POPOLO DI DIO: PdD anno 2° agosto 1969

idee e esperienze della Comunità Parrocchiale di S. Maria

Responsabilità della Chiesa

Ogni volta che s'intende affrontare i problemi che riguardano la vita ecclesiastica non é onesto non affrontare coraggiosamente le responsabilità della Chiesa e Chiesa qui, in modo particolare, vuol dire sacra gerarchia in tutta la realtà storica di determinazione della vita della cristianità. Sono responsabilità pesanti e tutta la loro terribile misura la stiamo constatando noi Chiesa del nostro tempo. Fino al punto che guardandoci dentro e intorno non sapremmo dire che cosa c'è che non sia in crisi. Fino a poco tempo fa tutto pareva andar bene nelle strutture, nella dottrina, nella disciplina, nella concretezza dei rapporti, nella saggezza secolare degli ordinamenti .
Il giuridicismo tutto bloccava e sistemava come la polizia il traffico stradale. Il moralismo spaccava il capello in quattro e dava di potere ingoiare "tuta conscientia" il cammello. La diplomazia risolveva problemi di cristianesimo firmando trattati politici. La potenza economica e politica riusciva a tenere a livelli altissimi le importanze ecclesiastiche come i sacri paludamenti e le onoranze, misurate a centimetri e fino a metri quadrati di stoffa di seta più o meno rossa, rendevano accesi di sacro zelo gli uomini di Chiesa e umiliavano, di timoroso rispetto, gli uomini comuni, specialmente quelli del lavoro manuale, operaio o contadino. Vaticano e curia romana al vertice, episcopio e curia diocesana, in misure locali .
Casa canonica e curia parrocchiale, in misure paesane.
E' difficile discernere le differenze fra le tre istituzioni all'infuori della diversità delle misure, perché fondamentalmente la mentalità é la stessa, le posizioni sono le medesime e anche, su per giù i sistemi, inevitabilmente, si somigliano.
E tutta l'istituzione si reggeva in questa identità gerarchica e sulla necessità vitale - più o meno avvertita in basso ma estremamente cosciente in alto - di proteggersi con fedeltà assolute e soggezioni pesanti, attraverso il mantenimento del sistema. L'autorità e l'obbedienza hanno fatto un gioco terribile di bloccaggio, di inaridimento, di disciplinarismo fino a rendere la Chiesa un deserto dove un albero poteva crescere e un po' d'acqua fresca era possibile bere soltanto qua e là, nelle oasi, più o meno venute su non si sa di dove.
Perché l'autoritarismo é facile che diventi assolutismo e l'obbedienza-soggezione è inevitabile che porti alla passività, che pare di essere vivi e invece si é dei morti.
Tutto bene e possiamo anche essere d'accordo se la Chiesa è intesa come istituzione teocratica in cui Dio serve per dare misure estreme all'assolutismo del dominio.
Ora tutto terribilmente sbagliato - sbagliato anche con tutta la comprensione dei tempi e dei periodi storici nel quali il sistema si è reso inevitabile, come dicono quelli che studiano, i teorizzatori di allora, che Dio li perdoni e gli studiosi di poi che scusano quelli di allora - tutto terribilmente sbagliato se la Chiesa é la Chiesa di Gesù Cristo, cioè il suo corpo vivo, la sua presenza continuata fra gli uomini, la sua parola vivente, il suo Mistero di redenzione e di salvezza nel seno dell'umanità. La resurrezione di Cristo, cioè la vita vera piena e perfetta, nella morte incessante che è il mondo.
La Chiesa è la continuità della storia di Dio fra gli uomini. E' lei che porta il peso e la grandiosità di questa presenza di Dio che con violenza d1Amore preme nella storia perché l'umanità e l'universo convengano in Dio.
Da dopo la creazione, la rivelazione, la storia di Israele, i profeti, la venuta di Gesù, é il tempo della Chiesa. La storia sacra, ora, é la storia della Chiesa.
Questo popolo di Dio che continua nel mondo il mistero del popolo eletto con la sola variante che quella era storia di preparazione al Regno di Dio, quella della Chiesa é invece di realizzazione. E contiene, e ne è la continuità, tutta la venuta del Figlio di Dio e tutta l'attesa del suo ritorno.
La terra dei profeti è la Chiesa, degli uomini di Dio. E' dove lo Spirito fiammeggia la sua Pentecoste perenne.
Dove Gesù Cristo trova le membra del suo corpo di cui Lui é il capo.
I tralci della sua vite.
Il suo lievito il suo sale.
E' la perla preziosa e il tesoro nascosto nel campo del mondo. Non é male se é venuto il tempo in cui della Chiesa si cerca questa essenzialità. Si esige e si pretende unicamente la sua soprannaturalità. Il suo essere segno di Dio. Indicazione vivente, chiara e scoperta, di Gesù Cristo.
Realtà umana continuamente percossa di Spirito Santo. Contrassegnata dall'imprudenza profetica. Comunità di uomini di Dio.
Le letture che facciamo nella Liturgia raccontano queste cose. E sono verità indubbie, ma terribilmente d'altri tempi: non hanno ombra di rapporto nella Chiesa altro che nella aride profondità dei teologi e nelle raffinatezze estetizzanti dei liturgisti.
Come è possibile non chiedere alla Chiesa, agli uomini di Chiesa, alla Sacra Gerarchia, in modo particolare, in forza della sua precisa destinazione di essere segno di Dio fra noi, qualcosa di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, di Mosè, di David, di Elia, di Isaia, di Giovanni Battista... questi uomini portati via da destino di Dio fino a significare unicamente Dio nella loro vita?
Non possiamo non chiedere qualcosa di Gesù Cristo: e cioè qualcosa che rassomigli a quella terribile e infinita realtà di Dio fatto Uomo, qualcosa di quella storia pensata da Dio, voluta da Dio, vissuta da Dio e che per la resurrezione è viva e vivente anche in questo momento.
Perché l'annuncio del Vangelo è ripetere le sue parole e rinnovare la sua vita.
Cosa leggiamo durante la liturgia?
Non abbiamo più voglia di leggere noi e di leggere agli altri ciò che é stato vero ma che non é più riscontrabile e sembra perfino nemmeno più possibile ai nostri tempi.
Perché l'autorità è altra cosa. Così pure il diritto e la legge.
La diplomazia e la risorsa economica. L'appoggio e 1'importanza politica. La cultura e l'orgoglio culturale. Il privilegio. L'astuta saggezza. L'organizzazione. La separazione. Le distanze. Gli onori e le carriere... e tutto ciò che nasce dalla prudenza e sapienza della carne.
La S. Messa e i Sacramenti (a parte, evidentemente, la realtà soprannaturale). La catechesi anche nelle forme più attualizzate e pedagogicamente più raffinate. La liturgia resa più accessibile e comprensibile. La semplificazione degli abiti ecclesiastici. La decentrazione diocesana e nazionale dell'autorità episcopale. I viaggi nel mondo del Papa.
I gruppi di studio moltiplicati ovunque. Gli innumerevoli corsi di aggiornamento. La riforma che più o meno travagliosamente tutti gli ordini religiosi cercano, insieme a tutte le congregazioni religiose maschili e femminili. I gruppi spontanei a destra e sinistra così in affannosa ricerca che è impossibile un affiancarsi e un riunirsi. Scontentezze terribili e conservatorismi spietati.. tutto è veramente in crisi. E' sicuramente crisi non di dissoluzione, ma di ricerca.
Neppure tutto questo travaglio non sta comportando quel "qualcosa" che la Chiesa è e deve essere nel mondo. Quel "qualcosa di Dio" che dalla Scrittura leggiamo nella liturgia. E avvertiamo molto bene che a un certo punto e a poco a poco se n'é come andato dalla storia della Chiesa che la Sacra Gerarchia ha perduto. Che il popolo di Dio non ha più..
.. E che ai nostri tempi - e chissà che cosa di meraviglioso succederebbe se la chiesa si abbandonasse assai di più allo Spirito che sta scuotendo a gran forza questi nostri tempi - e che ai nostri tempi si è cominciato a patirne una voglia incontenibile e una nostalgia struggente.
Per capire cosa possa essere questo "qualcosa" bisogna cominciare a rileggere la pagina dì Giovanni che racconta di Nicodemo e quella che racconta della Samaritana: perché la Chiesa da tanto tempo somiglia a Nicodemo e ha qualcosa della Samaritana: se non altro il loro ragionare umano, terra terra del Regno di Dio. Ora il ragionare di Gesù è un altro: è quel "qualcosa " che stiamo sognando perdutamente della Chiesa:... "ciò che è generato dalla carne é carne e quel che nasce dallo Spirito e Spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto: bisogna che voi siate generati dall'alto. Il vento spira dove vuole e ne senti la voce, ma non sai donde venga dove vada: così e di ognuno che è nato dallo Spirito".
E' terribile e addolora profondamente eppure si ha tutta l'impressione che la Chiesa ancora domandi: "ma come è possibile tutto questo?".
E' amarissima la risposta di Gesù e il rimprovero si colma di angoscia e di sgomento: "tu sei maestro in Israele e non lo sai?".
No, lo sappiamo bene, soltanto non ne abbiamo la Fede e tanto meno il coraggio di tutto quello che sappiamo.

La Comunità

Una vita mangiata

Don Henri Godin è uno di quegli uomini che il Signore manda nel mondo per preparare le sue vie, di quegli uomini tanto scomodi quando sono in vita, spesso tanto osteggiati perchè hanno il difetto di camminare sempre in testa, di non scoraggiarsi mai, di non smettere se non quando sono in fondo al loro cammino.
Don Godin nasce a Audeux (Doubes) il 13 Aprile 1906, a 13 anni entra in seminario: studente brillante, era simpatico, allegro, sempre pronto, attivo senza sforzo. Diciannovenne, al ritorno dalle vacanze, sentiva la nostalgia del mondo che soffre e che piange "Ho sentito rimorso a venirmi ad addormentare sui libri e a sgobbarci sopra, quando c'è tanta gente che si danna."
La sua salute delicatissima fu la croce quotidiana che lo accompagnò tutta la vita.

Volontà di ferro
In Henri giovanissimo emergono due punti fondamentali della sua vita: volontà di ferro e forza di abbandono in Maria, che per lui è "la Sua Vergine" al di sopra di ogni altro titolo.
Il contatto con le sofferenze umane, il servizio dei malati a Lourdes, gli aprono l'anima alla comprensione, gli danno il senso chiaro dell'Amore cristiano. "Bisogna che io pensi a queste miserie che mi chiamano, saranno aiutate tanto meglio, anche con gli stessi atti, quanto più io sarò vicino a Dio".

Il suo Tesoro
"Dov'è il tuo tesoro, là è il tuo cuore"*
Il cuore del giovane Godin è laggiù nella città dove un mondo si agita, si guadagna il pane - "il pane che io devo mangiare " - con tanta pena. Povera gente che ha tanti bisogni. Creature che non pensano, non sanno di Dio, di Gesù "gente che è caduta - come avrei fatto senz'altro anch'io al loro posto! Sono degli infelici, infelici anche materialmente... debbo pregare per loro, per tante disgraziate baracche umane, che non sanno cosa sia un raggio di felicità umana". Non è attirato dalla vita contemplativa né dalla solitudine ma da una vita semplice tutta donata ai poveri, agli infelici, ai diseredati.Vorrebbe donare l'ideale cristiano a tutti quelli che mettono il loro ardore e il loro ideale nel male. Don Henri non vuole che il sacerdozio gli offra una vita dolce, accomodata, borghese.

La sua vocazione
La grande azione che è la S. Messa non deve dargli la tranquillità di aver dato tutto quello che deve ai suoi fratelli. "Avrei forse compiuta la mia parte di lavoro nella società? Avrei serenamente guadagnato il pane che mangerei?". Non vuol fare il proprietario devoto con una vita occupata, anche straoccupata, secondo i suoi gusti, di studi che probabilmente non gli serviranno mai, di lavori interessanti "offrendo tutto questo al buon Dio e aggiungendovi ancora qualche prelievo al mio soprappiù, qualche sacrificio? Forseché san Paolo non lavorava? E io profitterei del sacrificio sanguinante di Cristo, rinnovato sull'altare, per scorrere tranquillamente i miei giorni?". A 27 anni, dopo aver frequentato la facoltà teologica all'Istituto Cattolico di Parigi, è sacerdote. Celebra la prima S. Messa a Lourdes, all'altare della grotta, nella Pasqua del 1933.
"Nella mia vita di prete voglio faticare come faticherebbe un padre di molti figli". Egli non si sarebbe mai chiuso in un "buco". Vedeva grande: avrebbe voluto abbracciare tutti gli uomini per darli tutti a Cristo. Desidera quindi l'apostolato dei poveri, quello che Gesù ha preferito, sono troppo abbandonati. Le parrocchie di città sono ordinariamente borghesi e l'operaio vi è trascurato in pieno.

La crisi
Viene inviato a Clichy nella parrocchia di san Vincenzo de Paoli; una parrocchia bene impiantata: organizzazione salda, opere prospere, scuole, patronati, ospizi. Si dona al suo lavoro pienamente, generosamente, senza riserve. Ma..l'assale sempre un'angoscia dolorosa, non può chiudere il cuore e gli occhi: la classe operaia è staccata dalla chiesa. La Parrocchia Tradizionale non è più in grado di assicurare l'apertura a coloro che non conoscono il Cristo, il mondo operaio sembra non più interessarsi alla Chiesa, e la Chiesa a sua volta pare essersi dimenticata il mondo operaio. Il prete è tagliato fuori dalla vita degli uomini, diventa sempre più un estraneo, un oggetto interessante come ricordo di un epoca storica. Mancano dei missionari che diano di nuovo alla Chiesa un volto veramente evangelico, che facciano della Chiesa una casa di tutti, e non di una élite di privilegiati.
Don Henri si trova quindi presto in crisi, gli si dice che è capriccioso, incostante, ma lui si convince sempre di più della sua idea. Gli fa vergogna abitare in una bella casa parrocchiale: si può abitare in una bella casa quando i nostri fratelli non hanno che una baracca di legno?
Don Godin sogna povertà completa, rinuncia assoluta; una sofferenza si accumula all'altra: tutte vengono dalla stessa sorgente, dal bisogno ardente di donare Cristo alla classe operaia.
Incontra Don Guérin, assistente della JOC (Gioventù Operaia Cattolica), accetta di divenirne cappellano, la Provvidenza l'aveva suscitato per lavorare fra le officine e i quartieri popolari, ora lo ha messo su questa strada.

Il suo grande amore la J.O.C.
1934 - entra nella scuola dei missionari del lavoro a Billa.
1935-1936 - assistente della JOC per Parigi Nord. Alle idee Don Henri non crede più un granché: si pone davanti a Dio per giudicare delle sue azioni. Confronta con gli esempi e gli insegnamenti di Cristo la sua vita. "Amare Dio è amarlo dal mattino alla sera in tutta la nostra vita".
Per parlare di Godin bisogna fissare le date più importanti della JOC: giugno 1936 e la JOC durante gli scioperi; il Congresso del X Anniversario; il pellegrinaggio che si prepara per il 1939; la JOC sotto l'occupazione tedesca.
Assorto nei suoi pensieri, nell'assillo di aiutare e sollevare la classe operaia, si dimentica spesso l'ora di un'adunanza, di un appuntamento, l'Orate fratres durante la Messa o anche di fare pranzo. E lo si vedeva allora mentre percorreva a grandi passi e a capo scoperto le strade piene di baccano, o mentre sfrecciava sulla motocicletta, fermarsi di botto davanti ai banchi dei rivenditori di piazza e comperarsi un pacco di panini che divorava velocemente.
Ha piena fiducia nei laici: essi devono prendere coscienza della loro responsabilità e agire di conseguenza. Come sacerdote don Godin è motivo di chiarezza e di calore,di sforzo per far balenare la Verità davanti a queste intelligenze avide di possederla per espanderla per ogni dove, di ardore per eccitare nel loro cuore un Amore più vero del Cristo e dei fratelli. Don Henri propone i problemi non soluzioni, questo non era il suo compito. Semplice senza posa con tutti: ognuno lo sentiva vicino con tutta la sua vita. Staccato dai beni di questa terra è vissuto poveramente, più. poveramente di chiunque altro. Dominante in lui l'attenzione e l'amore per la vita umana che lo circondava. Era un uomo, un vero uomo di Dio mangiato da tutti, perchè quelli che venivano da lui si moltiplicavano sempre più.

Cristo: un grande amico
Primavera 1941: don Henri va ad abitare in un quartiere operaio: ha un piccolo e squallido appartamento in via Gounerau. Per il nutrimento a volte gli basta qualche patata bollita o la cosiddetta "zuppa", farina diluita nella acqua. Non ha tempo per andare a cercarsi i viveri e per fare la coda. Per scaldarsi c'è una specie di radiatore a gas installato in cucina.
Vive povero, più povero di tutti. Ma ora in casa sua tutti possono entrare senza vergogna, anche il più povero operaio. Viene chi vuole e quando vuole. L'uno condurrà un altro. Presto non sarà che un via vai continuo. Cristo incarnandosi ha voluto diventare completamente simile ai suoi fratelli, comportandosi come loro, adottando il loro genere di vita, mescolandosi con loro. La sua Incarnazione non è consistita solo nel predicare una dottrina, ma è stata l'esempio di una vita che il Figlio di Dio ha vissuto in condizioni autenticamente umane.
Severo con sé, tenero con gli altri - di intelligenza penetrante, aperta a una folla di problemi, unita al senso della vita - personalità estremamente forte e temperamento socievole - profondamente umile e nello stesso tempo audace - d'una capacità inverosimile di lavoro e di una esuberanza infantile nei momenti di distensione - sacerdote di intensa preghiera, "dobbiamo inventare incessantemente dei mezzi nuovi, capaci di parlare di Cristo ad un'umanità che incessantemente si muove" diceva. L'Amore di Cristo, per lui, è un amore fraterno, del tutto semplice. Parla a Cristo come a un amico, un grande amico.

C'est le neant;..
Luglio 1943: don Godin incontra don Jvan Daniel: insieme constatano che la Joc non è più in grado di conquistare la classe operaia. Nasce un piccolo libro destinato a fare epoca nella storia della Chiesa: "La Francia, paese di missione". Il cardinale Suhard passa la notte immerso nella lettura del quaderno e ne è sconvolto. Il libro è una riflessione personale e profondamente dolorosa di due preti che da 10 anni arrancano in mezzo al popolo per conquistarlo e che, edotti dalle formidabili barriere contro cui hanno urtato i loro sforzi,vogliono prevenire e aiutare chi pure è preso dal medesimo ideale apostolico - don Godin e don Daniel mettono sul tappeto i problemi e indicano gli elementi di soluzione con cifre, fatti, constatazioni.
"I popoli incolti che si chiamano selvaggi hanno conservato nelle loro tradizioni secolari qualche cosa della rivelazione primitiva. Qui non c'è nulla; c'est le neant, ma con la civilizzazione in più."
Don Godin viene esortato dal cardinal Suhard a porre il problema sul terreno dell'azione. A Lisieux c'è la "Missione di Francia"; don Godin partecipa alle giornate di ritiro e di aggiornamento: tutti i suoi interventi sono assillati dalla preoccupazione "il ritorno a Cristo della classe operaia".

La missione di Parigi
La nuova fondazione sarà allora un'autentica missione, non più sforzo isolato di un cappellano che si dona alla classe operaia, è la Chiesa stessa che si incarnerà nel proletariato urbano, sarà una comunità di preti che riceverà l'incarico direttamente dal Vescovo di mettere il lievito cristiano in tutte le comunità umane. Dieci giovani preti nel silenzio del cenacolo di Lisieux con la preghiera e con il lavoro si tengono pronti per questa Pentecoste dei tempi nuovi.

Aveva 39 anni
Sabato 15 gennaio 1944: durante la Messa, all'offertorio, don Godin e gli altri sacerdoti fanno questa promessa "mi impegno con giuramento a consacrare tutta la mia vita alla cristianizzazione della classe operaia di Parigi".
"Buona notte amici. E' un miracolo come tutto si è aggiustato, ormai, io posso anche sparire, la missione può fare a meno di me".
E' tardi, notte fonda. Don Godin lavora ancora qualche ora, poi si corica. Domenica 16 gennaio 1944 il giorno in cui doveva cominciare la missione, è trovato morto.
"La strada che sale dall'umano al divino passa per il calvario" così aveva detto un giorno don Godin.

don Rolando


(G.Barra, "Chiesa e mondo operaio")


La buona novella

C'è una realtà che ci permette di credere in questo povero mondo e di amarlo di amore serio, nonostante il susseguirsi degli avvenimenti, gli uomini, la storia guardati singolarmente; nonostante le visioni d'insieme, i giudizi storici, il divenire delle civiltà che sembrano a volte regredire; nonostante la povera vita, a volte sbagliata, di ognuno di noi, chiunque esso sia - c'è una realtà: Gesù Cristo, e legata a Lui un'altra: Maria.
E' per Lui che la sera posso guardare limpidamente il disegno del mondo sulla parete di vetro della cappellina e credere, acconsentire e amare, perchè so che Gesù ci ha cambiati contro tutte le apparenze.
E' mutata la radice stessa del nostro esistere, non siamo più quelli; la storia umana non percorre più strade unicamente sue: c'è stato un Uomo-Dio che ha risalito la via dopo aver percorso tutti i sentieri da noi battuti e aver ritrovato le pecore smarrite; ci ha caricato sulle sue spalle, fra le braccia, nel suo cuore, ci ha nutrito del suo corpo e del suo sangue, tanto da confondere e unificare il Suo destino con il nostro - e carico di noi è andato al Padre.
Siamo cambiati anche se non lo sappiamo da quando Dio si è incarnato e ha abitato fra di noi, fin da quando ha cominciato a insegnarci dapprima sommessamente e dolcemente come uno che crede in un sogno e parla di un amore tale che deve velarlo in parabole - e poi sempre più apertamente perchè più chiara era la visione tanto da divenire passione che gli bruciava il cuore e l'obbligava ad essere l'Unica Parola che mai si distraeva dal Padre Suo - fino al punto che ha cominciato a gridarlo con la sua vita in quegli ultimi terribili giorni che bruciarono e divampano ancora anche se sono stati avvolti nel silenzio rotto solo da poche frasi "tu l'hai detto io lo sono", "Padre perdona loro", "tutto è compiuto".
Si consumò allora un Mistero per noi incomprensibile anche se chiarissimo: si annullarono le distanze fra noi e Dio molto più di quel giorno quando lo Spirito scese a fecondare di Sé una donna -nessuno è rimasto solo, nemmeno uno fuori, l'amore fra il Padre e il Figlio passa ora attraverso noi, viviamo sotto i loro occhi, facciamo parte del loro essere.
Gesù ha sconfitto il peccato è questo che noi cristiani dobbiamo annunciare al mondo perchè la Redenzione è avvenuta. Non importa se continuiamo a sbagliare, non importa se pecchiamo, non è più come prima, non contano i singoli peccati, non ha più senso quella terribile voglia di fare da noi per conoscere i segreti di Dio che originò allora il peccato di figli che si staccano dal Padre: non ne abbiamo più bisogno.
Ogni cosa ci è stata consegnata e ci appartiene, la Verità è rivelata, il male e il bene svelati secondo un metro che non potevamo conoscere, al di là di leggi umane: ci è stato insegnato il bene che vive nel cuore di Dio, là dove l'unica legge è l'amore. Dio stesso è vissuto fra di noi e con noi e ha sanato, curato, colmato ogni ferita. Siamo diventati albero buono, anche quando non lo sappiamo, tutta l'umanità è albero buono perchè siamo innestati in Cristo. Qualsiasi possano essere i singoli peccati non ci separano più come prima da Dio. Noi cristiani dobbiamo testimoniare questo al mondo continuare ad annunciare la buona novella, parlare al cuore degli uomini, insegnare loro che non esiste più il male.
E' questo il Segno di Dio nel mondo, non altro, e non si può, non si deve ottenere secondo la legge, questa terribile sfiducia nell'uomo, questo credere ancora nel peccato, questo non abbandonarci all'amore, a tutto l'amore, a così tanto amore che tutto è sicuramente bontà, purezza, di cuore, donazione, pazienza, Verità, scelta di Dio, preminenza assoluta di Lui. E non lo si ottiene secondo criteri umani, terribili e miserabili come quelli di affidarsi al metro dei giudizi storici, politici, economici, ed anche culturali, all'utilità, al senso umanitario, al fare del bene, al non prendere posizioni, al tenere la barca in pari, al salvarci, al pensare alla nostra anima.
Sono cose che non ci riguardano, non possiamo offrire pietre a fratelli che ci chiedono del pane, né darne piccoli pezzi, briciole cadute da una mensa, abbiamo da consegnare loro la fede, da insegnare che non siamo più soli, da offrire a tutti il creato, da parlare di un sogno di amore e da indicare un uomo vivo, concreto, vero, Gesù.
Lasciamo andare le altre cose, tutte, non ce ne occupiamo, non ce ne preoccupiamo, non ci appartengono, noi siamo stati chiamati ad essere l'amore nel mondo, l'amore del mondo, noi cristiani in modo tutto particolare, noi Chiesa segno di contraddizione, piccola barca che deve navigare controcorrente per risalire alle sorgenti, là dove l'acqua è unicamente buona. Se non siamo questo, cosa ci stiamo a fare al mondo, se gli altri guardandoci non rimangono scossi e colpiti, non ci amano o non ci odiano, non ci seguono o si scandalizzano - perchè troppo diversi da loro - non siamo portatori del suo mistero, non crediamo in Lui, non ci abbandoniamo a tutto il suo essere così diverso dal nostro, non percorriamo i suoi sentieri, non abbiamo imboccato la via stretta che ci porta in distese sconfinate dove il cuore può battere fino a scoppiare di troppo amore.
Non abbiamo capito che è stretta unicamente perchè è al di là di noi e nulla ci appartiene più solo per poter accogliere ogni cosa; e non vi è più posto per problemi personali unicamente perchè quelli del mondo intero ci sono entrati dentro ad occupare il cuore.
Si dissolve il particolare perfino del corpo, realtà meravigliosa di bene che indica direttamente Dio: é troppo poca cosa perchè non esiste che l'unico Corpo, l'unica realtà, l'unico amore, l'unica Persona Gesù al quale tutto è relativo, il cuore, l'anima, la mente, l'universo, la materia, la storia, il divenire delle cose. In tutto e su tutto Regna il Signore Gesù, fino a raccogliere in Se l'intero creato.
A questo mistero dobbiamo affidarci dolcemente, con fede profonda, senza pretendere di troppo capire, offrendoci solo come terreno d'incontro, seme che va sotterrato per morire così che ne fiorisca unicamente Dio, lucerna accesa da Lui, acqua a dissetare gli assetati, esistenza abitata dall'Amore.
Allora ripeteremo incessantemente le meraviglie della buona novella e la nostra vita annuncerà al mondo che "chiunque è nato da Dio non commette peccato perchè il seme di Lui dimora in esso: se non può peccare perché è nato da Dio". ( 1.Gv. 3,9)

Maria Grazia

Il problema Povertà

Certe verità, come certi valori che sono fondamentali, siccome stanno alla radice dell'essere perchè ne sono realtà costitutive, devono essere colti al loro principio, quasi al momento stesso del loro nascere perchè è allora soltanto che se ne può afferrare la purezza, la freschezza come l'acqua cristallina appena sorge di sotto la roccia nella montagna, fra il muschio tenerissimo e più che sia possibile al primo raggio di sole, al mattino. Perchè dopo diventa ruscello, fra i sassi e poi nel sottobosco, si allarga in torrentello e comincia a portar via un po' tutto con se e poi si distende in fiume e raccoglie ogni scarico, dal corso lento e quasi limaccioso, fino al mare.
Non è possibile discernere la verità, scoprire il vero valore, desumendolo dalla casistica di ogni giorno e tirandola fuori dalle contaminazioni che l'esistenza comporta inevitabilmente e dalle complicazioni più o meno interessate e quindi più o meno deformanti che vi vengono riversate fino a farne realtà intorbidata di colore incerto e di sapore indefinibile.
Uno di questi valori che vanno colti all'inizio, nel loro principio, fin dal loro primo apparire e manifestarsi e offrirsi, è la povertà.
Dopo non è più possibile una vera e seria comprensione e forse nemmeno una semplice intuizione: tanto più poi trattandosi della povertà, valore così esposto alle interpretazioni sfacciate dell'egoismo, alle deformazioni a tutti i livelli a seguito del riversarvisi di motivi interessati, individuali, collettivi, sociali e più ancora per le incrostazioni a spessori impressionanti che la storia vi ha sempre più accumulato sopra.
E' necessario rifarci all'inizio e cioè a Dio, al pensiero di Dio, alla sua scoperta e conoscenza, alla sua contemplazione, perchè la povertà nasce di là, da questa sorgente purissima fino a confondersi e forse anche a significare in maniera concreta l'essenza stessa di Dio.
A questo ritorno, così difficile per noi che abbiamo la realtà dei valori, purissimi in Dio, al loro principio, ma contaminati dall'esistenza - e che esistenza lunga quella dell'umanità nella sua storia spaventosa di contaminazione, intorbidamento e deviazione dei valori in particolar modo, quello della povertà - all'intuizione di come tutto era al principio, ci aiuta - e non sta qui la sua redenzione e l'averci dato la salvezza? - Gesù Cristo.
Dio si è fatto uomo non soltanto per riportare l'uomo ai suoi veri valori, quelli di Dio, ma anche e specialmente per offrirsi come realtà viva vissuta e vivente di quella purezza, di quella verginità di valori rispondenti in modo perfetto e misura perfetta al Pensiero di Dio.
La sua scelta della povertà è per aiutarci alla sua riscoperta e darcene la realtà concreta e quindi la sicurezza che non è sogno o utopia, ma esistenza storica quindi possibile e vivibile ad ogni uomo di "buona volontà".
Per questo la visione della povertà è possibile trovarla nel cristianesimo e la sua logica esistenziale di autentico valore costitutivo dell'uomo vero è una logica unicamente cristiana.
Al di fuori di Gesù, e come le cose si sono stabilite e sempre più si stanno svolgendo, nonostante tutti i tentativi di socialità umana, la povertà rimane ed è un assurdo.
La povertà è un valore quindi religioso particolarmente precisato e affermato da Gesù Cristo.
Per un'intuizione esatta della dimensione povertà bisogna logicamente partire dal riconoscere non soltanto questa realtà religiosa alla povertà ma bisogna essere disposti a cercarvi prima di qualsiasi altra valutazione una vera e propria verità religiosa.
Verità religiosa e quindi cristiana antecedente al valore etico, moralistico, sociale ecc., proprio di quella stessa verità, fino al punto che deve essere ricercato quel valore religioso immediatamente e direttamente nelle sue possibilità e autentiche concretezze di vero valore religioso, perchè, per esempio, chiaramente legato all'idea di Dio, dell'uomo inteso religiosamente, a Gesù Cristo esistenza storica di Dio fra gli uomini.
La sua difficoltà concreta o se vogliamo la sua impossibilità (Gesù direbbe, proprio nel caso, impossibilità per gli uomini ma non per Dio) non deve far velo o ostacolare la comprensione di quella verità e tantomeno aiutare a ridurre a dimensioni di mediocrità esistenziale il suo valore in assoluto.
Semmai potrà essere argomentazione convalidante lo scoprire la bontà concreta e la validità esistenziale di quella verità religiosa ogni volta che arriva ad essere sostanza di vita e storia di uomini. O, se non altro la percezione del sogno meraviglioso (non dell'utopia) di un'esistenza costruita e determinata da quella verità religiosa e cristiana.
Nella realizzazione cristiana della vita il sognare non è un illudersi o un perdersi utopistico, è spesso l'unica sincerità che la nostra vigliaccheria e la miserabilità del mondo nel quale viviamo per le misure estreme della sua mediocrità ci permettono.
La povertà (come del resto la verginità, 1'Amore cristiano del prossimo, la Parola, la croce, la resurrezione e tutto Gesù Cristo) ha bisogno di questa ricerca e di questo innamoramento per la bontà, la verità, il valore religioso, il sogno di Dio, la realtà di Gesù Cristo, la sintesi e il fondamento di tutto il cristianesimo, che, volere o no, la povertà cristiana significa e in se stessa continua e attraverso se stessa realizza.
Fino al punto che è possibile affermare che dove è povertà è Dio, è Gesù Cristo. Nel cielo azzurro dove non sono nebbie né nubi il sole splende di giorno e di notte splendono le stelle. Così è della povertà: questo cielo sgombro di nubi e di trasparenze verginali dove, unicamente, Dio può splendere tutto il suo essere Dio.

don Sirio

"Le nostre cose..."

Questa è la nostra casa. E' il luogo della nostra vita, la nostra zolla di terra, lo spazio nel quale ci doniamo, amiamo, ci offriamo, nel quale si raccoglie il trascorrere dei nostri anni. Ma siamo pronti a lasciarlo, a muoverci altrove, fosse anche in un'altra parrocchia, o in un'altra Diocesi perché sappiamo ormai che la vita è uguale dappertutto, intessuta di dolore e di difficoltà, fatta di rapporti duri ed egoistici, di un po' di amore e di pace incontrato a volte e contemplato come un miracolo, di giorni che passano uguali per ì buoni e per i cattivi, della Bontà di Dio che su tutti veglia, tutti ama, tutti vuole salvare. In qualsiasi luogo e in qualsiasi momento vogliamo e dobbiamo essere questa presenza di Amore.
Non ha altro senso la nostra vita se non essere questa briciola di amore, briciola perché siamo poca cosa, buoni a nulla, senza forza né coraggio e tante volte abbiamo perfino la dolorosa impressione di giocare come bambini in questo terribile dramma che è la vita umana. Ma siamo come l'obolo della povera vedova che era tutto se stessa perché non aveva altro, così anche noi, dati senza calcolo, anche perché sarebbero solo poche addizioni.
Se riusciamo ad essere un attimo di Amore saremmo il Regno di Dio vivente, e cosa altro dovremmo essere noi che abbiamo scelto Dio come motivo principale della nostra vita? Allora ogni cosa acquista una logica, cadono i perché in cerca di una spiegazione umana, perdono ogni valore i problemi di povertà o di ricchezza, di metodi, mezzi, organizzazioni pastorali, e si capisce perché chi vuole mostrare Dio al mondo ed essere contenenza del Suo mistero voglia liberarsi di tutto, da se stesso e dalle cose per non svelare che Lui, indicazione del Suo Amore.
La vita per noi piccolo gregge non può essere che semplice, povera, umile, appassìonatissima, ferma, sicura. Fiammella che arde ad indicare un'altra Luce. Ad indicarci ci basta la vita, quella che ci livella agli altri, l'apertura di un cuore che non rifiuta tutto ciò che è umano in sé e negli altri. A cosa servirebbero le sovrastrutture, le organizzazioni, i metodi di convincimento e più ancora una vita differente, diversa, particolare fin nell'abito esteriore, nei modi, nei tratti? Una sola cosa deve differenziarci: i motivi del nostro vivere, una sola cosa farci diversi, il cuore di Dio che ci convince ad abbandonagli il nostro. Con un solo mezzo vogliamo persuadere gli altri: Gesù il figlio di Dio, la pietra angolare contro la quale si sfracellerà chi lo rifiuta, lo scandalo per chi non crede.
Ci interessa un'unica realtà, la nostra sola pastorale: essere uomini e donne veri che in questa vita, aperti a tutti i valori, hanno trovato motivo ad esistere solo in Dio.
La nostra vita somiglia in parte a quella delle famiglie del luogo: gli uomini lavorano, noi donne stiamo in casa e quando possiamo andiamo nei campi ai fiori o alla verdura. Il tempo libero è passato in preghiera o mangiato dalla gente.
Abbiamo voluto aprire la nostra casa agli altri perché è una cosa logica e normale offrire ciò che si ha, gridarlo dai tetti e non nascondere la luce. Per fare questo bisogna donarsi concretamente, e lo facciamo anche se a costo di tanta fatica specialmente per noi ragazze. Basta aprire la porta e fare sapere che c'è un cuore amico che attende chi viene, disposto a dividere con gli altri i doni di Dio e il numero delle persone cresce fino ad essere quasi una piccola folla. E' segno che vi è tanto bisogno di una casa ospitale, specialmente oggi, in questa nostra civiltà dove sempre di più si affermano i valori individuali e personali e le case sembrano castelli medioevali separati dagli altri da larghi fossati - famiglia dove si pensa solo a come accrescere "il nostro" senza curarsi di chi lotta e soffre in difficoltà.
Cosa mi può dare di credere che chi mi tende la mano è amico e disinteressato e non ama che il mio cuore e l'anima mia senza secondi fini, senza interessi - se non posso toccare con mano, vedere, constatare una realtà di vita che è capace di accogliermi ogni giorno e dieci volte al giorno, sempre e unicamente per amore di Dio?
Bisogna che noi cristiani offriamo la nostra casa a tutti proprio perché ciò che è nostro è degli altri - e offrire la casa è poco, il cuore, l'anima, la vita, il nostro rapporto con Dio bisogna dare, la fede, 1'amore, la sofferenza, tutto perché in tutti viva Lui, il nostro Dio.
E' terribile pensare che ci si fa fermare da considerazioni di carattere economico, da comodità, dal non volere essere schiavi degli altri, noi cristiani che ripetiamo ogni giorno con Maria "ecco la serva del Signore".
Sono molte le persone che entrano nella nostra vita, fratelli e sorelle che il Signore ci ha posti sulla via con i quali dividiamo quanto abbiamo. Vengono attirati, penso, da una serietà di vita, da cuori che sanno sinceri, da una fede che vuole sempre più credere e abbandonarsi fiduciosa, da una famiglia traboccante di affetto.
Non vi trovano sicuramente sapienze culturali, né intelligenze particolari, nulla capacità organizzativa, nessun convegno, non associazioni, né comitati parrocchiali. Perché vengono? Ce lo domandiamo spesso anche noi: la casa è povera, l'ospitalità spesso scomoda sia per noi che per loro; bisogna lavorare e aiutare all'andamento della famiglia o dell'officina o di quei parrocchiani che hanno bisogno di lavoro; e la preghiera non viene imposta né richiesta, ma chi viene sa che è centro della nostra vita.
Cosa importano i perché? In fondo sono particolari ed unici per ognuno, strani ma semplicissimi perché due soli sono i motivi costanti: Dio e il Suo Amore, o il bisogno di vedere quest'amore incarnato e toccarlo con mano.
Allora non si possono più fare distinzioni, né classificare, ci sono solo vite umane, storie che acquistano un volto, pienezze che cercano dove potersi donare, vuoti che chiamano da solitudini stanche. Sono creature di Dio, immagini del Creatore che guardiamo e amiamo, alle quali vorremmo essere rivelazione del Dio vivente.

Meditazione sulla Bibbia

La Bibbia e'insegna che l'uomo è stato creato ad "Immagine e Somiglianza" di Dio. Prima di precisare il senso dell'"Immagine e somiglianza" è necessario liberarci da un'inveterata abitudine mentale che ci fa vedere nel termine "uomo" solo quella parte che abbiamo designata come 1'umano-maschile.. Gesù Cristo che è l'Immagine dì Dio discesa nella carne umana, è il figlio del silenzio virile e della offerta totale di sé della donna.
"Nato da Maria Vergine. L'uomo in quanto umano-maschile è escluso. Non svolge alcuna azione in questa nascita che costituisce una specie di giudizio che Dio pronuncia su di lui. L'azione e l'iniziativa umana non vi hanno parte alcuna: non che l'uomo in quanto essere umano, ne sia escluso: c'è la Vergine. È 1'umano-maschile, nella sua specifica qualità di attore e di creatore della storia umana, nella sua responsabilità di capo della specie, che è relegato a figura di secondo piano come lo mostra la figura puramente passiva di Giuseppe. Tale è la risposta della fede cristiana al problema della donna: è la donna che occupa qui il primo piano, più esattamente la Virgo, la Vergine Maria.. (K.Barth).
Come in Dio gli opposti trovano la loro armonia nella semplicità assoluta della sua natura, così nell'uomo redento debbono ricomporsi in un'unità perfetta dalla quale nasce la gioia perenne dei figli di Dio e nella quale tutto il creato, liberandosi dalla corruzione, ritrova il suo significato e la sua speranza.
L'incontro dell'umano-maschile e dell'umano-femminile riporta, nella dimensione terrena, l'immagine di Dio e supera tutte le imperfezioni e deformazioni cui va incontro la Somiglianza che non affronta l'altro da sé con coraggioso amore. La ragione dell'"homo faber" deve conciliarsi con l'intuizione della donna; le sue conquiste devono essere corrette dal senso materno del rispetto alla vita. La morale non nasce solo dalla ragione pratica ma dal cuore che ama e rispetta ogni espressione di vita.
"L'uomo crea la scienza, l'arte, la filosofia e anche la teologia in quanto sistemi, ma questi finiscono in una spaventosa oggettivazione della verità. Fortunatamente la donna è presente; essa è predestinata a divenire la portatrice di valori, il luogo dove essi si incarnano e vivono. Al vertice del mondo, nel cuore stesso della dimensione spirituale c'è l'Ancella del Signore, manifestazione dell'essere umano ricondotto alla sua verità iniziale. Proteggere il mondo dagli uomini in quanto madre, salvarlo in quanto Vergine, dando al mondo un'anima, è l'invocazione della donna. Giraudoux in "Sodoma e Gomorra" dice che l'epoca in cui la donna non sa più amare e donarsi è la fine del mondo!" (Eudokimov).
L'umano-maschile deve abdicare al suo orgoglio e alla sua presunzione di sentirsi un essere superiore nei confronti dell'umano-femminile, situazione questa che è nata dal primo peccato. Deve riuscire a dare la sua forza, la sua solidità, la sua intelligenza creatrice alla donna, e ricevere, con la gioia di Adamo di fronte a Eva, i doni che essa gli porta, misericordia, pietà, amore, sensibilità profonda delle realtà essenziali. Quando ciò si verifica, Dio ritrova sulla terra la sua Immagine che è quando 1'umano-maschile e l'umano-femminile sono una sola realtà di coscienza e di amore in Cristo.

P. Giovanni Vannucci


(da "l'attesa" anno 1962 n°2)



menù del sito


Home | Chi siamo |

ARCHIVIO

Don Sirio Politi

Don Beppe Socci

Contatto

Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455

Link consigliati | Ricerca globale |

INFO: Luigi Sonnenfeld - tel. 0584-46455 -