LA VOCE DEI POVERI: La VdP ottobre 1961

La carità, semplice dovere

Non è vero che siamo generosi e nemmeno buoni quando facciamo opere di carità. Al massimo possiamo giudicarci parsone oneste per l'adempimento di un nostro normale dovere. Nulla di più. Fino al punto che nemmeno possiamo avanzare il diritto alla gratitudine perché i nostri beneficati non ci devono niente di più del solito grazie detto per educazione.
Anche perché diamo sempre spaventosamente poco nei confronti di quello che dovremmo dare in obbedienza alla volontà di Amore di Dio e in risposta ai bisogni e ai diritti del nostro prossimo.
Ma ci sembra che ci siano altre considerazioni da tener presenti per una giusta valutazione dei nostri rapporti col prossimo.
In fondo a ben pensarci, la nostra carità è restituire qualcosa di tutto quello che i poveri ci danno. E' appena ripagarli di quanto ci servono. E dare a ciascuno il suo, ciò che gli appartiene in fondo non è carità, ma semplice atto di giustizia.
Perché è la povertà che mantiene la ricchezza come sono le pietre sepolte nei fondamenti o murate nei muri che reggono la casa. E' il lavoro che costruisce, il povero materiale dei poveri che vivono alla giornata.
E l'abbondanza di poveri mantiene basso il prezzo del lavoro e costringe a qualsiasi lavoro. E ciò che viene sottratto ai poveri forma la ricchezza dei ricchi. E' ciò che manca a loro che fa sì che gli altri abbiano di più.
Il bisogno, garanzia di benessere e di abbondanza. La sofferenza, motivo e causa di felicità. Tanta e tanti a servizio di pochi.
Questi pochi poi, ogni tanto e perché sono «buoni e generosi e sensibili», danno qualche briciola (e spesso sono soltanto avanzi) ai poveri. E si mettono così la coscienza in pace, rientrano in casa a scaldarsi, giustificati, al termosifone, si mettono a sedere sereni, a tavola, preoccupati - e è giusto - soltanto della digestione.
Tutto bene, d'accordo, se proprio ci tenete a questa pace dell'anima. Però almeno bisogna state attenti a non offendere la virtù cristiana della Carità e ciò che è così sacro come l'Amore del prossimo.
Perché questa non è Carità cristiana e tanto meno Amore. Sarà appena, se va bene, l'essersi sollevati da un debito spaventoso verso chi ha lavorato per i nostri riposi e le nostre vacanze, verso chi ha sofferto e continua a soffrire per darci il benessere, verso chi è nell'indigenza e nel bisogno per offrirci l'abbondanza.
No, noi non vogliamo - ci mancherebbe altro - rivoluzionare le cose o essere di quelli che vorrebbero che tutti stessero male perchè molti stanno male. Semmai pensiamo che se si tenesse presente, e davanti a Dio, considerandola secondo le Sue misure e i Suoi pesi, la semplice e elementare giustizia distributiva, invece che parlare e parlare così tanto fino a stufare, della carità e delle opere di carità, tutti potrebbero stare un po' meglio materialmente e molti si troverebbero più a posto nel confronti della propria coscienza.
Ma almeno quel poco di opere buone che facciamo consideriamolo un semplice dovere e un dovere adempiuto malamente e a fatica e in misura miserabile.
Perché se l'opera di carità ci dà di sentirci buoni e di metterci in pace e di avere acquistato dei meriti speciali ecc. allora vuol dire che continuiamo a sfruttare i poveri e questi ci devono ancora servire. Servire il nostro amor proprio, darci di scrivere il nome sul giornale, concederci di pavoneggiarci a benefattori dell'umanità.
Servire al nostro «benessere» spirituale dopo che a quello materiale. E servirci di sgabello per entrare, dalla finestra, in Paradiso.


La Redazione

Una vergogna di sempre, ma specialmente

di questo nostro tempo

E' ormai risaputo che i poveri sono portati a umiliarsi e ad avvilirsi. La lunga esperienza della povertà, la permanente situazione di bisogno degli altri li convince a prendere un atteggiamento in cui spesso è sacrificata anche la più elementare dignità personale.
D'altra parte i ricchi e i potenti li vogliono così. Umiliati, annullati, striscianti, sempre pronti a leccare dove loro mettono i piedi.
E' un grosso problema di assassinio della dignità umana che la ricchezza e la potenza dovrebbe ben considerare, ma che invece accentua e aggrava approfittando con cura e premura di tutte le occasioni vecchie e nuove che la convivenza umana, nel suo raffinarsi, offre.
Il risultato però è sempre lo stesso: legare al proprio carro, mettere il piede sul collo, ridurre a zero gli altri creando necessità e dipendenze inevitabili.
E ì poveri sempre più spariscono anche quando hanno evidenti diritti da affermare. La loro dignità in quanto persona e quindi anche nei pochi casi in cui possono pretendere rispetto e considerazione, svanisce mangiata dal fatto che se rispetto e considerazione possono sperare di avere sarà soltanto per la compiacenza e la liberalità del ricco o del potente.
E i poveri sono costretti ad essere rinunciatari dei loro diritti, devono consentire a impoverirsi anche delle loro giuste pretese, devono lasciar cadere, come vestito che loro non sta in dosso, la dignità di esseri umani, capaci di andare a chiedere e di avere, a nome loro, fidando sull'importanza e il valore della loro persona umana.
Invece devono spogliarsi nudi di tutto. Mettersi nel dovuto atteggiamento dimesso, umile, strisciante. Bisogna che si facciano battere il cuore furiosamente per il sacro timore. Studiare avanti le parole. Armarsi di una infinita pazienza disposta a ritentare mille volte. Immaginare a forza di indagini faticose qual'é il momento propizio. Tentare di sapere se è giornata buona, se l'umore è sereno... e poi farsi annunciare raccomandandosi a tutti i santi.
Lì, in piedi nel famoso atteggiamento di rigirare il cappello fra le mani. Piccoli tentativi di schiarirsi la voce: e forse il cuore batte davvero furiosamente perché da quei pochi minuti dipendono cose troppo importanti.
Chi è che continua a coltivare queste situazioni di rapporto disumano? Chi é che tiene le distanze? Chi è che vuole e fa di tutto perché gli altri siano tappeto sul quale camminare?
Ma l'annullamento della persona umana nei nostri tempi di tanto clamorosa difesa dei diritti e della dignità della persona umana, è andato avanti e si aggrava sempre più.
E questo nostro mondo è marcio perché gli uomini contano sempre meno in forza del loro semplice e puro valore umano.
I poveri e i deboli si sono dovuti piegare e rassegnare a sparire ancora di più: e sempre più hanno dovuto riconoscere che loro, in se stessi, e, insieme a loro, i loro diritti più sacrosanti, non contano niente. E non vale più nemmeno strisciare ai piedi, scappellarsi in saluti, dichiararsi lavapiatti. Non osano più sperare di essere «ricevuti» e ascoltati. Ormai le distanze sono abissi e le sponde così lontane! E non è possibile "vederlo" che nell'attimo fuggevole dell'automobile che fila via.
La desolazione del povero, dell'operaio, del disoccupato, di chi sta patendo un'ingiustizia, di chi ha bisogno estremo, di chi sta affogando di disperazione... davanti a un portone, davanti alla muraglia della burocrazia, sull'argine di là dal fiume della politica, di là dall'oceano della potenza e della ricchezza.
Povero cane randagio e bastardo respinto a pedate. Povero uomo ridotto a mangiarti i tuoi diritti, carta senza valore insieme a lacrime che nessuno raccoglie.
Allora il nostro tempo ha inventato l'appoggio, la raccomandazione. Da chi è stata inventata la raccomandazione? Chi é che ha fatto la grande scoperta che anche il cane randagio potrebbe sperare ancora nell'osso se trovasse un amico del padrone?
E' problema molto serio perché chi ha scoperto questo " ritrovato" meriterebbe un disprezzo infinito. E la società che l'ha raccolto e ne ha fatto sistema di convivenza e di rapporti é società disumana perché favorisce l'ingiustizia e prospera a forza di immoralità.
Non credo che la responsabilità di una situazione del genere sia dei poveri perché l'istituto della raccomandazione ha finito per uccidere la loro persona umana e per ridurre a cenere i loro diritti. I poveri, più in là della loro povertà, nella demolizione di sé, non possono andare e non vanno e sono già troppo nulla per annullarsi di più. I poveri hanno la dignità della loro povertà e credono che la loro povertà di per se stessa dovrebbe essere valore abbastanza eloquente, situazione che parla, in forza di se stessa, di diritti e di esigenza, di sofferenza e di bisogno di Amore, come l'acqua che corre verso il mare, come il fuoco che tende verso l'alto. La povertà è come il cieco all'angolo della strada: il cartello " povero cieco" chiede da se stesso l' elemosina.
Dovrebbe essere sufficiente " appoggio" presso chi è sensibile, la povertà e dovrebbe essere " raccomandazione" più che bastante presso chi ha un po' di cuore. Non vi dovrebbe essere bisogno «dell'amico» per chi ha così struggente bisogno dell'amicizia come i poveri. E tutte le porte dovrebbero essere aperte alla povertà, perché è sofferenza, è angoscia, è disperazione troppo spesso.
Chi offre le braccia al lavoro offre già abbastanza. Chi dà la propria giornata di vita e la fatica e il sudore, di cosa ha ancora bisogno per presentarsi e essere accolto? Non basta portarsi dietro una famiglia a carico, bambini che hanno diritto alla vita; voglia di mangiare un pezzo di pane, volontà d'essere galantuomini per tentare d'avere un posto di lavoro?
Non deve essere sufficiente un diritto chiaro e preciso o anche soltanto creduto o sperato, per poter ottenere soddisfazione?
Ma queste cose e tutte le altre - e sono infinite - come queste non dicono più niente, non hanno più significato, non possono sperare più nulla. Anzi sono difficoltà, indispongono, urtano, infastidiscono. Fanno chiudere la porta e il cuore. Ma chi ha bisogno non può arrendersi e s'angoscia a cercare la chiave per aprire. E fortunato è chi riesce a scoprire la formula magica, le parole dell'incantesimo alla dolce pressione delle quali la porta ferrata si apre.
Eppure la menzogna dell'amico, l'ingiustizia dell'appoggio e la vergogna della raccomandazione non l'hanno inventata i poveri, nonostante tutto.


don Sirio

Solitudine

Penso a chi non ha nessuno e nemmeno Dio. E' come essere sull'orlo del precipizio e sentirsi cadere nel vuoto. Si guarda laggiù come inebetiti perché esiste soltanto il nulla. E un nulla che vince quel poco che si sente di essere, perché consumati dalla solitudine.
Dio mi ha posto in questa solitudine. Non tanto nella mia solitudine quanto in quella degli altri, nella solitudine della esistenza umana. Nella solitudine degli uomini davanti a Dio.
Lì, è il mio posto.
E tutto quello che mi è stato dato è perché questa mia presenza non sia per inevitabilità, ma per scelta. Saper cos'è l'esistenza umana, accogliere tutto ciò che nell'esistenza è tentativo o anche valore e andare di là dove comincia il vuoto, è solitudine vera, profonda, irrimediabile.
Li, in quella solitudine, io credo che vi è soltanto Gesù Cristo a salvarci. L'Incarnazione è la venuta di Dio in questa solitudine. Solo Lui ha possibilità di presenza.
Il mio Cristianesimo è perché Dio abbia questa presenza nella solitudine umana. Perché la solitudine di tutti gli uomini sia abitata da Lui.
A volte mi capitano profondità infinite di gioia, cioè di consapevolezza della verità e mi pare che dopo possa anche subito morire perché mi sembra che basti l'aver conosciuto e accolto, pensato e vissuto una simile misura di Verità.
Allora mi pare di avere tutto il mondo nel cuore. Non esiste niente che non capisca od accolga. Nulla che si interponga fra me e Dio. Ma Lui è veramente in tutto. So profondamente che esiste Lui solo. E sono felice soltanto perchè c'è Lui.
Tutto il resto che mi capita è la mia condizione umana. E anche le cose peggiori sono in me. Non le rifiuto. So di non aver superato niente. Non ho sicurezze. Anche la mediocrità e la miseria più banale può ancora capitare.
Ma in questo momento (e sono così tanti ormai questi momenti suscitati e accesi da qualsiasi occasione) in questo momento, Dio è tutto. E è chiaro il Suo Mistero. E adorabile il Suo Amore. Infinita e perfetta la Sua Presenza. Il mistero della salvezza. Il destino dell'umanità. La sua storia vera, quella che non si vede e non si racconta ma s'impara nella contemplazione dell'Amore di Dio.


d.s.

Preghiera davanti ad un biglietto da 10.000 lire

Signore, ecco questo biglietto, ma fa paura.
Tu conosci il suo segreto. Tu conosci la sua storia.
Quant'è pesante!

Mi impressiona perchè non parla,

Non dirà mai tutto quel che si nasconde nelle sue pieghe,
Non rivelerà mai tutti gli sforzi e le lotte che rappresenta.
Porta su di sé il sudore umano,
E' sporco di sangue, di delusione, di dignità infangata.

E' ricco di tutto il peso di lavoro umano che contiene e che forma il suo valore,
E' pesante, pesante, Signore.
Mi impressiona, ma fa paura,
Perchè ha dei morti sulla coscienza,
Tutti i poveracci che si sono uccisi sul lavoro, per lui...
Per averlo, per possederlo qualche ora,
Per ottenere da lui un po' di piacere, di gioia, di vita...

In quante mani è passato, Signore?
E che ha fatto in questi lunghi viaggi silenziosi?

Ha offerto delle rose bianche alla fidanzata raggiante,
Ha pagato i confetti del battesimo, nutrito il pupo roseo.
Ha permesso le risate dei giovani e la gioia degli anziani,
Ha messo il pane sulla tavola del focolare.
Ha pagato il consulto del medico salvatore,
Ha dato il libro che istruisce il bimbo,
Ha vestito la vergine.

Ma ha inviato la lettera di rottura,
Ha pagato l'assassinio del bimbo, nel seno della madre,
Ha distribuito l'alcool e fatto l'ubriaco.
Ha proiettato il film vietato ai ragazzi, e registrato il disco nauseante.
Ha sedotto l'adolescente e fatto dell'adulto un ladro.
Ha comprato per qualche ora il corpo d'una donna.
Ha pagato l'arma del delitto e gli assi d'una bara.
Signore, Ti offro questo biglietto da diecimila lire.
nei suoi misteri gaudiosi,
nei suoi misteri dolorosi.
Ti ringrazio per tutta la vita per la gioia che ha donato,
Ti chiedo perdono per il male che ha fatto.
Ma sovrattutto, o Signore, Te lo offro per tutto il lavoro
d'uomo per tutta la pena d'uomo di cui è il simbolo
e che, domani finalmente, moneta incorruttibile, sarà
mutata nella Tua vita eterna.





Michel Quoist

Storia di due materassi

Una buona anziana Signora: avrei due materassi da dare ai poveri. Può darsi che qualcuno, poveretto, ne sia sprovvisto e potrebbero far comodo. Le lascio l'indirizzo. Mi farebbe la cortesia di far passare a prenderli in queste tali ore e prima della fine del mese.
D'accordo. Ritirati i materassi risultano semplicemente una porcheria: è preferibile che il poveretto che ne avrebbe bisogno continui a dormire sulla rete. Non rimane che la fatica di portarli al macero dei rifiuti.
E' sempre una carità anche liberare la casa d'una buona anziana signora da un ingombro. Però è triste constatare che può essere considerato Amore per i poveri il donar loro ciò che ormai è inservibile.
Non si può dire: questo non serve più a nulla quindi diamolo ai poveri. La carità deve costare, l'Amore ha un prezzo e bisogna pagarlo. E il dare deve essere un perdere qualcosa. In fondo è trasferimento di proprietà compiuto per dono, per offerta. E è necessario che qualcosa di nostro e meglio ancora di noi passi al prossimo. Per arricchire gli altri di qualcosa di nostra proprietà bisogna necessariamente impoverire noi, diventare più poveri se non altro perché abbiamo in meno quello che abbiamo dato e donato.
Se la Carità non c'impoverisce non è virtù cristiana in quanto non ottiene, non realizza in noi una Verità di Cristianesimo dato che la povertà, se non altro come ricerca, è essenziale al vero spirito cristiano. E se il nostro dono non è «segno» o almeno simbolo di Amore non è secondo la Verità cristiana.
Dare ciò che avanza alla nostra sazietà arrivata fino a traboccare, non è carità. E tanto meno è Amore offrire ciò che ormai dà noia, insopportabile, privo di interesse, roba da ingombro. L'Amore deve essere superamento dell'egoismo. Liberazione dalla propria grettezza. Rottura sul continuo ripiegamento sopra noi stessi, Allargamento di visione in orizzonti aperti. Accoglienza dei diritti degli altri e sensibilizzazione alle altrui esigenze. Considerazione e rispetto della dignità e del valore della persona del prossimo. Amore è stringere al cuore, caricarsi di pesi e camminare al passo con tutti. Amore è condividere ogni angoscia e sofferenza, partecipare a tutta la fatica, accomunarsi agli stessi destini. E' dare del cuore e dell'anima: quindi donare le nostre cose. Poveri materassi logorati dall'uso, chiazzati di sporco, maleodoranti di tutto. Non potevano significare Carità, non erano morbidi d'Amore. Non sarebbero riusciti a far riposare nessuno perché incapaci di dimostrare e dare certezza che qualcuno aveva pensato al tuo sonno non sereno e riposante su una rete rattoppata, coperta di stracci, povero vecchio stanco che dormi senza materasso. Non dicevano niente: soltanto la desolante tristezza di non servire più a nulla altro che ad essere dati ai poveri, ultima tappa obbligata, per troppa strana e offensiva carità, prima dell'immondezzaio.
Ho paura di pensare così. Ho lo spavento di agire così. E non solo coi miei fratelli poveri con scarpe ormai fuori moda e vestiti lisi e finiti. Non mi levo di bocca nulla, mai, forse. Né mi impedisco la gioia di un acquisto inutile. Né rimango impoverito da un'elemosina. Né lascio sprovvista la dispensa, E tanto meno sopporterei di avere meno sicuro il mio domani.
La mia carità fatta di superfluo, di roba ingombrante, di ciò che dà noia e non costa nulla e non ci sacrifica niente perché non c'è la sofferenza di un distacco, perché non c'è che la liberazione e alleggerimento dall'inutile.
La mia carità senza Amore, vuota di senso, forse soltanto buona a umiliare e intristire, capace di aggravare sui poveri il già gravissimo peso della povertà e della miseria. Ho paura di questa carità perché penso è così che amo anche Dio.
Poveri materassi offerti a Lui dopo che tutti vi hanno dormito e l'hanno sporcati e consunti. E ora non so che farmene e li dò al gran povero che è Dio. Avanzi di cuore e brandelli d'anima, ritagli di tempo e ciò che non serve più, non può essere usato ad altro, miseri rifiuti di questo e di quello, sconfitte ormai senza speranza. Dio amato solo con l'inutile, servito soltanto con ciò che non serve, seguito dove Lui non cammina, cercato dove Lui non può essere, abbondato di ciò che l'impoverisce sempre di più.
Religione a vuoto. Cristianesimo insulso.
Ho riguardato i due materassi gettati nel mucchio dei rifiuti e mi sembravano due morti raggomitolati. E tutto intorno deserto desolato. Allora ho provato come dello sgomento. E andandomene - era l'altra sera e cominciavano a calare le ombre lunghe e diacce dell'autunno - mi sembrava che quei due materassi continuassero a guardarmi, ma io non mi voltavo perché avevo paura a rivederli ancora.


* * *

(citazioni)

- "Tu dici: "Io possiedo schiavi e schiave". Ma dimmi, a quale prezzo li hai comprati? Che cosa hai trovato per eguagliare il valore della natura umana? Quanto hai sborsato per l'acquisto dell'immagine di Dio? E con quali bilance l'hai pesato? Chi mai può avere l'audacia di comprare o di vendere colui che è l'immagine di Dio, il sovrano di ogni cosa terrestre?".
S. Gregorio Nisseno - IV sec.


- «Esortiamo tutti coloro sui quali gravano le maggiori responsabilità in seno all'impresa a non valutare il lavoratore soltanto dal punto di vista economico, a non limitarsi al riconoscimento dei suoi diritti in ordine alla giusta mercede, ma a rispettare altresì la dignità della sua persona ed a considerarlo anzi come un fratello.»
Giovanni XXIII


- «C'è qualcuno al mondo che ha bisogno di me. E la mia grandezza di uomo è incominciata quando, in nome dell'Amore, ho sentito di dover fare di me stesso un'offerta per impedire che qualcuno mutili ancor più la realtà, che è fatta di sofferenza, per conquistarsi attraverso l'oblio, una giornata senza pietà.»
Primo Mazzolari


- «Se la presenza comunista deve essere per i Cristiani soprattutto uno stimolo a una presa di coscienza delle proprie omissioni storiche e a un'azione per la giustizia che discenda direttamente da un'applicazione coerente dei loro principi; la presenza cristiana deve essere, per i comunisti, ai fini della coesistenza e della pace, soprattutto un richiamo a rivedere gli schemi consunti e clamorosamente smentiti dal loro assolutismo ateista.»
Mario Gozzini




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