LOTTA COME AMORE: LcA ottobre 2011

(introduzione)

Cari lettori,
questo primo numero del 2011 è un tentativo per vedere la praticabilità di tutto il percorso di
stampa, confezionamento e spedizione del giornalino. Se dovessi concludere che dobbiamo
affidarci a una ditta specializzata per le operazioni di spedizione, credo che sarebbe meglio
concludere questa avventura iniziata da don Sirio Politi nel 1960 e portata avanti, pur nei
cambiamenti che la vita ha proposto, fin qui.
Abbiamo compiuto, in fondo, credo onorevolmente, 50 anni.
Il secondo numero - scritto e stampato, se questo vi sarà spedito - sarà inviato solo all'indirizzo
degli amici viareggini e sarà di 4 pagine, giusto per conservare l'invio per abbonamento postale che
prevede due invii l'anno almeno.
Dall'anno prossimo, se rutto procede, farò almeno due invìi l'anno e cercherò di dare ad ogni
numero un contenuto monografico più rispondente allo spirito di comunicazione e di offerta di un
cammino sempre più innervato con lo spirito del vivere questo nostro tempo.
In previsione della continuità, vi chiediamo la vostra collaborazione in ordine a questi punti:
1. Se non desiderate più ricevere il giornalino, rimandatelo indietro, dateci la certezza di potervi
togliere dall'indirizzario. Tenete conto che potete sempre leggerci sul sito www.lottacomeamore.it
e la consultazione di Lotta come Amore è diretta e gratuita senza bisogno dì accessi e password.
2. Se invece ci sono vostri amici che desiderano riceverla in formato cartaceo, che ci mandino
l'indirizzo. La spedizione, come la stampa del resto, è a nostro carico: non c'è abbonamento.
3 .Coloro che - in amicizia e condivisione - desiderano darci una mano economicamente lo possono
fare attraverso i l c.c.p. N°10220556 intestato ad A.R.C.A. - Viareggio (causale: Lotta come
Amore), che è l'associazione cui fa capo il giornalino per gli aspetti legali e amministrativi.
Ringraziandovi per la pazienza, la fiducia e l'amicìzia con cui seguite il percorso di vita della
Chiesetta del Porto, vi abbraccio.
Luigi
Agli inizi di settembre ho partecipato all'iniziativa della Caritas diocesana in occasione della Festa
del Creato 2011, dal titolo "Educare all'accoglienza in una terra ospitale (camminate, spettacoli, arte
e dibattiti per praticare l'incontro)".
Era stato deciso di partire proprio dalla Chiesetta del Porto come uno dei luoghi che possono
raccomtare una storia di accoglienza e di incontro.
Così ai "camminanti" ho raccontato a brevi tratti come è nata e cresciuta la Chiesetta, ma soprattutto
le persone che vi hanno abitato, a cominciare da don Sirio che la Chiesetta ha tirato su dalle pareti
sbrecciate della vecchia Stazione Sanitaria Marittima e v i ha abitato in solitudine e fatica di lavoro
per diversi anni.
Il mio discorrere ha imboccato la strada di una chiave che mi è apparsa subito chiara: l'esperienza di
accogliere e incontrare gli altri ci porta a scoprire che essa nasce dalla esperienza di essere accolti.
Accolti nel Mistero di Dio, come si esprime don Sirio, accolti nel grande fiume dell'umanità, come
si esprime don Beppe. E le due dimensioni si guardano, si incontrano e si intrecciano come in una
danza della vita tutta.
Don Sirio Politi, don Beppe Socci. Chi li ha conosciuti l i ha anche amati, se non altro nel rispetto e
nella stima della loro testimonianza di vita.
Così in questo tentativo di ripartenza di Lotta come Amore che per tanto tempo ne ha ospitato gli
scritti, ho creduto di far cosa buona inserendo le loro biografie composte da Maria Grazia
Galimberti che per molti anni ne ha condiviso la vita.
Ho fatto precedere le biografie da due scritti, rispettivamente per don Sirio il racconto che apre la
raccolta di suoi scritti "Uno di noi", edito nel 1967 da Gribaudi di Torino. E per don Beppe l'articolo
scritto per Lotta come Amore, pubblicato nel n. 1 del 1995.
Ne "La lunga strada", don Sirio racconta l'inizio del "viaggio'' costitutivo della sua vita adulta, quel
suo accettare di diventare prete in tempo di una guerra (fu ordinato nel 1943) della quale, confessa,
"Io non ne sapevo quasi nulla". E continua: '"Per questo forse tutto avviene nella solitudine e nel
silenzio: non occorre che qualcuno sappia o ascolti, c'è chi accoglie, c'è un senso profondo nel
quale ogni cosa vive, un cuore che batte ogni palpito, un'anima che respira l'infinito. In quel
giorno, e non lo sapevo, sono entrato
in questo Mistero. Si è aperta una porta e ho varcato la soglia".
Ne "La condizione umana", don Beppe scrive: ''Non voglio davvero riecheggiare un celebre titolo
dì un glorioso romanzo francese, ma non riesco a trovare un'espressione più efficace per tentare di
comunicare questa impressione forte, intensa, che si allarga dentro di me e mi coinvolge sia dal
punto di vista puramente 'umano' sia nei suoi risvolti di carattere 'religioso': perché è dentro questa
'condizione umana' che avverto così misteriosa, così carica di contraddizioni, così provocatoria e
nello stesso tempo affascinante,
che mi sento spinto a cercare quello che la Bibbia descrive con parole molto speciali come 'il volto
di Dio'".
L'aprirsi di una porta... il sentirsi spinto... e quindi il 'varcare la soglia', 'il cercare'. Accettare
l'incontro con una realtà 'altra' con cui fondersi fino a 'perdere' se stessi.
Mi è parso qui la radice di un Amore e di una accoglienza che ha segnato profondamente la vita di
questi due uomini di Dio.
Luigi

La lunga strada

Allora fu come l'inizio di un viaggio. Non ne conoscevo la strada altro che vagamente, come in un
sogno. L'avevo intravista soltanto per averne paura, per vederne la difficoltà e forse anche l'assurdo.
Ma poi decisi di partire e fu come rischiare tutto, gettarsi di là. Fu come partire per la guerra e si sa
tutto meno dove si andrà a morire.
Ero allora consapevole dì poche cose e queste erano state afferrate violentemente e vi ero
aggrappato quasi con disperazione. Che Dio esisteva. Che la Sua Volontà aveva diritto di pretendere
da me tutto, anche ciò che sentivo contro me stesso perché troppo diverso dalle mie ragioni e dai
miei sogni.
E stavano vincendo le ore passate in Chiesa, spesso a piangere quando di Amore e quando di
ribellione.
Era tempo di guerra allora. E il mondo era affogato nel dolore, nella disperazione, nell'odio, nella
morte.
Ma io non ne sapevo quasi nulla. E ora ho vergogna che la mia prima Messa non fosse tutta e
soltanto la tragedia del mondo. Ma in qualche modo era sull'altare a diventare il Mistero di Cristo,
la ricerca di Dio sofferta e vissuta per anni, perché niente è mai soltanto problema personale, ma
l'esistenza di uno è quella di tutti.
Ho saputo dopo che un filo d'erba nasce da tutta la terra e un fiore fiorisce su tutto il mondo. Quella
capinera lassù che canta sul cipresso nero e solenne contro l'azzurro splendido del cielo, l'universo
l'ascolta e ne esulta profondamente. Per questo forse tutto avviene nella solitudine e nel silenzio:
non occorre che qualcuno sappia o ascolti, c'è chi accoglie, c'è un seno profondo nel quale ogni cosa
vive, un cuore che batte ogni palpito, un'anima che respira l'infinito.
In quel giorno, e non lo sapevo, sono entrato in questo Mistero. Si è aperta una porta e ho varcato
la soglia forse senza sapere bene che entravo dove tutto è ciò che si vede e si tocca con le mani ma
poi infinitamente di più. Da allora avrei dovuto guardare al di là di quello che si vede, cercare fin
oltre il possibile dentro le cose e raccogliere con queste mani ogni realtà materiale per raccoglierne
tutto il Mistero, tutta la Verità nascosta.
Cominciava veramente e non sarebbe potuto più finire, perché era chiaro che non poteva ormai
trattarsi più di un momento, di un giorno, di un anno, perché si iniziava l'eternità, cominciava
veramente il tempo dell'Amore. Una primavera nuova, appassionata, mese di maggio, violenza
d'infinito.
Ricordo l'impressione strana di quel nuovo camminare per le strade. Mi pareva di non appartenere
più a niente. Quasi avevo timore a respirare, come per paura di svegliarmi. Perché guardavo il
mondo trasognato, con dolce sorpreso stupore. Cominciavo ad aprite gli occhi come per la prima
volta e tutto era dolcemente meraviglioso.
Fu una settimana incredibile. Forse in quei giorni tutto mi fu dato in sintesi, come la prefazione di
un libro, come la visione di tutto in un colpo d'occhio soltanto.
Ma poi il libro bisognò sfogliarlo pagina per pagina e parola per parola leggerlo e impararlo a
memoria. Perché le strade si camminano un passo dopo l'altro. E si arriva i n cima salendo i gradini
a uno a uno.
La Verità va guadagnata spendendovi tutto, dando via ogni cosa, giocandovi anche la vita. E
l'Amore bisogna che ci mangi tutto quello che abbiamo e anche tutto quello che siamo. Il fuoco
brucia la legna fino alla cenere. E la luce vince il buio fino a non lasciare nemmeno la penombra.
No, non posso contare i giorni. Nemmeno gli anni. Perché ciò che è successo, piano piano e qualche
volta con incredibile violenza, non appartiene al tempo nel suo passare. Avviene nel tempo, ma
spesso in un istante è tutta l'eternità. E in anni qualche volta succede disgraziatamente che non vi sia
nemmeno il tempo, da quanto non si fa un passo avanti.
Nemmeno è importante, e forse non sarebbe neppure possibile, ripensare ai fatti e agli avvenimenti.
Perché ciò che è successo è quello che succede continuamente, quello di cui è pieno il mondo,
niente vi è mai di nuovo sotto il sole, dice la Scrittura molto saggiamente. Ciò che conta è il Mistero
di Grazia unito alle solite cose. E questo è novità assoluta perché è stato per noi, per maturarci, per
renderci veri, per costruirci secondo il Pensiero di Dio.
Mi pare di avere visto e vorrei avere raccolto questo Mistero di Grazia, tutta la Luce di Verità,
tutta rinfittita di Amore per me (e attraverso me per la Gloria di Dio e la salvezza del mondo) in
ogni uomo e donna entrati nella mia vita, in tutti i corpi e le anime che mi si sono scoperte in tutto il
loro Mistero. Nella terra sulla quale ho aperto gli occhi ogni giorno. Nelle nottate di stelle che ho
visto dalle montagne. Nella distesa paurosa e sconfinata del mare. Nei fili d'erba e nei fiori. In tutta,
assolutamente in tutta la creazione fino a sentirla nell'anima come universo. E poi nella storia. Da
quando la vita è nata e poi si è svolta fino al nascere del pensiero, della volontà, della libertà e poi di
tutto lo svolgersi della terribile eppure meravigliosa avventura umana.
È stato bello (o Dio, è veramente bellissimo) vivere unicamente per ascoltare il silenzio del mondo,
vedere l'invisibile, raccogliere soltanto con l'anima, essere sensibili dell'infinito e essere a contatto
soltanto con Dio perché è dato di credere e di essere felici che Lui è tutto, l'assoluto, l'Unico.
Allora il Suo esistere è dentro ogni cosa. Tutto è contenente di Lui. Tutto è apparenza di Lui. Non
è stato possibile che niente me Lo velasse o nascondesse e tanto meno me ne deviasse. Lo devo
confessare: è successo unicamente perché la Sua presenza nascosta ha forzato sempre le apparenze,
le ha spezzate e frantumate pur lasciandole intatte, rivelandosi.
È uscito sempre dall'ombra e si è fatto avanti in piena luce fino al punto che non è stato possibile
non vederlo, nemmeno a voltarsi dall'altra parte. È sopraffazione onnipotente, è violenza inaudita.
Il mondo soffre per la fatica spaventosa di contenere Dio e di nasconderne la presenza e di velarne
il Volto. La creazione e gli uomini e la loro vicenda sono argini che tentano di contenere una
fiumana prepotente che vorrebbe straripare continuamente.
Ma è duro e quasi impossibile.
Forse a poco a poco ho imparato ad arrendermi. A riconoscere ed accettare che Lui è più forte. A
essere felice che il Suo Amore sia irresistibile. A essere convinto soltanto dalla Sua Verità.
Vi sono voluti anni per decidere a non fare più la fatica di tenerLo ai margini, Dio. Poi per farLo
entrare da padrone, da vincitore assoluto. Poi per consentirGli di sopraffare ogni cosa, facendo sì
che tutto fosse Lui solo.
La strada è lunga, ma non ha importanza, perché ogni giorno e forse ogni momento la camminiamo
tutta, o almeno ogni tanto, fino al punto nel quale capita di accorgerci che si potrebbe anche morire
ormai, ciò che conta è non cercare di sapere dove si deve andare. Perché è nel Mistero di Dio che si
va, è logico e giusto che soltanto Lui sappia.
In quel giorno in cui ho varcato la soglia, ero solo e non sapevo niente di niente e di nessuno.
Nemmeno che l'umanità stava annegando in un mare dì disperazione e di morte.
Ma poi a poco per volta ho raccolto tutto quello che ho trovato per strada. Per mano o invitando e
chiamando. Fra le braccia, sulle spalle, aggrappati a me in ogni modo. Poi ho aperto il cuore e ho
visto che poteva contenere così tanto e poi l'anima e mi è sembrata senza limiti . E poi la Fede e
poteva portare chiunque e essere luce accesa per qualunque notte. E poi l'Amore si è offerto
dicendosi pronto e allora la folla è stata enorme, immensa, sterminata: spesso mi pare che sia
l'umanità. E poi tutta la terra l'Amore ha fatta sua e l'universo. Ma non sperdendosi perché troppo
diffuso. È tutto in un punto, può essere dato tutto ad un corpo e a un'anima, a te per esempio, e
rimane e anzi proprio allora diventa e è di tutti e di tutto.
Cammino adesso e vado avanti, ma non sono davvero solo. Porto con me, perché è me stesso ormai,
tutto il Mistero del mondo. Il peso è molto pesante e la stanchezza è dura fino a schiacciare, ma non
ha importanza perché è vero che il mondo sulle spalle possono portarlo soltanto quelli che sono così
tanto nulla da non poter nemmeno pensare a se stessi.
Spesso mi domando cosa stia succedendo e perché le cose siano andate così e cosa voglia dire
questo e quest'altro. Ma forse è perché dopo vent'anni da quel giorno sto cominciando ad essere
prete.

don Sirio

Don Sirio Politi 1920 - 1988

biografia

"Chi lotta e soffre su una zolla di terra
lotta e soffre su tutta la terra"
(N. Kazantzakis)
La capacità di intrecciare fra loro realtà diverse e farne sintesi è una caratteristica che segna tutto il
pensiero di Don Sirio Politi: preteoperaio, lottatore, poeta, artigiano, scrittore, vivido pensatore.
Ma la sua opera più geniale è stata la sua stessa vita, quell'uomo nuovo che periodicamente nasceva
e rinasceva, grazie al suo raro dono di integrare fra loro gli opposti: spirito e materia, uomo e donna,
persona e natura, amore e lotta, normalità e disabilità, sacerdozio e laicità, salute e malattia.
Di qui il suo essere infaticabile uomo di frontiera, capace di ripartire dopo ogni tappa ad esplorare
nuovi orizzonti, l'ultimo dei quali lo ha condotto al grande viaggio verso il mondo dell'al di là.
Ordinato sacerdote a Lucca nel 1943, dopo due anni di incerto girovagare da un incarico a un altro -
eravamo nell'ultimo, difficile periodo della guerra - lo troviamo parroco a Bargecchia, un piccolo
paese collinare alle spalle di Viareggio.
Lì, nel decennio di esperienza parrocchiale che per lui corrispose alla fase dai 25 ai 35 anni -
cruciale nella vita di un uomo - in Don Sirio si opera una lenta metamorfosi. Il sacerdote legato alla
forma e alla tradizione, figlio del suo tempo, lascia lentamente posto a un innamorato dello Spirito e
della Sua libertà che avverte il bisogno di spogliarsi di tutto e di vivere di sola preghiera, povero fra
i poveri.
La sua evoluzione deve molto ai contatti che aveva iniziato a tessere con il movimento dei preti
operai francesi e i Piccoli Fratelli e le Piccole Sorelle di Gesù, Congregazioni religiose il cui ideale
di vita era quello di vivere disperse a piccoli gruppi in realtà umane difficili: nelle periferie, nelle
borgate, fra i nomadi nel deserto...
Ed ecco che nel febbraio del '56 si sente pronto e scende dalle colline verso il mare seguendo
l'impulso di liberarsi di tutto, ridurre all'essenziale il suo sacerdozio ed immergersi nella realtà della
Darsena di Viareggio, fra pescatori ed operai per abbandonarsi lì, accanto a loro, al suo sogno di
Amore.
Trova da vivere in una sorta di baracca all'imbocco della darsena Toscana che la Capitaneria di
Porto gli dà in concessione col patto che ne ricavi una cappella e un'abitazione per lui. Ne nascerà la
Chiesetta del Porto, piccola, bianca, circondata di verde, un piccolo gioiello, un luogo di sosta e di
pace nel rumoroso andirivieni della darsena: il tetto a chiglia di navicello, la parete di fondo
lavorata a ritagli di travertino con murato dentro il Tabernacolo fatto di ferro, la porticina ornata di
due pezzi di catena saldati a forma di croce.
"Ogni mattina, appena tacciono le sirene dei cantieri, suono la piccola campana posta sul tetto
della Chiesetta: è nascosta fra i pini ed è di tra il verde che sbucano fuori i rintocchi a distendersi
nel bosco degli alberi delle barche assiepate tutt'intorno, quasi accovacciate sull'acqua, a dormire
ancora, nonostante lo splendore del sole.
E' l'ora della messa, è l'ora del lavoro e mi accompagna all'altare l'orchestrale di una musica vera:
alla fuga classica dei primi colpi di mazza rispondono suoni più lontani, colmati di eco profonde, il
martellare secco dei calafati e poi le lamiere battute a suono metallico. Si accende, allora, qualche
rumore di peschereccio e spesso fanno coro quelli dei grossi motoscafi in prova: le voci delle seghe
a nastro cantano l'ultima pena del legno mentre irrompe violento l'inno trionfale dei martelli
pneumatici che raccoglie ed unisce ogni altro rumore in un a solo potente."
Siamo alla prima, importante tappa della sua vita: era andato per vivere come lievito nella pasta,
solo più tardi, con l'inizio del lavoro nei cantieri, comincerà per lui un faticoso apprendistato, duro
come ogni iniziazione. L'immersione nella realtà del lavoro lo plasmerà lentamente come uomo,
permettendogli di integrare lo Spirito dal quale era animato con la realtà materiale che lo
circondava. La scelta di povertà acquista connotati precisi e diventa scelta di classe. Da questa
prima opera di sintesi nasce il preteoperaio, il primo in Italia, che legherà la sua sorte con uguale
passione alle lotte operaie e alla ricerca spirituale.
" Da qualche tempo lavoro come carpentiere tracciatore. Sono fra lamiere e longarine di ferro
dalla mattina alla sera. Sempre in piedi, chinato fra lamiere piccole come fazzoletti o grandi come
lenzuoli, sotto il capannone o fuori all'aperto a tracciare segni, prendere misure, a punzonare la
tracciatura a forza di martello e di bulino. E spesso sono stanco da non sapere come arrivare
all'ora di uscita.
E il mio lavoro è dei più leggeri, che quasi mi dà l'impressione di essere privilegiato. Qui, in
condizioni esterne impossibili, fisicamente logorati, con un ritmo senza soste o appena un respiro
come rubato, gli uomini sono abbruttiti, disumanizzati.
...Mentre lavoro non è possibile dire quello che spesso, nonostante il rumore assordante e la
spossatezza fisica, mi passa dall'anima. Mi sento spaventosamente povero ed inutile, ma insieme mi
pare di essere sponde di una fiumana infinita.
Un desiderio immenso come tutto l'universo, una preghiera, un chiedere con gli occhi, uno
scongiurare con tutta l'anima, un implorare dolce e calmo con dentro una sofferenza ed una gioia
terribili... perché io so quanto l'umanità ha bisogno di Lui. E davanti a Dio non sono più io, sono
loro, sono tutti."
Lentamente, Don Sirio conquisterà l'amicizia e la fiducia dell'ambiente operaio, poi nel '59 vi sarà il
perentorio intervento delle autorità ecclesiastiche che lo ponevano di fronte al dilemma o fare il
prete o fare l'operaio. La scelta incredibilmente sofferta, presa in giorni di isolata meditazione fu di
"continuare il rapporto con la Chiesa."
Finita l'esperienza di operaio dipendente, rimase a vivere in Darsena, mantenendosi con periodi di
lavoro come scaricatore di porto e dando vita a un periodico breve ed intenso come una fiammata,
intitolato . La redazione, alla quale partecipavano gli stessi operai, un giovane avvocato, e studenti
universitari si teneva nella Chiesetta del Porto, allargata per l'occasione da una sala per riunioni.
Nel '61 scrive il suo primo libro, edito da La Locusta, che narra la storia interiore dell'esperienza
operaia, una sorta di lettera aperta dove racconta il suo amore per Dio e per l'umanità. Per Don
Beppe e per me quel libro fu galeotto. Lette quelle pagine, ci affrettammo a venire a conoscerlo: lui
veniva da Firenze ed io da Roma. Nello stesso periodo il libro spinse anche Don Rolando , unico
prete della diocesi, a stringere legami con lui.
Il 1965 sarà per Don Sirio un anno importante: su invito del Vescovo si trasferisce in campagna, alla
periferia di Viareggio per dar vita insieme a Don Rolando Menesini a una comunità che vivendo
all'insegna della povertà avrebbe continuato il sogno di tessere insieme Spirito e materia. Un nuovo
passaggio, una nuova integrazione, quella della solitudine e dell'essere insieme. Anche qui Don
Sirio terrà saldamente in mano le due polarità vivendole entrambe, senza rinunciare a nessuna delle
due, perché rimarrà sempre un solitario e insieme, da allora, cercherà fino alla fine l'integrazione
della comunità.
"Si chiude un periodo della mia vita di solitudine, di eccezionalità e comincia l'avventura della
comunità. Siamo due sacerdoti e vivremo una vita di totale comunità perché l'Amore di Gesù ci ha
resi veramente fratelli. Avremo una parrocchia in una zona agricola. Con noi verrà anche una
ragazza, la sua presenza di donna sarà per noi il segno di tutto l'universo. Impostiamo la nostra
vita di comunità come una famiglia che vive insieme alle altre famiglie di contadini. Vogliamo
vivere del nostro lavoro di coltivatori della terra. Daremo un'importanza massima all'ospitalità. E
vivremo la vita pastorale della parrocchia in modo semplice, affidandoci alla predicazione
dell'amicizia e della testimonianza, nella povertà e cordialità più totali".
La ragazza di cui parla ero io che li raggiungo nel '66: credo che in quegli anni il rapporto
uomo/donna sia stato la caratteristica più rivoluzionaria del nostro vivere insieme. Capimmo che la
saldatura operata fra Spirito e materia formava un territorio capace di ospitare altre due polarità: il
femminile e il maschile potevamo integrarsi e convivere in maniera radicalmente nuova,
annunciando la venuta di .
"La donna è il luogo della riconciliazione, è dove il Mistero della vita si incontra e diventa uno.
Dio ha accettato questo luogo di incontro e di unità e si è umilmente rivolto a lei per potere
nascere.
L'umanità non ha ancora riconosciuto e tanto meno accettato la donna come luogo di
riconciliazione, per questo la storia dell'umanità è ancora lontana dal suo compimento".
Il rapporto fra generazioni fu un'altra caratteristica che ci segnò: il ribollio del '68, la sua intensa
vitalità scaturivano dalla presenza dei giovani; era la prima volta che prendevano la parola e non
accettarono facilmente di lasciarla, non volevano che la vita fosse inquadrata dalle regole: la
fantasia al potere! In quel di Bicchio i giovani si potevano manifestare: anche se Don Sirio era il
maestro di vita, tutti ci esprimevamo e crescevamo insieme. Nel fermento innovativo del tempo, la
comunità rappresentò un autentico crocevia per tantissimi ragazzi provenienti da ogni parte d'Italia
alla ricerca di impegno e di nuovi stili di vita. Li ospitavamo nella nostra abitazione da contadini.
Sono gli anni in cui inizia il lavoro artigiano, quella forgiatura ornamentale del ferro che continuerà
per quasi vent'anni e che gli fece amare tanto il lavoro artigianale, veramente a misura d'uomo, da
suggerirgli, circa 10 anni più tardi, di costituire nel '79 un laboratorio di cultura artigiana per il
quale cercò un capannone nella Darsena dove aveva iniziato la sua avventura.
In questo periodo scrive il suo secondo libro edito da Gribaudi. Ma le difficoltà stavano in agguato.
Le due o tre persone dell'inizio erano diventate molte di più. La crescita fu fin troppo rapida,
inevitabili i conflitti sul modo di condurre la parrocchia, i gruppi parrocchiali, giovanili, il
catechismo...quanto di più estraneo a Sirio la cui caratteristica era tutta nel vivere. Di fronte agli
ostacoli che rallentavano il cammino, egli sentì fortemente il desiderio di tornare alla propria
unicità, al cammino personale che lo caratterizzava. Troppo figlio del suo tempo per non sentire il
richiamo dei grandi movimenti di lotta degli anni '70, Don Sirio con un colpo d'ala sceglie...tutto.
Coniuga la sua specificità con la comunità. Decide di tornare in città, alla sua amata Chiesetta, per
essere dentro gli avvenimenti che incalzavano ed offre a chi vuole di seguirlo. Così Luigi , Beppe
ed io ci trasferimmo in darsena: la bianca, materna Chiesina ci ospitò.
Poiché le cose si richiamano con interdipendenze storiche molto precise, Don Sirio prestò ascolto
alla voce dei movimenti che nel decennio '70 attraversavano il mondo occidentale, ma ancor più
alla voce della natura che chiedeva di ripristinare una continuità fra sé e l'umano. Tutte le grandi
battaglie ecologiche, le lotte contro le centrali nucleari furono da lui combattute con tale passione da
portarlo, durante una manifestazione contro la costruzione di una Centrale Nucleare a Montalto di
Castro, ad occupare con altri la ferrovia, a essere per questo denunciato, all'esperienza del tribunale
e alla successiva condanna a sei mesi con la condizionale di 5 anni. Quella condanna Don Sirio la
patì vivamente, come un'offesa fatta a tutta la Creazione e gli fece esclamare: difendere la
Creazione è diventare vittima del potere.
Ristabilire la continuità fra l'uomo e la natura, permetterne la reciproca espressione, ritrovare
sintonia, riparare e prendersi cura del grande e pulsante ambiente nel quale viviamo, rispettarne le
interdipendenze biologiche divennero tematiche saldamente intrecciate alla sua vita.
Da questi temi l'impegno si è allargato a macchia d'olio: si occuperà di pacifismo e antimilitarismo,
dei gravi e tremendi, come amava definirli, problemi della pace: la lotta contro gli armamenti e
soprattutto contro quelli nucleari lo videro presente in prima persona. La minaccia rappresentata
dalla massiccia presenza di testate nucleari era per lui una preoccupazione continua, il segno della
follia umana. Follia espressa simbolicamente dalla realtà militare che divideva il mondo non tanto
fra Est ed Ovest, ma di fatto fra Nord e Sud: il Nord mangia praticamente i tre quarti di risorse
umane per sovrabbondanza di benessere e l'altra parte di umanità muore di fame a milioni e milioni
ogni anno.
Gli sembrava poco concepibile credere in Dio al di fuori di una coscienza dell'attuale realtà storica:
è assurdo credere che Dio sia creatore quando si permette che la creatura compia il sacrilegio
supremo della distruzione della creazione, quando l'affermazione del proprio incontentabile
benessere fa sì che gran parte dell'umanità sia sommersa dalla fame e dalla disperazione. La pace,
quindi, come lotta, lotta contro tutto ciò che è l'opposto di Dio. Riprendeva forza quel leitmotiv che
lo accompagnava dal lontano '56.
Tanto gli premeva comunicare, che Don Sirio mise a punto una nuova modalità di raccontare e fare
conoscere le idee che gli erano care. La penna non bastava più: erano poche migliaia gli abbonati a
un giornalino che scriveva da anni e del quale era direttore, giornalista, correttore di bozze e
postino. Per diffondere quanto gli urgeva nel cuore inventò un genere per lui nuovo: 4 opere di
teatro popolare da recitarsi nelle piazze e nelle chiese; si improvvisò regista, capocomico e tuttofare
di una compagnia eterogenea che recitava e cantava andando in giro per l'Italia, nei cosiddetti
circuiti alternativi.
Siamo arrivati negli anni '80: il laboratorio artigianale che aveva creato apre i battenti ad alcuni
ragazzi handicappati che si cimentarono nel lavoro manuale, il proseguire dell'esperienza lo porterà
a confrontarsi anche col tema normalità/anormalità spingendolo a percorrere lo spazio che separa i
due mondi per trovare possibilità di incontro.
In controtendenza rispetto alla voglia di privato e normalizzazione che ormai sembrano prevalere,
Don Sirio stringe i legami con chi riconosce compagno di cammino e non si sottrae all'impegno di
continuare a parlare delle tematiche in cui credeva, ovunque lo chiamassero. Partecipò attivamente
alla vita cittadina e culturale della città. Fu, fra l'altro, presidente dell'AVIS e cofondatore della
sezione cittadina dell'AIDO. Per alcuni anni animò come presidente il premio letterario "Martiri di
S. Anna."
L'86 sarà per lui un anno dirimente, sono passati trent'anni da quando, arrivando in Darsena, ha
iniziato la grande opera di tessere insieme Spirito e materia: il tempo che gli era stato donato ha
un'improvvisa accelerazione e mostra in filigrana che si sta consumando. Si annuncia la malattia
che lo tormenterà per due anni - come una spina nella carne - e che lo invita a rivedere il senso
dell'integrazione che ha operato, a rivisitarla lungo la strada di un fisico sofferente che gli stringe
addosso i limiti della materia per spingerlo a rinascere, e questa volta dallo Spirito.
All'alba del 19 febbraio 1988 Don Sirio muore all'ospedale di Pisa dopo un ultimo, estremo
tentativo di salvarlo con un intervento a cuore aperto.
Una grande folla lo ha accompagnato al funerale: portato a spalle dai compagni per le vie della
Darsena, lui andava come sempre davanti al corteo a ricordarci ancora una volta che la morte non
chiude la storia.
Maria Grazia Galimberti

La condizione umana

Ci sono momenti in cui avverto una particolare difficoltà ad esprimere ciò che si agita nel profondo
dell' anima: come se tutto si mescolasse in un turbinio indistinto di pensieri, sentimenti, sensazioni,
impressioni che la vita, nel suo insieme, comunica ma non in maniera definitiva. Forse è un
momento legato alla situazione personale, all'età che avanza, al clima sociale molto fluttuante e
quasi inafferrabile, ad avvenimenti e storie di persone che mi hanno colpito profondamente... Forse
è soltanto un'impressione molto superficiale e di poco conto. Chissà: certo è che avverto la
complessità dei mille fili che si intrecciano nel cammino della vita, la necessità di rimanere ancorato
ad un punto di riferimento sulla linea dell'orizzonte, il dovere essere attento ad ogni storia, anche
molto piccola ed in apparenza "di poco conto" che incrocio sulla mia strada. Ed è altrettanto certo
che la mia attenzione di questo tempo è fortemente attratta da quella che non riesco a definire in
modo diverso se non come "la condizione umana".
Non voglio davvero riecheggiare un celebre titolo di un glorioso romanzo francese, ma non riesco a
trovare un' espressione più efficace per tentare di comunicare questa impressione forte, intensa, che
si allarga dentro di me e mi coinvolge sia dal punto di vista puramente "umano" sia nei suoi risvolti
di carattere "religioso": perché è dentro questa "condizione umana" che avverto così misteriosa, così
carica di contraddizioni, così provocatoria e nello stesso tempo affascinante, che mi sento spinto a
cercare quello che la Bibbia descrive con parole molto speciali come "il volto di Dio": "Il tuo volto,
Signore, io cerco - non nascondermi il tuo volto!".
Mi sostiene in questo percorso il cammino di Gesù a cui cerco di rivolgere sempre il mio cuore e
nella cui storia mi sembra di scoprire sempre più l'infinita tenerezza di Dio che è entrato in modo
inequivocabile nella "condizione umana" e si è fatto nostro prossimo, amico, compagno di strada.
Questo abitare di Dio con noi, nella misteriosa ed affascinante storia di Gesù, è il segreto sostegno
alla quotidiana fatica di accettare l'intricatissimo intreccio dell' esistenza, nel cui misterioso seno la
presenza amorosa di Dio è come velata, nascosta, quasi "assente".
Mi ferisce in modo insopportabile la storia di uomini e donne lacerati dal dolore, dalla violenza,
dalla sopraffazione atroce e spietata di altri uomini e donne che per interesse di potere economico,
di affermazione personale, di dominio ad ogni costo, trasformano l'esistenza in una realtà terribile e
tragica. Rimango sempre intimamente sconvolto quando sul mio cammino quotidiano incontro
qualcuno che nella sua persona porta i segni di un abbandono, di una solitudine, di un'angoscia, di
un vuoto che è impossibile colmare. Ugualmente, la sequenza molto rapida dei volti e dei luoghi
travolti dalla tragedia della guerra e dell' odio che passano sullo schermo televisivo penetrano nella
profondità dell'anima e lacerano lo spirito: nascono delle domande a cui è molto difficile dare
risposte troppo scontate.
C'è qualcosa di realmente sconvolgente nella nostra condizione umana, qualcosa che inquieta e
chiede di essere accolta con un amore ed una attenzione del cuore di cui forse non conosciamo né
l'intensità né la misura. La storia di Gesù Cristo, entrato nella nostra esistenza assumendo la
condizione di servo povero e obbediente alla misteriosa legge della vita, mi sostiene in questa
ricerca di condivisione umile e attenta a tutto ciò che brilla sul volto di coloro che incrocio sul
piccolo sentiero della mia vita: il sorriso e le lacrime, il dolore e la gioia, la durezza della malvagità
e la dolce forza della bontà, la luce di un cuore pacificato e le tenebre di un cuore violento.
A volte, la vita mi appare come una macina che stritola e frantuma ogni cosa: anche Dio lo avverto
come debole e prigioniero di questo misterioso ingranaggio dove solo la morte sembra essere
l'unica risposta al travaglio umano. Ci sono pezzi di terra continuamente bagnati dal sangue di
esseri umani schiacciati da chi fa dell'uccidere una tremenda "ragione di vita". Ci sono storie di
persone dominate fin dalla nascita dalla solitudine, dall'abbandono, dalla miseria più dura, dal non
contare assolutamente nulla. Ci sono volti di creature umane resi irriconoscibili dalla violenza e
dalla crudeltà.
Apro il Vangelo e cerco di ripercorrere in silenzioso ascolto una storia affascinante e carica di
mistero, la storia di un uomo cresciuto come tutti dentro questa condizione umana della quale niente
ha rifiutato, ma tutto ha raccolto con un amore stupendo ed unico e tutto ha abbracciato rispondendo
di persona alle infinite provocazioni che la vita gli poneva di fronte.
Nella condizione umana di Gesù mi sembra di poter raccogliere quella piccola luce necessaria a
camminare sullo stretto sentiero della vita in compagnia di tutti coloro che quotidianamente
formano la mia carovana. La pista, a volte, si apre in distese ampie di luce e di serena visione; a
volte, invece, si fa dura e difficile da percorrere e lo spazio si indurisce in solitudini di deserto e di
aride pietre. Dal cuore sento salire l'invito a continuare il cammino con molta umiltà, scandendo il
passo insieme a tutti gli uomini e donne costretti a marciare sulla pista di questa esistenza che porta
nel suo grembo la presenza di un mistero davvero immenso e straordinario, la cui esperienza
principale sembra essere proprio quella dei "dolori del parto". Come nel cuore della notte più
profonda il sole del nuovo giorno cresce e si espande in silenzio.
don Beppe

Don Beppe Socci 1939 - 1998

biografia

La sua vita dedicata ai deboli, il modo caldo di fare, le tante esperienze che ha intrecciato, hanno
fatto di Don Beppe Socci un punto di incontro fra persone di diversa generazione e provenienza
sociale. Una persona che i viareggini hanno amato in maniera speciale.
Il denominatore comune delle esperienze da lui vissute è stato l'ostinato non arrendersi di fronte alle
ingiustizie, la mano sempre tesa a chi era sopraffatto dalle difficoltà del vivere.
Don Beppe nasce nell'aprile del 1939 a San Casciano Val di Pesa, dove trascorre un'infanzia felice.
Quando il padre muore all'improvviso d'infarto mentre si reca al suo lavoro di fattore, il clan
familiare si stringe intorno al bambino e alla mamma in una gara di affettuosa solidarietà che
rimarrà per lui fonte di ispirazione costante.
DON BEPPE ARTIGIANO
Entrato giovane nel seminario di Firenze, nel '62 legge un libro di don Sirio Politi, il primo prete
operaio italiano che lavorava ed abitava nella darsena di Viareggio. Chiede di conoscerlo e attratto
dal suo stile di vita decide di seguirne l'esempio.
Ordinato prete, fa il bracciante agricolo nelle colline del Chianti e si trasferisce a Viareggio nel '69
per unirsi alla piccola comunità di uomini e donne alla quale Don Sirio aveva nel frattempo dato
vita. Vivono nel quartiere Bicchio, nella parte Sud della città.
L'anno seguente diventa pescatore, un mestiere, come scriverà "antico e duro, che ha conservato un
suo carattere primitivo. Il vento e la pioggia, il giorno e la notte, la bonaccia e il marettone lo
rendono dipendente dalle forze della natura". Qualche anno più tardi farà il manovale in un cantiere
navale.
DON BEPPE PADRE
Nel '75 decide di lasciare la comunità per andare a vivere per conto proprio seguendo un impulso
del cuore: prendersi cura di quattro fratellini (dai 5 agli 11 anni) che in seguito a un grave episodio
di cronaca nera si erano trovati improvvisamente senza genitori. Ne ottenne l'affidamento attraverso
Gianpaolo Meucci, allora presidente del Tribunale dei Minori di Firenze e suo caro amico. Li tenne
con sé fino all'adolescenza, in attesa che la loro difficile situazione familiare si sistemasse.
Sono anni in cui, a partire dall'esperienza che sta vivendo, propone con forza la tematica
dell'affidamento familiare, coinvolgendo un giro sempre più vasto di famiglie sensibili alla proposta
di farsi carico temporaneo di minori in difficoltà. Viareggio diventa in poco tempo la prima città
toscana per numero di affidi.
Se nei primi anni si destreggia come può fra le incombenze domestiche e la cura dei piccoli, in
seguito riprende in mano anche il filo lavorativo.
L'occasione viene nel '79 quando Don Sirio gli offre di partecipare a una nuova avventura: un
laboratorio artigianale da fare sorgere in un grande capannone nel cuore della Darsena. Beppe vi si
recherà a lavorare a mezza giornata facendo l'impagliatore di seggiole. Durante il giorno molte
persone si recavano nella nuova struttura a fare una chiacchierata. Capitò che qualcuno chiedesse
loro di ospitare a "lavorare" nel laboratorio il figlio handicappato: da allora il numero delle persone
con disagio crebbe e il laboratorio, specie dopo la morte di Don Sirio, perse l'identità artigiana per
ospitare la C.R.E.A., una cooperativa di servizi sociali.
Don Beppe rimane a lavorare in cooperativa come operatore la mattina e come artigiano
impagliatore il pomeriggio. Nel frattempo i figli in affidamento crescono e tornano alla casa paterna
e lui a sua volta torna a vivere con Don Sirio e don Luigi alla Chiesetta del Porto in Darsena.
UNA PARROCCHIA COME FAMIGLIA
Il 1988 segna per lui un'importante novità: il vescovo lo nomina parroco della chiesa dei "Sette
Santi Fondatori" in Darsena. Beppe riversa nella parrocchia le stesse cure che aveva dato ai suoi
ragazzi creando un continuum fra due momenti della sua vita. In pratica per lui la parrocchia è stata
come una famiglia e questo stile, questa capacità di accudimento vengono recepiti e fra la gente si
alimenta la capacità di intrecciare relazioni. Fra l'altro è presente sul territorio un pensionato per
anziani del quale Don Beppe in quanto parroco è il presidente: anche lì farà di tutto, e con successo,
per legare il pensionato alla realtà del quartiere.
L'IMPEGNO PACIFISTA
Accanto al tenere insieme, al fare famiglia Beppe riesce a vivere un'altra parte della sua personalità:
pacifista convinto, in occasione della guerra del Golfo anima a Viareggio i comitati per la pace e
riprende con lena la sua lunga battaglia contro i cappellani militari. Per mantenere viva la
mobilitazione decide di dare luogo a una "Scuola per la Pace" che per alcuni anni organizza lezioni
e convegni.
Nel frattempo, per rendere la pace una realtà concreta, dà nuova vita a un'associazione già esistente
l'A.R.C.A. In questa imbarcazione fa lentamente confluire le creature che incontra: apre in Darsena,
alcuni pomeriggi la settimana, una bottega delle seggiole impagliate dove far incontrare volontari e
persone con disagio creando un posto semplice, umile, dove si lavorava e si stava insieme, un punto
di riferimento vivace nel tessuto sociale del quartiere. L'associazione dà anche l'avvio al progetto di
creare a Viareggio una casa famiglia per ospitare i portatori di handicap che con il passare degli anni
e l'inevitabile morte dei genitori rimangono soli.
Nel pieno delle sue attività, mentre stava ancora impastando la vita, il 19 gennaio 1998 un infarto lo
coglie di mattina, mentre si reca al lavoro. Morirà dopo poche ore, in ospedale.
UNA CITTA' IN LUTTO
Migliaia di persone, inconsolabili, accorrono a vederlo, si svuotano i posti di lavoro, la Darsena si
affolla di gente unita da un nuovo senso di fraternità. Il sindaco dichiara mezza giornata di lutto
cittadino per consentire ad ognuno di recarsi alla Chiesetta del Porto a rendergli l'ultimo omaggio.
Il giorno dei funerali i negozi chiusi per lutto, le bandiere nere issate sui pennoni delle barche dei
pescatori, gli striscioni dei consigli di fabbrica, i gonfaloni del Comune che seguivano il feretro,
tutto raccontava la ferita della città.
Ma la morte non chiude la storia e la sua memoria continua ad essere viva fra gli abitanti di
Viareggio.
Maria Grazia Galimberti

Non posso e non voglio rifiutare nulla

Io ho soltanto offerto un pezzo di terra,
perché vi sia gettato il seme,
o perché vi sia sotterrato il tesoro da scoprire.
Ho semplicemente consegnato il mio corpo e la mia anima,
perché Dio sia qui ad abitare fra gli uomini.
Sono veramente nulla e meno ancora,
ma forse è vero che l'onnipotenza di Dio non cerca altro.
Anche gli uomini vi si trovano bene,
finalmente a loro agio,
dove è serena libertà da tutto.
Perché è sempre una gioia scoprire un angolo di silenzio e d'ombra,
fasciato di solitudine.
Ecco: mi hanno cercato per avermi a disposizione.
E devo vivere in balia di ogni vento e tempesta.
Mi hanno chiamato - e quasi sempre sono richiami senza voce -
qui e là, dove c'è bisogno di uno di cui approfittarsi,
di cui forse abusare liberamente,
perché tutto mi può essere gettato nell'anima
e di ogni peso mi possono caricare.
Lo sanno tutti, ormai, che non posso
e non voglio rifiutare nulla.

Sirio Politi, "Una zolla di terra", EDB Bologna 2008, pag. 164

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