LOTTA COME AMORE: LcA dicembre 1994

(frontespizio)

Non ci é permesso alcun sogno
che non sia già
l'inizio di un cammino nuovo


Il dovere di pensare

L'autunno ripropone uno scenario mesto e preoccupante. I rituali dello sciopero generale seppure caldi e partecipati non aiutano più che una fiammata d'arbusti ad allontanare il senso di gelo tutto intorno. La politica sembra oscillare tra due schieramenti dai contorni non bene definiti che consentono il fluttuare di un grosso numero di persone e di voti. Questi due schieramenti sembrano però addensarsi intorno a nuclei assai consistenti che rappresentano interessi contrapposti. Da una parte chi si riconosce (a torto o a ragione) negli interessi governativi e quindi reputa che i sacrifici li debbano fare gli altri e quelli che i sacrifici sanno di essere costretti a fare perché più deboli. Le ragioni e i torti dall'una e dall'altra parte si sprecano. Sta di fatto che la cronaca di queste settimane ci sta consegnando un vero brodo di cultura di nuovi irrigidimenti, nuove violenze, nuovi fronti di scontro sociale e culturale. Rinasce forte nella coscienza della gente la convinzione che solo con il mettere a tacere la parte avversa (con più o meno simbolici bavagli) si possa sperare in una azione coerente capace di salvare il salvabi1e. Lo spazio della politica, in queste condizioni, rischia di restringersi sempre più ad aree di interesse periferico. Lo spazio del potere e della violenza sembra affermarsi al centro noda1e della vita sociale e delle relazioni interpersonali.
Che fare in questa situazione? Se lo chiede e lo chiede anche Mons. Nervo nella relazione "Vecchie e nuove povertà in Italia, fenomeno accidentale o strutturale?" al convegno nazionale (Rimini 23-25 settembre) dell' Associazione Papa Giovanni XXIII. Che fare?
"Accettare passivamente, limitandosi agli interventi assistenziali preziosissimi e alle forme di condivisione di grande valore di ogni giorno che nessuno ci potrà impedire?
Adattarci alla situazione ricavandone i vantaggi che ci può dare, come il giovane prete Giovanni Battista Montini lamentava in una lettera al padre, scritta dalla nunziatura di Varsavia, quando seppe che Don Sturzo era stato costretto a lasciare il Partito Popolare ed andare in esilio: 'sono molti anche nel mondo cattolico quelli che preferiscono stare con chi vince che con chi pensa e prega.'? Andare controcorrente come è scritto nel titolo provocatorio del convegno 'La società del gratuito' e organizzare una solida e costruttiva resistenza democratica non-violenta di base per richiedere ed esigere con la tenacia che nasce dall'amore che in ogni scelta si riparta dagli ultimi, davvero?".

E prosegue Nervo: "Se questa, come immagino ed auspico, è la scelta, bisognerà darsi obiettivi grandi e concreti".
Non si può, insomma, se si vuole essere coerentemente resistenti, nasconderci dietro la complessità delle cose, l'irruenza e l'arroganza dei vincitori, la sottile tentazione di limitarsi a stare a guardare. Occorre comunque un punto di aggancio, chiaro ed evidente: Ed occorrono obiettivi reali, degni di essere oggetto di una lotta ampia e vigorosa.
Che l'orizzonte di lotta sia a tutto campo lo si coglie anche dagli anniversari che punteggiano questi anni: lo sbarco degli alleati in Normandia, la liberazione dell'Italia, l'immane tragedia dei bombardamenti delle città fino allo sganciamento delle prime bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki... 50 anni! La maturità di una generazione. Il mondo degli accordi di Yalta arriva a quest'età critica per gli umani in una condizione che rivela uno scenario di muri ancora saldamente in piedi e di muri ormai in sfacelo. Ma è come se il crollo di questi ultimi abbia messo in luce ancor più la radice di questa costruzione mondiale: la divisione, la spartizione di zone di interesse per cui pochi hanno in mano la sorte di molti.
La svolta epocale di questo nostro tempo si traduce in scadenze che possono confermare questa tendenza (avvicendandone semmai gli attori) o andare realmente verso la ricerca di nuovi (e più giusti) equilibri. L'anno prossimo si saprà se le nazioni (e quali nazioni) firmeranno un nuovo trattato di non proliferazione delle armi atomiche (la tensione con il Nord Corea è spia rivelatrice di possibilità nefaste in questa direzione). Gli accordi economici mondiali resistono ad aperture di qualsiasi tipo ai Paesi emergenti e la crisi del debito stravolge qualsiasi bilancio dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo.
In Italia, la fine della Prima Repubblica continua ad erodere un patrimonio ideale e storico per una mancanza di alternative realmente credibili ed una inarrestabile imitazione dell'immagine del "vincente" .
Accettiamo tutto questo passivamente, limitandoci alla preziosissima e indispensabile attività delle buone opere? O preferiamo dire che abbiamo sbagliato tutto nel cercare di fondare la città degli uomini su spazi di condivisione e che ora non c'è altro da fare che liberare le energie di ogni libera impresa?
Stare con chi pensa e prega, diceva il giovane che diventerà Paolo VI. E se ricordiamo il volto tirato di questo papa "triste", la preghiera può essere intesa, laicamente, come il convivere con un senso di inquietudine e di ricerca tesa fino all'angoscia. Non possiamo credere di essere giustificati nella nostra inettitudine dalla complessità del mondo presente. C'è un dovere di vegliare che può rendere i nostri occhi velati dalla fatica per rimanere aperti. E non solo i nostri occhi, ma anche il cuore e lo spirito. E un dovere di pensare, e cioè non perdere la lucidità della memoria e della coscienza. Ora più che mai i motivi che stanno al fondo della nostra identità e delle nostre scelte non possono essere "spiritualizzati" e cioè ridotti a pure e belle intenzionalità. Non ci è permesso sognare alcun sogno che non sia già l'inizio di un cammino nuovo e ogni fedeltà può avere la sua conferma solo dal nascere di nuovi virgulti. Ognuno è di fronte a se stesso. Ma, insieme, possiamo essere di nuovo l'uno accanto all'altro. E' necessario che ciascuno di noi abbia il coraggio di guardare dentro di sé e di dar seguito a ciò che vi scorge. Come nell'avvenimento evangelico ognuno di noi può avere con sé - per motivi diversissimi - i pochi pani e pesci che possono sfamare moltitudini. Ma non si può né ignorare il possesso, né riservarlo a se stessi e ai pochi con cui si giudica di poterlo dividere. Sulla fiducia si possono calare di nuovo le reti della speranza, la fiducia che ci siano braccia pronte come le nostre a tirarle fin sull'altra riva. L'approdo di una umanità ritrovata.



La Redazione

La posta di fratel Arturo

Cari amici d'Italia,
il mio soggiorno in Italia è stato particolarmente marcato dalla ricorrenza dei 50 anni dalla fine della guerra e dalla celebrazione della Resistenza. Avendo accettato di essere un relatore di questa celebrazione, non potevo farlo se non pensando al senso che ha avuto nella mia vita questo fatto storico che coincide con gli albori del mio sacerdozio, perché non posso cancellare il giudizio severo del Vangelo sulle parole inutili. Nel nostro vivere quotidiano certamente molte parole inutili scivolano dalla nostra bocca, ma trattandosi di un intervento "oratorio" che possiamo giudicare dal di fuori, non potevo eludere la domanda se il mio discorso sarebbe stato utile o inutile, e se inutile, dannoso per chi parla e per chi l'ascolta. Tutti sappiamo che celebrazioni, anniversari, rievocazioni del passato sono delle splendide occasioni di logorree, spesso noiose e vuote, a cui coloro che vivono nel presente e del presente, specialmente se giovani, non prestano la minima attenzione, e che interessano solo chi parla, perché gli si offre l'occasione di esaltare se stesso.
Ho pensato alla possibilità di trovarmi davanti un piccolo gruppo di persone obbligate d'ufficio a subire per qualche ora il supplizio lieve, ma supplizio, di ascoltare parole vuote di interesse. Questo richiamo alla severità e alla essenzialità della parola è diventato per me quasi ossessivo in questo tempo, ritornando fra la mia gente, che ho sentito schiava, alienata dalla parola. E una parola resa suggestiva, affascinante dalla compagnia dell'immagine. Ho avuto, tornando in patria, l'impressione di arrivare ad una terra d'esilio. L'Italia è ancora l'Italia, ho riconosciuto i luoghi, le mie colline sono le stesse, il mio mare aveva quello stesso odore che mia madre non sopportava ed era per me l'odore della vacanza. Ma gli italiani sono in esilio, perché hanno perso la libertà di pensare, di creare, di immaginare, come la persona può fare quando il paese è suo, la casa è sua.
Questa dolorosa sensazione mi ha accompagnato nel mio soggiorno italiano: siamo un popolo schiavo e quello che più è drammatico è che siamo contenti di esserlo. Schiavi dell'idolo mercato che decide a livello personale quali oggetti scegliere nei grandi magazzini e a livello nazionale in quale serie, se A, B o C sarà classificata l'Italia. Schiavi dell'idolo TV che decide le nostre scelte politiche, lasciandoci l'illusione di vivere in democrazia. Ho pianto leggendo del meeting di Rimini che racconta la convocazione di migliaia di giovani che devono applaudire i politici che foraggiano il movimento, qualunque sia il discorso che fanno, le idee che contengono le parole fatte scendere sulle teste che costituiscono il panorama uniforme visibile dall'alto del palco. Quali saranno i personaggi che appariranno nell' anno 1995? Non preoccupatevi giovani, i vostri "educatori" ve li manderanno; preparatevi solo ad applaudire. E' vero che quelli che avete applaudito l'anno scorso hanno scristianizzato il paese e hanno fatto porcherie ancora peggiori? Se non è vero perché avete applaudito quelli del '94? La domanda non è rivolta a voi giovani, pecore senza pastore. Rifletto che quando i movimenti hanno come meta il potere economico, sono alìenati e alienano inevitabilmente. Come si vede nel nostro povero paese, la corruzione non è solo un'attività della mafia.
Vivendo queste esperienze, dovendo mantenere l'impegno di intervenire nelle celebrazioni del cinquantenario della Resistenza, senza vendere l'anima al diavolo, non mi restava altra alternativa che analizzare il senso attuale della Resistenza. Perché per raggiungere il valore che ci fa uomini, la libertà, bisogna resistere. Il moderatore di turno al Convegno osservò che ero andato fuori tema: non aveva torto e sono felice che l'abbia notato. Fuori tema perché non volevo che mi applaudissero per essere stato della falange degli "eroi" del 1944, ma mi proponevo di lanciare l'allarme: bisogna resistere, è urgente resistere.
A chi? All'invasore che raggiunge la radice della nostra libertà a basso prezzo solo tirando su il sipario del teatro di burattini di cui egli è l'impresario generale, per mostrare variazioni dell'unico tema dei bastonati e dei bastonatori, dei furbi e dei fessi, promettendo ad ogni calar di sipario una nuova puntata per raggiungere il risultato di liberarci dalla fatica dì pensare. Resistere ad una forma di religione che ci esonera dall'impegno di fare un mondo meno scandaloso, ad una religione che è così esperta in filologia che ci permette di parlare di pace in un paese che manda navi cariche di armi e di mine che preparano i mutilatini, attori degli sceneggiati televisivi che squarciano la monotonia di gente ben pasciuta con emozioni sempre più sofisticate. Ad una religione capace di calamitare in pochi anni fortune invidiabili senza fatica e di preparare strutture lussuosissime per avere gli spazi dove parlare di povertà e spiegare che cos'è povertà.
Ad una religiosità che non mette al suo centro il Regno, cioè la responsabilità di fare un mondo più giusto, più fraterno.
Non potete immaginare come la resistenza sia entrata nella mia preghiera, al punto da vedere il Crocefisso come il grande, il vero eroe della resistenza. Anche voi, amici, arruolatevi in questa resistenza e vi scoprirete dei sensi che daranno serietà, verità e vero spessore alla vostra vita.
Vi abbraccio

fratel Arturo

Il grande fiume

Mi ha fatto una gioia grandissima rivedere dopo diversi anni i torrenti e i fiumi meravigliosi della Valle d'Aosta, insieme ad amici molto cari, legati dai preziosi fili dell'amicizia e della ricerca di "sentieri comuni", del ricordo intenso e profondo, limpido e cristallino come I'acqua che scende cantando dalle alte cime coperte di ghiaccio e di neve: ricordo di amici con i quali abbiamo condiviso sogni, progetti, attese, delusioni e speranze e che oggi non sono più con noi. Amici che ormai sono passati "all'altra riva" del Grande Fiume ed il cui ricordo spesso (sempre!) è carico di nostalgia. Ho rivisto anche una piccola, meravigliosa fontana, incontrata vent' anni fa: è sempre lì accanto alla chiesetta dedicata a S. Anna e canta ancora la sua sommessa canzone di vita che scorre, sempre pronta a dissetare e dare ristoro. La pila di larice scavato è diventata più bruna e piena di screpolature: ma resiste, in attesa paziente e fiduciosa di un passante bisognoso di frescura. Mi ha fatto una grande impressione rivederla dopo vent'anni: mi ha ricordato che anche l'acqua della mia fontana è scivolata via e chissà se avrà dissetato e dato ristoro a qualcuno come ha fatto lei...
Certo, sono stupende le montagne, i boschi, i prati rigogliosi e fioriti: ma le acque della Valle hanno avuto sempre per me un richiamo particolare, un fascino tutto speciale, ed anche quest' anno hanno risvegliato dentro l'anima un sentimento forte ed intenso di questo Grande Fiume della vita nel quale siamo immersi quotidianamente, in cammino incessante come gocce d'acqua costrette ad andare, a scorrere, a fluire senza sosta fino alla foce... Ho pensato che questo è davvero il Grande Fiume sacro, simboleggiato e appena adombrato, come in parabola, da tutti i fiumi della terra, anche da quelli che gli uomini e le donne di varie culture hanno considerati come "sacri", segni cioè della presenza del "divino", capaci di lavare non solo i corpi, ma lo spirito stesso delle creature umane desiderose di liberazione e di trasparenza.
Il Grande Fiume, quello vero, entro le cui acque siamo continuamente immersi (anche senza piena coscienza) è veramente la Vita, la Storia, il Giorno, la Notte, il Mattino e la Sera, il Vento e il Sole, la Terra e il Cielo. E soprattutto l'umanità, Fiume Sacro che scorre da millenni, scende a volte precipitando da altezze da capogiro, rotola dentro gole profonde scavate tra le rocce, si distende dolcemente nella corona dei prati e dei boschi, cammina senza soste alla ricerca del mare entro cui perdersi e finalmente riposare. Il Grande Fiume della vita: ho sentito fortemente questo "mistero" avvolgersi con grande dolcezza, soprattutto nei momenti più belli della memoria di amici preziosi ormai "arrivati", mentre fuori, a pochissimi metri dalla casa dove eravamo ospitati e circondati di tenera amicizia, si sentiva il suono incalzante del torrente, musica e canto della Madre Terra.
Mi è rimasto nell' anima un sentimento di intensa pace e nello stesso tempo di desiderio di amorosa attenzione e presenza a tutto ciò che scorre e si muove nelle acque del Grande Fiume: questa è probabilmente l'Acqua battesimale nella quale occorre incarnare il "segno" del primo battesimo, perché è qui dentro, in questo scorrere misterioso della Vita che siamo chiamati a cogliere e raccogliere la presenza silenziosa di Dio, il richiamo alla fraternità, alla comunione, all'incontro, alla scoperta di quell'oro davvero prezioso nascosto nelle acque del Grande Fiume. Certo, il tempo dell'estate di quest'anno, ormai sfociato nelle prime frescure d'autunno dopo il grande solleone, è stato un tempo carico di sofferenze e angosce amare e laceranti: il Rwanda, la Bosnia, il dramma degli immigrati sballottati dai flutti della fame, della respinta, del razzismo sempre in agguato, la peste in India ... E poi i drammi e le angosce delle persone che ciascuno di noi conosce ed ama, il dolore degli amici più vicini alla nostra vita. Il Grande Fiume porta con sé i semi della nuova primavera, ma anche i segni della morte e della fine delle cose: le acque della Vita sono cariche di lacrime, di fatica, di delusioni cocenti, di attese che non trovano compimento, di speranze che si infrangono fra le pietre dell' indifferenza o dello strapotere del denaro e dei suoi tenaci servitori (o padroni).
La corrente, a volte, sembra travolgere tutto e tutti, senza possibilità di scampo. Per fortuna, però, mi è stato concesso (anche solo per un momento) di risentire il canto dolce dell'acqua limpida, fresca di neve appena sciolta al calore del sole ardente dell'estate e di poter ritrovare in quell'acqua il senso più profondo del vivere umano, il suo valore, il suo significato, il suo incessante andare verso qualcosa di più vasto, di più ampio, dì più accogliente. E così, anche la memoria degli amici ormai porati via dal Grande Fiume si è fatta più dolce ed ha significato per me un rinnovarsi delle forze interiori, un nuovo coraggio, una volontà a non demordere dall'impegno che ogni giorno spinge a cercare orizzonti più disponibili alla luce, all'incontro, al rannodarsi di fili, se pure sottilissimi, di pace, di comunione, di amicizia sincera, di pane condiviso, di attenzione reciproca, di lotta intensa e tenace, radicata nelle ragioni dell'amore, perché le acque del Grande Fiume siano sempre meno cariche dei segni della morte e del sangue e sempre più diventino portatrici di germi vitali, di nuova fecondità, di bellezza, di serena disponibilità all' accoglienza vicendevole. Perché ci sia data - a tutti - la possibilità di partecipare al canto della Vita.

don Beppe

Sul filo dei giorni

Abbiamo trascorso, Beppe ed io, alcuni giorni di ferie insieme. E' vero, bastano le dita di una sola mano a contarli ed anche .. ne avanza, ma a volte il tempo si dilata misteriosamente fino a contenere tante cose, assai più di quelle che possono uscire dalle inesauribili tasche di Eta Beta.
Imboccata l'autostrada per Genova, siamo usciti a Chiavari per affrontare le curve infinite del passo della Scoffera. Un itinerario già da tempo divenuto alternativo a strade ben più scorrevoli e veloci. Vecchie ferriere, opifici della prima industrializzazione, scuole di arti e mestieri che continuano ad inalberare piccoli monumenti all'incudine. Un percorso che si snoda in un paesaggio segnato da tracce di tanta fatica e di tanta passata (e attuale?) povertà. L'ultima volta che abbiamo percorso questa strada insieme è stato nell'autunno del 1987. Riportavamo Sirio a casa dall'ospedale di Pavia, dopo un mese di inutili tentativi per trovare un verso alla sua malattia, Lui insistette caparbiamente e in pratica ci obbligò a deviare a Busalla per il passo. Gli ricordava troppo il tempo delle sue scorribande in Lambretta per cercare quei respiri lunghi che lo avrebbero portato in Darsena prima ed in una continuità di lotta e di amore negli anni seguenti. Fu per lui certamente una grossa fatica e una forte emozione. Chi ci rimise di più nell'immediato però fu Maria Grazia che assommò alla stanchezza di quei giorni un persistente mal d'auto per quei continui strappi e sali scendi. Ci fermammo, allora, alcuni attimi al tramonto e furono attimi di gioia semplice e di grazia.
Abbiamo incontrato don Gino nel pomeriggio. Ad Ottiglio, alla cascina "G", vicino Casale Monferrato. Ed è subito festa, con il vino fresco e frizzante dell'amicizia. Intorno un gruppetto di giovani sono affaccendati a comporre scritte, a ritagliare strani oggetti nel cartone, a inchiodare cartelloni per invitare la gente di Ottiglio e dei paesi vicini ad un incontro sotto l'ormai mitico grande paracadute che fa da tenda. La sera facciamo memoria di un lungo cammino tra le mondine, i grandi cortili delle case popolari, le strade e i loro abitanti tutti particolari, la gente del sud terremotata... Ripartiamo al mattino, ma è come cambiar posto alla stessa tavola: a Saint Jacques in val d'Ayas ci attende don Michele e la semplice generosa accoglienza della pensione delle sorelle Favre. Amici tra loro Gino e Michele; amici con Sirio. Diversissimi tra di loro: uomini che han bisogno di spazio per crescere alla loro misura di alberi forti. E nell'arrampicarmi con il cuore in gola su per uno scosceso alla ricerca di stelle alpine e di genepy sotto un' acqua insistente, pensavo al messaggio di questi due uomini che hanno superato abbondantemente i 70 anni: l'insistenza sulla ricerca dell'essenzialità. Lungi dall'arrendersi di fronte alla complessità della realtà attuale essi scrutano l'orizzonte per cogliere ogni piccola manifestazione di novità vera. Ho capito che la vecchiaia non è necessariamente decadenza e morte. Il mistero del nostro corpo non è avvolto immancabilmente dal destino della fine. Anzi, c'è una grande misericordia nel corpo che invecchiando sembra aiutare, nella propria consumazione, tutta una trasparenza che rivela la perla preziosa che ci portiamo dentro. E' come se il progressivo diminuire delle forze accendesse e crescesse via via una luce tutta interiore capace di rivelare ciò che conta, ciò che veramente è importante. Come una nota prepotente e profonda che si leva a dare ordine e ragione a tutto un brusio inconcludente e stonato. Ho toccato con mano la grande ricchezza che sono questi uomini radicati nella ricerca attenta e mirata e nella speranza, Amici, tesori. Come don Arturo. Tesori da non custodire, ma anzi da investire nell'ampiezza delle nostre ricerche, nel coraggio e nella libertà delle decisioni e delle azioni. Energie potenti per dare vitalità alla vita.
Mi ha molto aiutato, questo incontro con don Gino e don Michele, in questi lunghi giorni di sofferenza e di morte di Michele, figlio quindicenne di Memo e di Enza. Un nipote ucciso dal cancro in appena dieci mesi. Una fibra forte e vitale, fino all'ultimo teso a non perdere contatto con la realtà, con la sua storia e la storia degli altri. Qualcosa di molto importante di me è morto con lui. Qualcosa di molto importante di lui ha forse preso vita in me. Qualcosa? No, qualcuno: Michele e io.

Luigi

50 anni sono troppi!

"Ogni bambino che nasce in Africa ha sulle spalle un debito finanziario che il lavoro di una vita non può ripianare. Il debito è una nuova forma di servitù tanto immorale quanto la tratta degli schiavi." (Conferenza Panafricana delle Chiese)
Per molti il termine "debito globale" evoca immagini di misteriosi numeri custoditi nei libri mastri di una storia tutta astratta. Questi numeri, al contrario, e soprattutto le decisioni che provocano, possono significare la differenza tra la vita e la morte. L'UNICEF stima che oltre 500.000 bambini muoiono ogni giorno a causa della crisi provocata dal debito globale.
Tuttavia questo è l'anno in cui le due istituzioni che hanno la responsabilità di affrontare la crisi, stanno celebrando una festosa ricorrenza.
Il 1994 segna infatti il cinquantesimo anniversario della fondazione di quelle che sono conosciute come le Istituzioni di Bretton Woods (BWls). Inizialmente create per assicurare una equità e una stabilità globale, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) hanno goduto di mezzo secolo di potere incontrastato sulle politiche di sviluppo dei paesi del Terzo Mondo.
(Per una azione a questo riguardo vedi SEMI DI RESISTENZA a pag.15)
Nel luglio 1944, mentre stava per terminare la II Guerra Mondiale, USA e Gran Bretagna organizzarono una conferenza per pianificare una economia globale postbellica fondata sulla equità e la stabilità. La conferenza ebbe luogo a Bretton Woods nel New Hampshire e partorì il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale conosciute oggi come le Istituzioni di Bretton Woods.
Per questi cinquant' anni queste due organizzazioni hanno lavorato senza ostacoli di sorta. E il risultato è quello di aver realizzato un costante e garantito flusso di risorse dal Sud del mondo al Nord. Dal 1947 la Banca Mondiale chiude in attivo ogni anno. Tra il 1980 e il 1992 il suo utile netto è salito oltre il 172% per oltre 1,6 bilioni di dollari. I profitti incamerati dalla sola Banca Mondiale ammontano ad oltre 14 bilioni di dollari.
Un'altro dato negativo nasce dal fatto che le strutture interne delle Istituzioni di Bretton Woods non sono mai state sottoposte ad una aperta revisione. Entrambi sono strutturalmente basate su principi antidemocratici. Il potere di voto sia alla Banca Mondiale che al FMI non è basato sul principio di ogni paese un voto, ma dalla quantità di denaro investita da ogni paese. Più denaro viene investito, più voti si hanno (I paesi del G-7 detengono - è chiaro! -la maggioranza assoluta). Inoltre non c'è verifica sulle decisioni delle Istituzioni di Bretton Woods. Sebbene eletti dai rispettivi paesi, i membri dell'esecutivo traggono la loro autorità in definitiva dalla Banca Mondiale.
L'Africa è uno dei clienti più importanti sia della Banca Mondiale che del FMI. Ogni anno 20 bilioni di dollari escono dal continente per pagare il debito contratto. Tra il 1980 e il 1993, 33 Paesi africani hanno ricevuto 241 prestiti per lo sviluppo. La Banca Mondiale, il FMI con altre istituzioni multi laterali stanno raccogliendo il 45% dei pagamenti di interessi sui 229 bilioni di dollari dell'intero debito dell' Africa. Dal 1985 il FMI da solo ha raccolto l'ammontare di più di 5 bilioni di dollari dall' Africa subsahariana.
Sia la Banca Mondiale che il FMI stanno raccogliendo pesanti critiche da varie fonti nel mondo, inclusi alcuni loro economisti. In Africa, la Commissione dell'Economia Africana dell'ONU, la Conferenza panafricana delle Chiese, il Consiglio Nazionale delle Chiese in Kenia, gruppi di base e tanti altri hanno espresso decise critiche alla politica di queste istituzioni definendola antidemocratica, assolutistica e perniciosa per i poveri.
C'è urgente bisogno di riformare alle radici queste istituzioni liberandole soprattutto dalla cultura del segreto che le permea, permettendo una presenza autentica dei popoli che di fatto ora subiscono le decisioni e le politiche di istituzioni a loro estranee. Altro che far festa sulle ceneri di buoni propositi che hanno continuato a portare ai ricchi le risorse spremute dalla vita dei poveri!



"Esserci dentro" Esperienze di pretioperai

Nel primo numero di questa nuova serie di Lotta come Amore, avevamo manifestato l'intenzione di seguire il filo della memoria anche per quanto riguarda i 40 anni dall'invito del gennaio 1954 - da parte dell' assemblea episcopale francese - a tutti i preti operai, di lasciare il lavoro a tempo pieno e ad abbandonare ogni tipo di attività 'temporale' (leggi sindacale) entro il l marzo seguente. Questa data è rimasta il simbolo dell'incomunicabilità fra la Chiesa e il mondo operaio.
Ho in mano la tesi, discussa da poco, di una cara giovane amica, Fulvia Raffaelli. Tesi di laurea in Storia contemporanea dal titolo: "Esserci dentro: l'esperienza dei preti operai italiani (1973-1985)".
"Esserci dentro", scrive Fulvia nella Premessa, "il titolo che ho scelto, ha un doppio significato: indica da un lato la volontà di questi sacerdoti di condividere completamente la vita della classe operaia, dall'altro la mia necessità di guardare la vicenda dal di dentro per poterne meglio capire le ragioni e gli sviluppi". Il primo capitolo ripercorre il contesto storico da cui è nata anche la vicenda dei preti operai italiani. Ed è quindi un calarsi dentro le vicende di 40 anni fa.
Mi sono immerso anch'io nella lettura della tesi e se, inizialmente, nutrivo buoni propositi di attenta e meditata accoglienza dello scritto, mi sono, quasi da subito, lasciato andare ad una lettura tutta d'un fiato. E ho riletto, in una sequenza ordinata e ricca di confronti, quella parte della mia storia personale, quel mio esserci stato dentro nel modo quasi totalmente inconsapevole di chi si trova in acqua e istintivamente cerca di stare a galla. Ma non è della tesi che voglio parlare (l'hanno ben giudicata i professori tra i quali Maurilio Guasco ), quanto delle mie reazioni e del confronto tra il mio attuale cammino e le conclusioni tirate da Fulvia su "dove eravamo" nell'85.
Scrive Fulvia al termine del IV capitolo intitolato "Nella crisi": "Uno dei contributi più importanti, sebbene non sempre consapevole, di questa esperienza (quella dei preti operai) resta l'aver reso sempre meno credibile la figura del sacerdote 'specializzato in cose del sacro', che invece la Chiesa in quegli anni si sforzava di ribadire, e di aver quindi concorso ad affermare l'idea del sacerdote 'missionario'. Oggi sono sempre di più i preti che scelgono di svolgere il loro ministero completamente immersi in realtà emarginate quali quelle dei nomadi, dei tossicodipendenti, degli immigrati, del sottoproletariato urbano etc. Al centro del loro impegno non c'è più la cura della comunità cristiana 'acquisita', ma piuttosto la promozione umana, l'impegno sociale che, vissuto in qualità di prete serve da stimolo anche al resto della comunità che, almeno nella sua parte più sensibile, non è più appagata dalla semplice frequenza ai sacramenti. Anche se non sempre questo lavoro è finalizzato a ridare autonomia ai singoli soggetti emarginati, ma piuttosto solo a rimediare alle loro condizioni materiali, in ottica ancora quindi del tutto caritativa, il fatto che la comunità cristiana senta sempre più la necessità di compiere un'azione di testimonianza concreta è già un sintomo di cambiamento di per sé, anche se questa situazione continua a convivere con realtà tradizionali, chiuse in se stesse".
Riconosco, in questa conclusione, la realtà e la modalità di vita e di inserimento nella Chiesa che attualmente viviamo anche qui alla Chiesetta del Porto. Non siamo certo "oltre". E può essere davvero che ci siamo cristallizzati in una dimensione di vita che, tutto sommato, ci gratifica assai. Ma, se la lingua batte dove il dente duole, credo di avvertire con sofferenza, angoscia e trepidazione che la radice di quella vocazione che mi ha spinto nel solco dei preti operai, anche se il tronco è stato decisamente tagliato, spinge la vecchia corteccia a buttar fuori gemme di nuove storie. Parlo di sofferenza e di angoscia perché nessuno meglio di Beppe conosce le mie periodiche esplosioni irte di interrogativi arroccati sul senso del mio (e nostro) essere prete.
Riconosco questa mia natura tanto simile a quella del rovo che, appena ha un po' di spazio, si evolve in impenetrabili sterpaie, ma c'è anche tanta trepidazione dentro di me. Avverto il senso di una vita aggrappata alla continuità di un lavoro (a questo punto il lavoro che riesco a trovare, ed è già tanto quello che attualmente mi dà la busta paga a fine mese), e, come scrivevo tempo addietro in una "lettera ai parrocchiani", questo essere diviso tra il lavoro e una responsabilità parrocchiale lo vivo come indicazione di una frattura di gran lunga più ampia e diffusa tra la fede e la vita. Una divisione che nella Chiesa continua ad esistere tra clero e laicato, tra una sacralità separante e una laicità inginocchiata. Scriveva Sirio, negli ultimi mesi della sua vita, raccontando la sua storia e la sua utopia: "Perché è qui il mio racconto: io ho creduto, umilmente e ingenuamente, che il gran problema del rapporto fra il clero e il laicato potesse essere affrontato e in parte risolto, attraverso un cambiamento radicale del clero" ("Un'utopia per la Chiesa" in LCA nA dicembre 1987). Ecco una lotta da continuare. Dice ancora Fulvia Raffaelli verso la fine della sua tesi: "Negli ultimi anni sono stati infatti pochissimi i preti entrati al lavoro..., (ma) nonostante la crisi e lo smarrimento i preti operai non si tirano però indietro e, riaffermando la loro fedeltà alla scelta fatta, cercano di trovarvi contenuti positivi per il proseguimento del loro cammino di fede... Le spoliazioni non sono ancora finite - si legge nella relazione del Triveneto al convegno di Sassone - ...Mai come ora siamo stati costretti a diventare poveri. In realtà non sono molti i preti operai che hanno rinunciato al lavoro per tornare in parrocchia, sono però molti quelli che hanno accettato di ricoprire entrambi i ruoli: operai per otto ore e sacerdoti in parrocchia per il resto della giornata." (pag. 204).
Ecco, io credo che sia giunto il tempo in cui affrontare un nuovo esodo. Esserci dentro, dentro la condizione di vita di chi è in cammino nella vita perché ad ogni giorno basta la sua pena. Ma uscir fuori, essere fuori dalla condizione di un sacerdozio in parrocchia (o in fabbrica che sia) che non mette in discussione alla radice la sua separatezza. Ed una via per farlo è anche quella di lavorare perché la figura del prete non sia più simile ad una chiave inglese che si adatta alle diverse misure della evangelizzazione, della catechesi ecc. Può essere che questo significhi - anche realmente - uscir fuori di nuovo dalle dirette responsabilità parrocchiali.
O comunque da ogni ruolo in cui l'essere un prete significhi di fatto assumere una posizione direttiva nei confronti degli altri. Quando parlando viene fuori che Beppe ed io siamo parroci, spesso si dice che "abbiamo la responsabilità" di due parrocchie. E per responsabilità si finisce per intendere la gestione. Manageriale, sacramentale, spirituale che sia, si tratta sempre di una responsabilità nell'amministrare un potere. La decisionalità del parroco è attesa, sollecitata, oppure sfidata in mille modi e forme. Non viene invece praticamente mai interessata la responsabilità collegata ad un autentico servizio all'unità della comunità e al senso di un cammino. La diversità delle coscienze, dei doni, dei percorsi di ricerca e di impegno, nelle parrocchie, è quasi sempre vissuta male. La si tollera solo se serve a dimostrare la capacità del parroco nel tirare le fila e ad affermare l'autorità e le ragioni della sua separatezza sacrale. Altrimenti è ostacolo da evitare o da abbattere, quasi mai stimolo per un confronto.
E senza un confronto non c'è servizio, né strada alcuna verso una vera unità: la comunione diventa omologazione, uniformità. L'immagine speculare della Assenza. E perciò un prete non può essere "al di sopra" o "fuori" dalle parti, ma neppure "dentro" in quanto prete che fa la parte del prete. Dev'esserci dentro, con tutta la sua umanità accanto all'umanità degli altri, per segnare la Presenza che dà senso alla vita del mondo. Il sacerdozio, come ogni sacramento, è un dono della comunità per la comunità. Della comunità esistente per la comunità che viene continuamente generata. Ed è in questo clima di dono e di servizio che la separatezza del prete perde ogni ragione di esistere, mostra tutta la sua assurda inconsistenza ed insieme le ragioni del potere religioso che lo vogliono diverso.

Luigi

Sudan: un paese dimenticato

Cari fratelli e sorelle,
sono contento di passare alcuni giorni tra di voi e condividere con voi l'agonia e la tragedia del popolo del Sudan in genere e in modo particolare del gruppo etnico africano, dei cristiani e di tutti coloro che vivono la loro fede tradizionale. Lo scopo principale della mia visita a Cincinnati è compreso nella cornice della mia missione itinerante per creare consapevolezza delle sofferenze del popolo e della chiesa in Sudan che sono alla mercé di una dittatura militare di fondamentalisti islamici. E'noto a tutti come l'Africa sia assalita dalla siccità, dalla fame e dalle epidemie. In molti casi questi mali hanno le loro radici nei conflitti interni, nell'oppressione e nella persecuzione per motivi razziali, tribali o religiosi.
La violazione dei diritti umani è la causa primaria di questi mali. Avete certamente sentito parlare di Somalia, Mozambico ed Angola. State seguendo ancora sui giornali, ascoltando la radio e guardando la TV cosa sta accadendo in Bosnia e Rwanda. Fino a poco tempo fa anche il Sudafrica era quasi giornalmente in testa alle notizie. Il Sudan al contrario, un paese di terrore, assassinio, genocidio, pulizia etnica, tortura, arresti di massa, esecuzioni sommarie e persecuzioni religiose con centinaia di migliaia di martiri destinati a rimanere ignoti, è totalmente e assolutamente dimenticato e abbandonato a se stesso.
L'attuale dittatura fondamentalista islamica è un regime - non un governo! - che ha preso il potere con la forza delle armi e si è autoproclamato governo legale, voluto e rispettato dal popolo sudanese. Al contrario è un regime spietato che ha per sistema di governo il terrore così violando i diritti umani fondamentali del popolo, uccidendo e costringendo i vivi ad una disperata povertà come esuli nel loro proprio paese o come rifugiati malvoluti ed umiliati nei paesi vicini o nel mondo occidentale. E' un regime che sta affamando il suo popolo per costringere i non musulmani e i non arabi a divenire musulmani, abbandonando la loro fede cristiana o le loro credenze tradizionali, le loro lingua africane, le tradizioni, i costumi.
L'attuale regime fondamentalista ha ignorato la carta dei diritti umani e, ancor peggio, usa le missioni diplomatiche all' estero per distorcere la verità e mentire senza vergogna alla comunità internazionale. Ha perfino distorto lo scopo del Papa nella sua visita in Sudan, proclamando il fatto che la visita papale era indicativa della tolleranza religiosa in Sudan e della coesistenza pacifica tra Arabi e Africani.
La rivista Time e anch'io personalmente, come molti altri, abbiamo testimoniato l'esistenza della schiavitù in Sudano Ho perfino presentato specifici casi davanti alla Commissione per i diritti umani dell'ONU a Ginevra. Ho citato i nomi di fanciulli ridotti in schiavitù. Ma un membro della delegazione del regime in modo arrogante replicò che la mia accusa era generica e si richiedevano nomi e luoghi. Nel febbraio del 1994, davanti alla stessa Commissione a Ginevra, ho citato non solo i nomi di fanciulli resi schiavi, ma anche quelli dei loro "padroni" insieme a luoghi e date.

Una bambina, Hanna Akwal, di otto anni, è stata portata a El Obeid per essere venduta. Un parente la vide e andò immediatamente dalla polizia.
Il proprietario della bambina cercò di congelare il caso dichiarando in tribunale che le forze di difesa popolare (la milizia islamica) fanno parte della Dawa Islamica che è la Chiamata all'lslam e alla Jihad (la Guerra Santa). In tal modo la bambina è legalmente di sua proprietà come bottino della guerra santa. Un altro caso interessante è quello di Nuba, un ragazzo che fuggì al suo padrone e si rifugiò presso la sua tribù sempre a El Obeid. Nuba insieme ad altri 19 ragazzi erano stati posti in stato di schiavitù a Debebad da Mohammed Saleh, un ufficiale della Forza di Difesa Popolare. Un'inchiesta ulteriore rivelò che i ragazzi erano stati catturati nel Kordofan del Sud da Mohammed Gunaid, un alto ufficiale della stessa milizia. Egli aveva affidato i ragazzi a Mohammed Saleh perché li vendesse in quanto era stato chiarnato a far parte del Comitato della Rivoluzione e del Comitato dei Quaranta che elabora tutte le iniziative politiche di Khartoum.
I casi di schiavitù sono frequenti e la lista si allunga, ma ho voluto ricordarne due perchè possiate convincervi che la schiavitù non è un'usanza barbarica, incivile e disumana dei secoli scorsi.
E' un'amara realtà attualmente praticata in Sudan e incoraggiata dal regime fondamentalista islamico.
In Sudan, quando la Chiesa interviene per difendere i diritti umani, viene immediatamente accusata di interferire con la politica e di avversare il regime di Khartoum. Dovrebbe essere chiaro che la difesa dei diritti umani è parte integrante della missione della Chiesa nel mondo. Così la Chiesa non può tacere quando i diritti che vengono da Dio sono violati e calpestati. Questi diritti prevalgono su ogni divisione di razza, tribù, colore della pelle, credo religioso o sesso. La Chiesa sarà sempre la voce dei senza voce e la voce di tutti quelli la cui coscienza è sepolta da interessi politici o economici o dal fanatismo religioso.
La Chiesa viene continuamente accusata di essere la quinta colonna dei colonialisti ed è anche descritta come un gruppo di crociati infedeli. Questa espressione denigratoria fu usata anche in mia presenza dal vicecapo dell'esercito in presenza di Omar L. Bashir, capo della giunta militare dei fondamentalisti islamici. Egli aggiunse anche che tali crociati infedeli sono nemici del Sudan e dell'Islam.
Questo non è un incidente isolato; al contrario è pratica quotidiana quella di usare i media e promuovere pubbliche manifestazioni per insultare e avvilire i cristiani e la cristianità...
Ecco alcuni esempi: l'anno scorso le forze di sicurezza hanno arrestato e fustigato pubblicamente il vescovo episcopaliano Boutos Elberish accusandolo di aver commesso adulterio. Questo fu fatto con lo scopo di denigrare l'autorità della chiesa e incutere paura. Ora nella legge islamica nessuno può esser condannato per adulterio a meno che tre testimoni non lo abbiano sorpreso nel compiere l'atto. Ma nel caso del vescovo non sono mai apparsi i tre testimoni.
Un tecnico italiano è stato arrestato a Khartoum mentre si trovava in un caffé in compagnia di due donne etiopi. L'arresto avvenne mentre stavano bevendo Pepsi Cola. L'uomo fu accusato e punito con quaranta frustate per tentato adulterio.
Un antropologo francese di nome Hugo D'Aybaury ha visitato le montagne della Nubia e ha realizzato un documentario che mostra le chiese di Dellami, Haiban, Gorban, Umdurain e Buram bruciate e preti e catechisti torturati e uccisi. Nel film si vede il parroco Kamal Tutu di 40 anni, che fu preso dai soldati e tenuto per ore sotto un sole implacabile. Poi fu gettato sulle rovine ardenti della chiesa. Ebbe le braccia bruciate fino ai gomiti ed i piedi distrutti.
Il catechista cattolico Younan Kwa e suo padre furono trucidati dalle Forze di Difesa Popolare. Il pastore Fadul fu crocifisso in un villaggio chiamato El Nugra. Ibrahim El Shayib fu crocifisso e gli furono tagliate le orecchie. E' ancora in vita in un villaggio chiamato Umdulu.
Ho citato solo pochi casi, ma posso documentare centinaia di casi di sofferenza, umiliazione e violazioni dei diritti umani contro persone di chiesa e di tutto il mio popolo.

Vescovo Macram Max Gassis


Una voce nel deserto

(continua dal numero precedente)
Uomini di Chiesa,
è una sollecitazione che vi giunge
dalla profezia delle donne:
umiliate il capo davanti a Dio,
coniugate la mente razionale
con la mente sapienziale.
Il sacro deposito della Tradizione
non può essere di ostacolo
alla Vita che avanza
verso l'Unità,
verso il Mistero.
L'istituzione che ben conosce
il suo ruolo di mediazione
non assuma per paura
il ruolo di pietra d'inciampo, per il popolo in cammino.

Ogni parola di vita
della Scrittura è viva
e dietro al senso ovvio
della sua azione sacramentale,
apre gli occhi del cuore eterno
alla profondità senza fine
della sua verità
e si mostra in divina coordinazione
con altre verità
a cui è congiunta in un'armonia
che sale e si congiunge
all'unità del Verbo
da cui le parole sono scese
come sua articolazione.

Solo la mente eterna del cuore
è idonea a conoscere il dono
che Dio ci ha fatto in Cristo.
Solo il "cuore nuovo" dei tempi messianici
può introdurre la "figlia di Sion"
a scoprire quanto esso si estenda
in altezza, e larghezza, e profondità
aldilà dell'ottica periferica
con cui la piatta razionalità
indaga sui fatti e le parole di Cristo.

Finché l'emblema della ragione
continuerà ad anteporsi orgogliosamente
sull'emblema della mente eterna
che bussa nel cuore,
la conoscenza del dono di Dio
si manterrà ridotta e profanata
nei termini e nei concetti
di menti pagane.
La profezia femminile è richiamo al cuore,
alla creatura divina,
alla mente eterna.

Con la prevalenza pratica
del prestigio della ragione
sull'unità dell'immagine personale,
il concetto dell'Uno-Trinità
soffre d'una basilare carenza:
non colloca l'Amore
nella posizione che le conviene
tra il Padre e il Figlio.

Il ricorso alla mente eterna del cuore
richiamerà la mente razionale
a rompere la circolarità storica
dei segni: sacramenti e sacramentali,
per scendere nelle luminose profondità
che essi racchiudono.

I segni di Dio, sparsi nella creazione
sono le impronte della sua presenza.
I sacramenti amministrati dalla Chiesa
sono le vie regali della grazia di Cristo.
Se tuttavia i segni e i sacramenti
divengono il vertice della relazione
dell'Uomo con Dio
da mezzi di comunione
ne divengono ostacoli.

Il profetismo femminile stimola
nella Chiesa l'approccio al Mistero
di cui oggi si vede l'inizio
ma non si vedrà il compimento:
esso quanto più si manifesta,
tanto più appare grande;
quanto più si fa unità
tanto maggiormente si rivela
composita armonia di infinite articolazioni.
Attraverso l'emblema personificato
nella persona della donna,
il Mistero urge nel cuore:
nel cuore di ogni fedele,
nel cuore ecclesiale,

nel cuore Trinitario,
perché l'uomo introduca
nei principi e nella pratica,
nella teologia e nella Chiesa
una più approfondita conoscenza
della Persona-Amore
che nel linguaggio teologico
viene relegata al terzo posto quale prodotto
tra Padre e Figlio,
quasi un'aggiunta successiva
tra i due Poli.

"Molte cose ho ancora da dirvi,
ma per il momento non siete capaci
di portarne il peso" dice Gesù.

Per inoltrarci in quelle "cose" che vuol dirci
- e le cose che il Maestro vuole rivelarci
sono senza fine -
egli invia oggi le donne affinché nella continuità
si compia un passo decisivo
nella Novità.
Anche oggi egli non viene
per abolire, ma per completare,
e ad ammonire:
"Uomini di Galilea,
scoprite il principio unificante
della "donna" in tutta la sua
articolata presenza nel piano divino.

Accogliete la donna incarnata,
la figura storica che è accanto a voi
come sorella tra fratelli,
creta da Dio come realtà sociale,
principio di comunione vitale
tra padre e figlio.

Rivalutate la "donna" che è in voi
il principio religioso del cuore
che richiama la ragione
ad occuparsi della "figlia" umano-divina
personale, creata a somiglianza
da mandare "sposa" al Verbo.

Penetrate con la mente eterna del cuore
nel Mistero unitario e scoprite
nell' Amore
la madre Trinitaria
la Misericordiosa,
il seno del Padre
da cui è venuto Cristo.
Il seno di Dio
è il grembo della Madre,
è la Madre stessa.
In rapporto al Figlio,
che vive incarnato nell'umanità-Figlia,
la Madre è spirito,
è Amore dalle infinite irradiazioni.
Tutto sovrasta, tutto penetra,
comunicando la vita,
armonizzando la relazione
tra il Creatore e la Creatura.
Nell'inscindibile unità dell'unica Persona
che si manifesta comunione di Tre,
come base tripolare perfetta
di infinite articolazioni
create e creatrici,
il cuore del Figlio
è Dio-Madre;
il seno del Padre
è Dio Madre.

Figli d'Israele,
aprite il cuore della Chiesa.
Questo mistico atto chirurgico
conduce l'uomo e la donna
ad una nuova coscienza
della personale immagine
della Persona divina;
della personale struttura a immagine
della Trinità.
Il divino-umano intervento
metterà in luce la coscienza
della personale opera
temporale ed eterna
che riflette l'immagine
dell'opera del Creatore,
del Redentore,
della Deificante.
Esso darà nuovo impulso alla personale
gestazione umano-divina della "figlia"
la nuova creatura del cuore
da far crescere

per consegnarla "con-sorte"
del Figlio,
dove l'immagine personale e collettiva
avanzerà di somiglianza in somiglianza
col Figlio
verso una Conoscenza ed un Amore
senza fine.

Nella voce delle figlie di Sion
cogliete il richiamo
ad accogliere la figura femminile
di tutto il disegno divino:
la femminilità personale,
ecclesiale, escatologica, divina.

Misconoscendo la portata operativa
del sentimento
frenate il passo al cammino della Verità,
fate oltraggio alla
"figura" femminile dell' Amore,
private la madre del culto che le è dovuto.

La famiglia ecclesiale umano-divina
rispecchierà la famiglia umana
creata a immagine della famiglia divina
che vive nel cuore di tutti gli esseri,
immagine che vivrà eterna
nell'unità della ragione, del sentimento
e del principio umano-divino
che costituisce l'essere umano.

E come in relazione a Dio
che è Padre - Madre,
il Figlio è Dio - Uomo;
così in relazione alla Creatura
che è mente e cuore
la "Figlia" è Uomo e Dio.
Nel seno di Dio
che è Padre e Madre,
il Figlio ha introdotto la Figlia.
Le donne in seno alla Chiesa
mostreranno l'emblema della famiglia divina
e in piena conformità con la loro natura
comporranno l'armonia invisibile
della mente e del cuore;
introdurranno il segno

della Vita
calata dal Verbo
in grembo all'umanità collettiva,
all'umanità ecclesiale,
all'umanità personale.
Con la loro presenza
e la loro opera responsabile
in tutto l'ambito della vita ecclesiale
consegneranno alla salda razionalità
dei fratelli
i frutti dell'intuizione eterna
delle sorelle.
E alla struttura discorsiva
del pensiero razionale
porteranno il contributo episodico
degli interventi divini.
I saggi di un' esperienza eterna
si presentano alla mente eterna
la sola capace di accoglierli.
Mente che opera in assoluto
nel luogo umano-divino del cuore.
L'intervento divino si colloca
per venire elaborato e incarnato
dalla ragione umana.
(Continua)


Semi di resistenza

CAMPAGNA "50 ANNI SONO TROPPI!":
1. Apertura e piena trasparenza delle Istituzioni di Bretton Woods nella sistematica integrazione di donne e uomini che ne sono oggetto, nella formulazione, attuazione, monitoraggio e valutazione dei progetti e delle politiche della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale.
2. Ridefinizione delle azioni della Banca Mondiale e del FMI per promuovere uno sviluppo più giusto basato sulle prospettive, le analisi, le priorità di donne e uomini che sono coinvolti in queste politiche.
3. Stop ai prestiti per progetti che comportano danni ambientali e sostegno allo sviluppo sostenibile e attento alle risorse.
4. Diminuzione del ruolo e quindi del potere della Banca Mondiale e del FMI redistribuendo le risorse finanziarie in un vasto arco di possibilità alternative di sviluppo.
5. Riduzione del debito multilaterale per liberare capitali spendibili per uno sviluppo sotenibile.
La Campagna è promossa da "Africa Faith & Justice Network" P.O.Box 29378 Washington, DC 20017, in collaborazione con altri organismi internazionali.
In Italia i riferimenti sono, per ora, Laura Radiconcini di Amici della Terra-Italia e Gianni Squittieri di Greenpeace Italy.

ESSERE CHIESA IN ASIA: CAMMINARE NELLO SPIRITO VERSO LA VITA PIENA Documento finale del primo Colloquio teologico internazionale tenutosi a Pattaya (Thailandia) nell'aprile 1994, organizzato dalla Federazione delle Conferenze episcopali dell' Asia in vista della sesta assemblea generale che si terrà a Manila nel gennaio 1995. Al n.56 si legge:
"In quanto comunità di discepoli, la Chiesa cattolica lavorerà con le altre Chiese e confessioni cristiane e con altre persone di buona volontà, anche se di religione differente, per il coinvolgimento, sopra tutto attraverso i laici, in movimenti secolari per la promozione della vita. Per essere credibile nel campo dell'economia, non solo la Chiesa deve promuovere pubblicazioni di carattere economico che esaminino criticamente i modelli economici esistenti e le politiche governative, ma anche incoraggiare possibili alternative, oltre che adottare un modo di vita semplice. I rapporti dei leader ecclesiali devono essere orientati verso le persone piuttosto che verso gli uffici e le cariche. C'è un pressante bisogno di modificare l'immagine di ricchezza e potere, di autoritarismo all'interno della Chiesa, che è contraria all'immagine della Chiesa dei poveri e di Chiesa del dialogo." ASIANEWS agenzia quindicinale d'informazione del PIME (Istituto Missionario), via Mos Bianchi 94, 20149 Milano.

SIAL Servizio Informazione America Latina, via Bacilieri l/a, 37139 VERONA n.9-10, 15-31 luglio 1994
Speciale MINORI IN AMERICA LATINA, Indice:
L'infanzia come specchio della società - Bambini nella strada, bambini della strada
- Lo sfruttamento: dalle fazendas alle miniere - Bambini come pezzi di ricambio - Il mercato delle adozioni - Chiesa e pastorale dei minori - Diritti negati e auto-organizzazioni.
... "Le attività lavorative svolte dai minori lavoratori nella strada fanno parte delle strategie familiari di sopravvivenza. I minori dediti a strategie marginali (mendicità, furto, prostituzione) compiono tali attività come opzioni individuali di vita" ...

Premio letterario

BANDO E REGOLAMENTO ANNO 1994-1995
Per iniziativa del CRO-CIRCOLO RICREATIVO OPERAIO DARSENE di Viareggio viene indetto il PREMIO LETTERARIO DON SIRIO POLITI riservato ad un'opera inedita, saggistica o letteraria, che metta in luce un'esperienza, un personaggio, una comunità, una realtà associativa, un circolo, che abbiano dato un contributo significativo alla lotta come amore, per la pace, i diritti umani, la costruzione di forme più solidali di vita.
Le opere dovranno pervenire alla Segreteria del premio (Chiesetta del Porto, Lungo Canale Est n.37 - 55049 Viareggio), in almeno 7 copie, entro e non oltre le ore 12 del giorno 15 SETTEMBRE 1995.
I lavori di cui sopra dovranno essere firmati con uno pseudonimo ed accompagnati da una busta chiusa, con sovrascritto lo pseudonimo prescelto, contenente il nome, cognome e indirizzo dell'autore.
Il premio di LIRE 4.000.000 (4 milioni), a giudizio insindacabile della Giuria, verrà assegnato all'opera prima classificata.
Un premio speciale, consistente in una TARGA ARTISTICA, sarà attribuito ad un'opera edita o ad una personalità che abbiano dato un contributo particolarmente significativo in ordine alle finalità ed allo spirito del premio.
I dattiloscritti non verranno restituiti e rimarranno di proprietà del Premio, che sarà autorizzato ad una loro eventuale pubblicazione ed a farne l'uso più opportuno per i fini che il Premio stesso si prefigge.
La consegna dei premi avverrà il 30 OTTOBRE 1995, nel corso di una cerimonia pubblica, secondo il programma stabilito dalla Segreteria, che sarà reso noto in tempo utile.
Viareggio, Giugno 1994

Il Presidente
CRO-DARSENE DI VIAREGGIO
Adriano Mazzoni

Per informazioni:
Segreteria Premio Letterario don Sirio Politi
Chiesetta del Porto, Lungo Canale Est n.37 - 55049 Viareggio. Tel. 0584/46455 - 0584/49844 (ore ufficio) - Fax 0584/384077

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