà essenziali. Rimane conosciuta nella sua intima natura, scoperta nella sua profondità d'esistenza vissuta nella pienezza della sua verità.
Ma non è tutto. Vi è ancora di più in questo dolce novembre. In questo numero di anni. Nel maturarsi dell'esperienza raccogliendo tutto assolutamente tutto fino a un bicchiere d'acqua, un filo d'erba, la storia umana, un cuore caldo d'Amore, una speranza accesa e nascosta laggiù in fondo, negli occhi... e a un certo punto è come toccare il fondo delle cose, è come averle esaurite, conosciute, raccolte e vissute - tutto quello che sono e che possono dare.
L'impressione che non si possa essere qualcosa di più, che non sia possibile qualcosa di nuovo. E' possibile soltanto, ormai, ricominciare da capo, ripetere e ripetere.
E' allora, quando l'esperienza è di pienezza e si sa che sulla terra di più è impossibile, è allora che viene voglia di morire; andare cioè oltre ancora di là dal limite dove limite e misura non sono più, ma libertà soltanto verso uno spazio infinito.
La vita terrena forse è solo un avviare il cammino. E' per cominciare a guardare in alto. Per abituarci gli occhi alla luce, per imparare ad aprire il cuore scavando vastità incolmabili.
E quando tutto questo si va facendo dentro l'anima nostra, allora l'esistenza sempre più entra nella logica della morte. Ne diventa dolcemente una necessità, un bisogno vitale, un richiamo irresistibile.
Tanto più poi quando questa ricerca essenziale diventata esperienza del limite e scoperta dell'infinito, è Dio che la compie. Succedono allora momenti supremi di chiarezza, serene violenze interiori di totale Verità e d'infinita potenza di Amore. E' l'entrare del tempo nell'eternità e dell'eterno nel tempo. Dio allarga il Suo Infinito in una povera anima e in una povera carne. Non si può non desiderare l'unica cosa desiderabile, morire, perchè tutto si compia e sia vero senza più la paura del dopo.
Perchè di questa Verità e Amore, tutto è segno e immagine e rassomiglianza e quindi gioia e felicità, ma in misure troppo ristrette e poi possono distrarci e forse disorientarci. Soltanto la morte vincerà questa paura, dissipandola in certezze assolute.
Ora cammino con gioia sugli strati di foglie bagnate, rosse come il rame bruciato.
E' come camminare sulle pagine di un libro che racconta una storia lunghissima, lunga quanto la storia del mondo.
E su quelle pagine-foglie vi è illustrato a colori - e sono così vivi e accesi, fondi e misteriosi - anche il mio mistero, quello della mia carne e dell'anima mia. E' tutto chiaro il mistero, adesso, in questo sentiero del bosco, fra questi alberi stanchi, sul velluto di foglie di rosso ingiallito mangiato di ruggine.
E' tutto in questo mese di novembre triste e pesante eppure colmo di Verità e carico di promesse.


don Sirio

3 - Preghiera degli invitati a cena

Preghiere per il Concilio Ecumenico

Ti siamo stati sempre amici, Signore. E la tua amicizia era una gloria per noi. Un onore l'obbedirti assecondando i tuoi desideri. E i tuoi inviti alla tua mensa sempre li abbiamo accolti con gioia.
Però da tempo qualcosa di Te ci pesava. Non potevamo dirtelo perchè perfino a noi stessi avevamo paura a confessarlo. Senza nemmeno avvedercene ci siamo allontanati da Te.
E forse è stato perchè Tu, a lungo andare, pretendevi troppo da noi. Per una cena ogni tanto o un convito, quante cose ci facevi perdere o sacrificare. E i tuoi inviti ormai erano incubo pesante, quasi schiavitù obbligata.
A poco a poco le nostre cose, i nostri interessi, i nostri ideali hanno perso importanza. Ci sembrava che fosse possibile metterli d'accordo con la tua amicizia: E sono arrivati a trovarsi sul tuo stesso piano, alla pari con Te.
Lo credevamo che Tu nulla avresti perduto. Ma il cuore degli uomini non può essere diviso: l'abbiamo capito di colpo appena i tuoi servi sono venuti a farci l'invito alla tua cena.
E' vero, ci hanno sorpresi impegnati, ma forse da tempo avevamo ,già detto di no. Di no al tuo modo di pensare, di sentire. Di no a Te in tutto quello che sei. Tu hai capito che i nostri motivi erano povere scuse. Però per noi ormai erano cose importanti fino al punto che ci avevan portato alla scelta. E Tu per me ormai eri meno valore di un campo e per me stavi al di sotto di cinque paia di bovi e per me nemmeno per ombra valevi la mia giovane sposa, bella e pronta all'amore.
Non potevamo accettare il tuo invito, era impossibile sedersi alla tua mensa: il nostro cuore e l'anima nostra era nel campo, fra i buoi aggiogati, a fare l'amore con la giovane sposa.
E non siamo venuti. La terra sembrava bastarci, così la ricchezza e l'amore.
D'altra parte perchè Tu vuoi tutto da chi consideri amico? Perchè pretendi che si debba star lì soltanto ad attendere il tuo invito?
Non ti degni nemmeno avvertire per tempo. Non dai peso per niente ai nostri interessi. Non sopporti che anche noi abbiamo i nostri impegni..
Però dopo abbiamo capito. E' dura la lezione, ma l'abbiamo capita. Non sappiamo se ne avremo il coraggio, ma da allora ci è stato chiaro che per essere pronti al tuo cenno, disposti ad ogni tuo invito, capaci della tua amicizia, bisogna essere poveri.
Li ho visti dal mio podere alzando gli occhi al di sopra dei filari di viti, li ho scorti riposandomi un momento dalla prova dei buoi e, dalla finestra aperta sulla strada insieme a mia moglie, ho seguito tutta la scena.
Varcavano la soglia del tuo palazzo a due, a tre, a gruppi insieme, correndo, incespicando, tirandosi dietro i ciechi per mano: erano storpi e sciancati, vestiti di stracci e la barba incolta..
Hanno occupati i nostri posti con serenità e gioia. Disinvolti e sereni. Erano veramente a casa loro. E Tu finalmente hai avuto dei veri invitati, dei sinceri amici.
Ti preghiamo di aiutarci perchè sappiamo vendere il podere al primo che capita. Vogliamo disfarci dei buoi: piuttosto il carretto e l'aratro lo tiriamo a braccia. E una donna non vogliamo che sia un ostacolo: anche lei ha bisogno di Te, anche lei aspetta il tuo invito come ognuno di noi e insieme possiamo e dobbiamo venire alla tua cena.
E se è necessario - e forse lo è davvero, Signore - aiutaci ad essere ciechi, dacci di essere storpi e zoppi, poveri ridotti sul lastrico, agli angoli delle strade, coperti di stracci a stendere la mano.
Si, Signore, perchè vogliamo essere sicuri che quando il tuo invito verrà, in qualsiasi momento, all'improvviso, come Tu sei solito fare i tuoi inviti, noi siamo pronti a venire.

(Vangelo di S. Luca 14, 16-24)


Cristianesimo impossibile

Nell'anticamera di un Vescovo. Una stanza alta, solenne, drappeggiata a damaschi rossi. Un tavolo pesante, con libri e riviste. Due armadi a vetri opachi e poche sedie, di quelle vecchie, coperte di cuoio.
Avevo accompagnato un giovane chierico a parlare col Vescovo. Stavo aspettando che il colloquio terminasse e leggiucchiavo, sfogliandolo, un libro dove il Ministro Togni ha raccolto tutte le nuove chiese costruite in Italia durante di tempo del suo regno al Ministero dei Lavori Pubblici, col contributo dello Stato. E cercavo con vivo interesse sperando di trovare qualche Chiesa che fosse passabile: ho sempre sognato di costruire una chiesa, così come me la vedo nel cuore.
Sento dei passi dall'immenso salone - mi vengono sempre in mente i pattini a rotelle ogni volta che l'attraverso, e mi perdonino i vescovi pitturati lassù in giro, solenni e lontani come gli anni e i secoli nei quali sono vissuti - immenso salone che bisogna percorrere in tutta la sua larghezza per arrivare all'anticamera del Vescovo.
E' un prete, anzi un Monsignore. Ci salutiamo da buoni amici, abbiamo cominciato quasi insieme a fare i preti anche se, come succede, le strade percorse sono state poi molto diverse. Non attacchiamo però a parlare. Io continuo a cercare una chiesa che mi piaccia sul libro dell'On. Togni.
Altri passi dall'immenso salone dei pattini a rotelle. Questa volta non rimango incerto, è proprio un Monsignore: e uno di quelli importanti veramente nella diocesi. Saluti e convenevoli con un particolare, sentito rispetto.
E i due Monsignori cominciano a parlare. L'ultimo arrivato si rallegra col primo perchè ha ormai a buon punto grandi lavori per le Opere Parrocchiali nella sua parrocchia. La soddisfazione è vivissima e, capisco bene, molto giustificata. Non c'era un buco dove fare l'Adunanza di Azione Cattolica, non una stanza per scuola di Catechismo. Dopo invece sarà un'altra cosa.
«Ho saputo, dice ancora il secondo Monsignore, che hai avuto un bel malloppo di milioni, e in quattro battute».
A questo punto chiudo il libro dell'On. Togni, evidentemente la cosa mi interessa.
E vengo a sapere tutta la storia. C'è in parrocchia un senatore. Il parroco una sera, così, quasi senza molte speranze, porta un progetto. Dopo pochissimo tempo, arrivano - mia che bravo il Senatore - venti milioni per le Opere Parrocchiali, come primo contributo.
«Non ti nascondo, dice ancora il secondo Monsignore, - dico secondo in ordine di entrata - che si rimane perplessi quando si pensa che tanti altri parroci hanno domande, e per costruzioni di chiese, giacenti da anni presso i Ministeri e non vanno avanti di un passo».
E a questo punto anch'io comincio a raccontare qualcosa. Come potevo non dire quello che penso?
La vecchia storia del brav'uomo Deputato o Senatore, pieno di Fede e di zelo, che si dà tanto da fare per far avere i milioni dello Stato che poi, cammin facendo, voler o no, acquistano tutto il tono di un favore personale. Il clero che vende la propria liberta e indipendenza per comprare i muri di una chiesa e quelli delle Opere Parrocchiali. Se questo non si fa, orribile a dirsi, ma è così, allora le chiese non si costruiscono più e non si avranno mai stanze e scuole, le attrezzature moderne per un apostolato moderno, ormai imposto dai tempi.
E poi cosa dovrà fare quel povero parroco che non ha un senatore o un deputato in parrocchia? Cercherà di farsene uno quanto prima, poveraccio, se gli premono le opere parrocchiali e se ha un po' di zelo per la Gloria di Dio, e fare un senatore o un deputato costa assai in questi tempacci in cui gli intrallazzi, i traffici e il darsi da fare, sempre più sono le vie normali per una
affermazione politica.
O dovrà rassegnarsi a lustrare le scarpe e dare l'impressione di fare da codazzo elettorale a questo o a quello al seggiolone già arrivato e consolidato.
Dove si va a finire, insistevo con una certa malignità ma giocando a carte scoperte davanti ai problemi, dove si va a finire, se è vero quel principio di morale che dice: non si può fare il male
perchè ne venga un bene?
L'atmosfera si era andata leggermente scaldando in quell'anticamera del Vescovo e meno male che la porla si è aperta e quel povero ragazzo è uscito, ma era raggiante e felice perché certi Vescovi sono proprio una gran cosa.
E ce ne siamo andati per la nostra strada, anche se è tanto sassosa e spinosa e pare che non conduca mai a niente, si cammina e si cammina e non possiamo mai dire: abbiamo raggiunto
qualcosa, concluso qualcosa.
Era venuto presso di me perchè prima di andare agli Ordini sacri voleva fare una esperienza di lavoro. Di lavoro materiale in mezzo a lavoratori, veramente, uno di loro.
E ha lavorato alla pitturazione di barche, fra gli scaricatori del porto, vivendo giornate di fatica e ore di preghiera, la sera, per portare il peso della giornata di tutti a Lui che porta nel Cuore il peso di tutta l'umanità.
Ma aveva dovuto stare attento perchè i superiori non lo sapessero. Tutto è stato necessario che si svolgesse nel segreto, nascostamente, come qualcosa di proibito, di mal fatto, di pericoloso.
Non si può non pensare, senza mancare, di rispetto a nessuno, Dio ce ne guardi, e non lo vorremmo mai assolutamente - non si può non pensare che la luce del sole non dev'essere soltanto per la costruzione delle opere parrocchiali, ma anche per la continuazione di un Mistero, anche nei suoi metodi e mezzi e mentalità di scelta concreta e storica, cominciato duemila anni fa e vissuto per trent'anni dal Figlio di Dio fatto Uomo.
Perchè il nostro cuore - povero quanto si vuole e buono a nulla - è sempre con Lui e ha nostalgia di tutto ciò che è stato il Suo sogno, la sua speranza, la Sua forza.
Perchè noi guardiamo al lavoro di falegname del Figlio di Dio, alla sua povera casa di Nazaret, al suo lungo silenzio non soltanto come ad una lezione meravigliosa di umiltà. E guardiamo alla sua povertà di pellegrinante predicatore del Regno, ascoltiamo le Sue Beatitudini e tutte le Sue parole non soltanto come esortazioni alla virtù. E ci sgomentiamo davanti al Calvario e alla Croce... ma tutto è perchè pensiamo e crediamo che tutto questo Mistero di povertà e di morte deve essere vero, concretamente presente, storicamente attuale, nel nostro tempo, vivo e vivente per mezzo della nostra carne e dell'anima nostra.
Vedrai quante volte, caro ragazzo che hai voluto conoscere gli operai da vicino e che fra pochi mesi sarai prete, vedrai quante volte sentirai più terribile della lussuria la tentazione di metterti a costruire chiese di pietra e opere parrocchiali. E per vincere questa tentazione nessuno o quasi ti aiuterà, all'infuori di Lui, di Gesù.


Un Prete

Poesia dei giorni

* 14 settembre - Sono entrata nella Chiesetta del Porto pensando quanto sia assurda tutta la creazione se non si apra il cuore ad un'immensa donazione d'amore. La Chiesetta era al buio ed anche io ero al buio riguardo a questo amore che così facilmente si dà nella gioia e che si inaridisce nel dolore. Alle mie spalle è entrato qualcuno che ha acceso la luce e sulla nuda parete del fondò si è disegnata grandissima la croce. Ho di nuovo capito che l'amore vero
è in quell'arido dolore.
* San Francesco - Si pensa molto quando siamo ammalati, anche San Francesco ha fatto il suo radicale cambiamento durante la malattia. Così a letto sento la creazione come se fosse stata spinta da Dio fino al margine estremo: ha travalicata ed è stata salvata, ma rimane sempre sul margine tra ombra e luce, tra odio e amore, tra benedizione e maledizione. Chi sa amare così l'Amore vale più di un Angelo.
* 10 ottobre - La malattia ci rende scoperti, trama di sensibilità pronta ad accogliere tutto. Così scopro l'autunno quest'anno: una stagione vibrata e misteriosa, la morte dipinge sulle foglie i colori più splendidi e la sera l'ombra scende presto, dolcissima a preparare anch'essa la stagione che cadrà nel freddo e nel buio. Ma oltre l'ombra c'è un accendersi di lumi, un ritrovarsi insieme nelle stanze e nei tronchi che si denudano la linfa soltanto riposa. La morte annuncia la sua misteriosa continuità.
* 20 ottobre - «Signore cosa fai?» sono le parole sgomente di Giacobbe alla morte di Rebecca nella trilogia «Giuseppe e i suoi fratelli». Così commenta Thomas Mann: «Ma è gloria dell'anima umana se a causa di questo silenzio ella non dubita di Dio ma sa invece comprendere e farsene viatico di grandezza...».
* 25 ottobre - Pensiero di Padre Pouget: «Noi non siamo che un effetto contingente sospeso sul non-essere dall'Onnipotenza».
* 1 novembre - Le campane riempiono il cielo della gloria dei santi. Coloro che oltre la cupidigia sono stati poveri, coloro che oltre l'ira sono stati miti, coloro che oltre la gioia hanno pianto, coloro che oltre l'ingiustizia hanno sofferto per la giustizia, coloro che oltre l'odio hanno usato misericordia, coloro che oltre il peccato sono rimasti puri, coloro che oltre le inimicizie sono stati pacifici. I santi hanno superato la barriera del mondo, hanno affondato le radici nella beatitudine e sono cresciuti al cospetto di Dio.


Grazia Maggi

Colloquio notturno

E quando la notte fonda
ha già inghiottito uomini e case,
una cella mi accoglie
esule del mondo. Gli altri
nulla sanno di questa mia pace,
di questi appuntamenti.

Forse neppure io stesso
saprei rifare l'itinerario del giorno,
ripetere la danza del mio Amore.
Quasi nulla avanza di me
la sera: poche ossa, poca carne
odorosa di stanchezze,
curvata sotto il peso
di paurose confidenze.

Allora Egli mi attende solo,
a volte seduto sulla sponda del letto,
a volte abbandonato sul parapetto
della grande finestra. E iniziamo
ogni notte il lungo colloquio.

Io divorato dagli uomini, da me stesso,
a sgranare ogni notte il rosario
della mia disperata leggenda.
Ed Egli a narrarmi ogni notte
la Sua infinita pazienza.
E poi all'indomani io, a correre
a dire il messaggio incredibile
ed Egli fermo al margine delle strade
a vivere d'accattonaggio.



David Turoldo

Capacità di novità

Domani è un mese che il Concilio ha iniziato i suoi lavori. Di cose importanti concluse niente sappiamo. Conosciamo i temi discussi, le materie trattate; e quindi in qualche modo i diversi problemi - specialmente in campo liturgico fin'ora - e le loro soluzioni prospettate.
Intanto corrono invece, com'era da aspettarsi, le notiziole, le curiosità rispettose o meno secondo il tipo di giornale che ne parla, intorno a Vescovi e Cardinali, ai diversi gruppi e alle diverse correnti,
Continua l'aspettativa di cose nuove, di mutamenti radicali, di svolte decisive, anche se gli avvenimenti politici di queste ultime settimane hanno messo il Concilio un po' in disparte.
Ma spesso questa aspettativa è ancora attendismo passivo. Quasi si ha l'impressione che si stia aspettando come una formula magica, qualcosa che imposti nuovi sistemi, rinnovi le strutture, rianimi il problema religioso e converta il mondo.
Ancora niente di tutto questo e l'interesse intorno al Concilio è diminuito. La solita superficialità ci prende e ci soffoca. Quella mentalità passiva e attendista così curata nei tempi passati che ha servito così bene forme di ricerche di Regno di Dio ormai in disuso, sta portando i suoi frutti.
Siamo come bambini viziati bisognosi sempre di nuovi giocattoli per non sbadigliare dalla noia.
Intanto sta il fatto che quei problema di innovazione liturgica fino a novità di espressione religiosa veramente coraggiose proposte da Vescovi in terra di missione, hanno avuto pochi consensi fra noi e, quel che è di più, poco interesse.
Mi pare che nei confronti di questo Concilio Ecumenico, almeno nella nostra terra, vi sia tanta voglia di novità, di riforme, di rinnovamento, ma non sarebbe senza utilità studiare quanto il nostro cattolicesimo, la nostra mentalità cristiania, il nostro tradizionalismo così incartapecorito e campanilista, sia capace di innovazioni, disposto alle riforme, sensibile a un rinnovamento.
Era lavoro da fare, questo, da un pezzo, prima del Concilio. Mancherà al momento giusto il terreno zappato, liberato dal bosco e sottobosco. La nuova casa sarà difficile costruirla perchè troverà ancora in piedi, sia pure cadente, quella vecchia o almeno le macerie ancora ammonticchiate, livellate dalle ortiche.
Il nostro mondo religioso praticante - il Concilio deve fare i conti in qualche modo con i «buoni», con i «nostri» - in fondo ha voglia di novità assai meno di quello che si pensa. Oltre quella discreta misura di curiosità non vi è profondo bisogno di rinnovamento, perchè non si è stanchi abbastanza (ammesso che un po' di stanchezza vi sia) del formalismo tradizionale, del conformismo facilone capace con assai poco di sistemare ogni problema di coscienza ovattandolo con un devozionalismo da quattro soldi e da cinque minuti di tempo.
E' da secoli che si cerca di sistemare il problema religioso in una pratica, in tre o quattro cose da fare, sempre più ridotte in ordine alla fatica e al tempo richiesto. E' come aver fatto tanto fatica a ridurre, restringendolo sempre di più, l'orizzonte a un cerchietto piccolo piccolo, piccolo come il proprio egoismo fino al punto che il mondo finisce dentro i confini di se stessi e nel breve giro dei propri interessi religiosi e materiali e poi rischiare che questo cerchietto sia rotto e riaperto e riallargato a immensi orizzonti.
Perchè è logico - e se ne annusa assai facilmente il pericolo - che le novità saranno tutte contro sistemazioni egoistiche, urteranno contro mediocrità inveterate, butteranno all'aria mentalità accomodate e aggiustate con ogni cura e premura.
Perchè rinnovare vuol dire, nel fatto religioso cristiano, rifarsi da capo, ritornare per quanto è possibile all'origine, ricominciare. Il che vuol dire rifarsi al Vangelo, guardare a Gesù più da vicino, riprendere la sua strada e rifare il cammino della Croce.
Non siamo pronti alle novità, non siamo capaci di innovazioni. A voler essere sinceri non ne abbiamo nemmeno voglia.
Le novità richiedono coraggio. E coraggio occorre nel riconoscere che tanta mentalità è lisa e rattoppata come un vecchio vestito. Tanta pratica religiosa ormai è vuota, Spremuta come un limone strizzato fino all'ultima stilla. Gran parte di istituzioni religiose fanno acqua come una vecchia barca. E troppi organismi dai quali ricevere energia sono come motori sfasati, ciurlano troppo i pistoni nel cilindro ormai consumato.
La Chiesa nel radunare il Concilio Ecumenico ha avuto questo meraviglioso coraggio: perchè questo Concilio Ecumenico, prima di ogni altra cosa, è riconoscimento, franco e aperto, che molte cose non vanno bene, non tutto funziona a dovere, molto c'è da rivedere e riparare.
Ma dopo, insieme a questo coraggio di visione chiara delle cose, occorre l'altro coraggio, quello di mettere mano con energia a tutto ciò che occorre per un risanamento totale.
Occorre allora diffusa in ogni credente, in tutta la Chiesa, in tutta la Cristianità, l'infinita Grazia dell'Amore della novità, del bisogno di rinnovamento.
E' esame di coscienza da fare circa questo essere capaci delle novità, questo essere pronti alle cose nuove, quelle diverse da come pensiamo e sentiamo, fino a essere totalmente pronti e disposti a lasciare il vecchio per il nuovo.
E' condizione questa essenziale perchè la novità possa esserci data e donata dallo Spirito Santo e dalla Chiesa.
"Nessuno mette del vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino nuovo romperebbe gli otri e il vino si verserebbe e gli otri andrebbero perduti. Ma bisogna mettere vino nuovo in otri nuovi". (Lc. 5, 37-38).


* * *

Il sapere soffrire

Sono tanto felice Signore e Ti ringrazio immensamente della grande grazia che mi concedi: la sofferenza.
Mi è molto penoso dover rinunciare anche per un solo giorno a nutrire la mia anima con la Santa Comunione. O mio Signore, Ti chiedo di far sì che il mio povero cuore divenga simile al Tuo; sono assetata del Tuo divino Amore.
Signore, rendimi umile!
L'unica mia preoccupazione è questa: fare sempre la Tua volontà o Signore.
Soffro e soffro tanto, ma con questo non faccio proprio nulla di straordinario né tanto meno di eroico: faccio soltanto il mio dovere verso Colui che ha dato la Sua vita per me.
Signore Ti ringrazio di darmi la forza di saper nascondere tutte le mie sofferenze: queste rimarranno sempre un segreto fra me e Te.
La mia croce è pesa, ma non la sento neppure perchè il Signore la vuole sorreggere tutta Lui.
O Spirito Santo, vivida luce, caldo sole d'amore, possiedi la mia anima!
O Maria, mammina celeste, non mi abbandonare mai.
O mammina misericordiosa e tenerissima aiutami ad essere sempre l'ancella del Signore! Fa' che possa conoscere sempre la mia nullità e possa cantare anch'io al Signore il mio «Fiat».

(Dal diario spirituale dì Maria Caponi morta il 9.2.62)





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