LOTTA COME AMORE: LcA febbraio 1976

Dialogo nella Chiesa

Il convegno del preti operai a Serramazzoni con l'intervento di mons. Pagani, ha rappresentato un momento in cui il dialogo all'interno della Chiesa è stato messo alla prova. Si sono avuti risentimenti in diverse diocesi ma da quel che ci è dato di sapere ha vinto ancora una volta l'irrigidirsi delle gerarchie e dei responsabili pastorali di fronte a qualsiasi offerta di esperienze appena fuori dalle righe di una piatta uniformità alle direttive episcopali.
E' vero che i preti operai hanno risposto negativamente alla proposta di un «rapporto organico» avanzato da mons. Pagani, ma per sottolineare l'importanza di un dialogo concreto, alla base, nelle singole diocesi, secondo condizioni così diverse da non poter esser ricondotte ad unità se non attraverso operazioni di livellamento semplicemente inaccettabili.
Quando si assiste a prese di posizione di vescovi così diverse fino ad essere semplicemente opposte per quanto riguarda la sopravvivenza dei preti operai nelle loro diocesi, quando in una diocesi il prete che vuoi lavorare è incoraggiato dal proprio vescovo o nella diocesi confinante lo stesso prete rischierebbe la sospensione solo manifestando l'intenzione di entrare in fabbrica, quale rapporto organico è possibile stabilire e su quali basi?
Quando nelle diocesi i vescovi cercano di dividerci e di metterci gli uni contro gli altri (là dove i vescovi parlano con i preti operai) proponendo rapporti con i preti più vicini all'istituzione (per es. con quelli che lavorano) e cercando di affibbiare etichette di «buoni» e «cattivi», quale fiducia possono ispirare questi tentativi della gerarchia?
Nella nostra diocesi, per esempio, sta avvenendo questo, sembra difficile se non impossibile qualsiasi dialogo che sia realmente impostato su problemi veri accogliendo le esperienze diverse che provengono da una diecina di preti al lavoro.
Per fare un piccolo esempio; nell'ambito dell'inchiesta socio-religiosa voluta dal nostro vescovo e diretta da responsabili curiali, la campionatura dei preti diocesani ha visto l'assenza di un rappresentante dei preti al lavoro. Dimenticanza oppure chiara indicazione di una volontà di escludere dal contesto diocesano l'esperienza dei preti al lavoro relegandola (ed è perenne furbizia episcopale e clericale) nel ruolo delle «voglie» personali come il giocare a scacchi, l'andare a caccia o il dipinger quadri?
Anche se può sembrare assurdo, continua a perseguitarci l'accusa di assolutizzare l'esperienza del lavoro nella vita del prete, ma il considerare il lavoro come un qualcosa di accessorio che può fare chi ha poco lavoro pastorale o chi sfugge a compiti pastorali più pesanti è veramente uno schiaffo morale, è la dimostrazione della volontà di non capire. E questo pensano e ci dicono i nostri vescovi e continuano furbescamente «a non capire».
Non saranno queste furbizie a piegarci la schiena ma ci angoscia il fatto che andranno a pensare ancora di più sulla coscienza operaia già cosi tanto disorientata, sul popolo che lavora che sarà ancora come sempre l'oggetto di una catechizzazione insipida e alienante.
Possiamo e dobbiamo vivere la nostra solitudine nella Chiesa, ma ciò che rischia di schiacciare la nostra speranza è il rifiuto della Chiesa nel suoi rappresentanti ad ogni dialogo autentico con il mondo operaio.
Se solo si accettasse di discutere questo problema nella Chiesa, accetteremmo allora di scomparire.

La Redazione

Questi preti operai

Non mi è molto facile mettermi a scrivere sul convegno dell'Epifania dei preti operai, a Serramazzoni. E per diversi motivi che possono anche sembrare contrastanti, ma in realtà non lo sono, tenendo presenti alcune considerazioni.
Vi sono valori a volte così personali, così raccolti nel profondo dell'anima, quasi bisognosi di essere custoditi gelosamente.
Vederseli tirare in pubblico e quasi sempre strapazzati o annebbiati, per non dire letteralmente intorbiditi, viene istintivamente da ripiegarseli e nasconderli nel cuore per ritrovarseli intatti, chiarissimi, adorabili.
Parlarne e discuterne con gli amici è tutta un'altra cosa.
Possono svelare enormi motivi di contrasto e rischiare anche scontri tremendi, ma c'è sempre una passione di fondo a darci di ritrovarci, una sofferenza, una fatica comune, meravigliosa terra d'incontro, c'è un sognare dolcissimo sempre capace di incantare e di commuovere, che sempre riprende e risana ogni difficoltà, raddolcisce le respinte e ottiene immense possibilità di comprensione fino alle misure della solidarietà.
Quando però t'accorgi che non è la tua storia che viene distorta, mal vista e respinta (che di questa vicenda poco importa per una chiara consapevolezza che niente ha di eccezionale e quindi di assolutizzato, ma è sempre storia tutta da rifare, da rinnovare e da inventare) ma è l'anima tua fatta a pezzi, è il tuo cuore ad essere sbriciolato, allora non può non venire su un ribellarsi e cioè un chiudersi in un semplice e profondo dolore.
Si può discutere di tutto e tutto può avere aspetti non giusti, addirittura negativi, senza dubbio anche sbagliati, ma non si possono fare i processi alle intenzioni quando sono ideali che si confondono con la propria ragion d'essere e sono sempre stati pagati di persona, puntualmente, a lacrime e sangue, per un giocarvi dentro totalmente la propria vita.
E per me (e per i miei compagni preti operai nella loro stragrande maggioranza) non si tratta della vita, logorata e consumata in totale povertà di valori, in precisi annullamenti di considerazioni personali, in uno scomparire là dove si perde ogni qualificazione per un livellamento a condizioni di vita fatte di lavoro materiale organizzato a sfruttamento e quindi oppresso dalle impietose e disumane leggi della ragione economica, della produzione e del profitto. non si tratta solo di una vita impegnata e buttata via come quella gettata dentro il fuoco lento della vita operaia, ma si tratta di ben altro.
E' problema di Dio raccolto nella propria vita e urgente ad esprimersi e donarsi come presenza incontenibile.
E' valore d'esistenza umana (e la classe operaia è il soggetto e cioè l'assunzione di tutta la problematica umana in un risveglio di liberazione, in una lotta di determinazione e di costruzione di tutta I'esistenza) e questo valore, questa realtà è assimilata a se stessa, diventata tutt'uno col proprio destino non è possibile non ascoltarne la richiesta e il suo reclamare partecipazione non può non essere che a misure di totalità.
Si tratta di Fede e di Amore diventate carne viva e palpitante.
E se Fede e Amore hanno ancora un senso e un valore e meritano rispetto, è estremamente penoso impossibile a sopportarsi senza lasciarsi sopraffare dallo sgomento, che tutto sia visto e giudicato con grettezze impressionanti di criterio, con durezza di cuore, nel buio più totale di una visione cristiana della storia.
Allora viene da concludere che è proprio impossibile capirsi, è veramente illusione la speranza di poter essere accolti. E non per premiazioni e congratulazioni, ma per un semplice sentirsi «dentro» come gli altri, come tutti; la porta aperta (se non proprio il cuore) e una parola di benvenuto, fratello prendi anche tu il tuo posto; ma non, per favore, mettiti a sgabello dei nostri piedi: perché questo non è accogliere, è strumentalizzare. Perché non sia respinta e lasciata fuori di casa un pezzo d'umanità, una fiumana di dolore, una forza terribile a cercare giustizia, libertà, uguaglianza.
Non respingi me, anche se anch'io ho un po' di diritto a sedermi alla tavola del Padre, non sono figlio suo e suo sacerdote? ma guarda che respingi milioni di anime e un problema umano che forse più di tutti, ma almeno come tutti, ha bisogno di redenzione e di salvezza.
Non è quell'orrore di cui hai paura questa povera gente, non è affatto quel pericolo che temi così scompostamente, sembra quasi a timor panico: in fondo, a guardar bene con occhio puro, non chiede che un po' di Amore.
Certo, è vero, non si adatta e non si rassegna più a delle parole, né parlate né scritte. Se ne ride ormai di gesti, sia pure sacramentali, perché li ha scoperti un miserabile trucco ormai, per la sua rassegnazione e la sua pazienza e non ci crede più perché non se ne fida più; è troppo vuota quella pastorale di quel prezzo d'incarnazione assolutamente indispensabile per renderla vera, cioè Amore concreto, reale storico.
Perché non si tratta più di ideologie. E' verissimo: e chi ne ha più voglia d'ideologie? E chi ci pensa alle ideologie al di dentro dei cancelli delle fabbriche, alle catene d montaggio... I tredici morti al giorno e i milioni d'infortuni, le centinaia di migliaia di mutilati del lavoro, le decine d migliaia di silicotici all'anno, i minori di Napoli (tanto per dire una città) a mille lire al giorno, mangiati dalla polinevrite ecc. ecc. ecc. - si muore più che in guerra: titolo del giornale cattolico, tanto per mettere nelle sue pagine sospirose e diluite al latte, un po' di sensibilità operaia.. che se ne fa questa classe operaia delle ideologie? Un pezzo di pane assicurato, una casa che non sia una baracca, un lavoro degno di un essere umano, una scuola che sia veramente una scuola per i propri figli, un ospedale che non sia un mattatoio, una forza organizzata e unitaria capace di rinnovare la storia è questo il sogno rivoluzionario in cerca di concretezze storiche.
Pensarlo come ideologia e giudicarlo con criteri teologici è semplicemente assurdo, terribilmente tentativo alienante, offesa all'oppressore, allo sfruttamento della classe operaia, specialmente nelle sue condizioni più povere e depresse.
E' di dove può scaturire la speranza, è là che converge la ricerca di chi ha fame e sete di giustizia.
Allora non si tratta più di ideologie atee. materialistiche: è soltanto uno spuntare un po' di luce dal crinale chiuso a buio totale della storia per un giorno più luminoso di umanità diversa.
Che la Fede cristiana non sia apparsa più (ma da quanti secoli?) Speranza a fermentare l'incessante conversione della storia al progetto di Dio rivelatosi in Gesù Cristo e acceso nel mondo dallo Spirito Santo, non è responsabilità del popolo, del popolo cristiano, sempre credente e obbe-diente, del popolo sfruttato e sempre oppresso, del popolo a pagare eternamente i privilegi del potere anche religioso e della Chiesa.
Finché non si parlerà con chiarezza di queste responsabilità di vuoto di Speranza nel cuore dei Poveri e nella loro storia colmata di lacrime e di sangue per un po' di giustizia sarà molto più facile puntare il dito contro le ideologie e tentare ancora, come sempre, un uso della Fede non ad ac-crescere la Speranza ma a comprimerla fino a spengerla.
Come se l'umanità possa andare avanti senza prospettarsi un domani, anche se il suo realizzarsi sarà sempre un lottare senza pace.
Sono nato al mondo perché la mia vita abbia Dio e l'umanità come destino. E ho accettato (e la proposta è di Dio, di Cristo e la richiesta appassionata mi è venuta su dalla storia dell'umanità) ho accettato di essere prete per essere carne e sangue e anima, respiro, speranza, Fede, Amore davanti a Dio e nel cuore dell'uomo.
Ho incontrato l'uomo operaio e la sua umanità classe operaia scoprendovi la terra per il mio piccolo chicco di grano.
Perché me ne rimproveri e mi condanni? Perché mi respingi, come se fossi inquinato d'eresia? Come se il mio sacerdozio si sia evaporato e la mia Fede sopraffatta e come vinta?
Svanito e diluito da chi e da che cosa il mio essere prete? Chi ha sopraffatto e vinto la mia Fede disorientandomi a speranze terrene, a ideologie materialistiche?...
E' tutto un equivoco stupidissimo e disonesto. E' volontà di spengere il sole e intorbidare il cielo azzurro. Intristire un'ideale imparato e scoperto nel cuore di Dio. Chiudere il libro del Vangelo, l'unico libro che non sarà mai chiuso fino alla fine del mondo. Troncare una storia che è vicenda incessante, di ogni giorno e di tutta l'eternità.
Perché mi accusi di peccato, questa maledetta parola, l'opposto di Dio, la negazione di Dio? Nella classe operaia non ho imparato l'odio, nessuno me l'ha mai insegnato e non ho trovato mai realtà di odio, nemmeno quando il piede era sul collo a pretendere anche l'ultimo fiato: nella vita operaia non esiste l'odio, anche se vi è estremo bisogno di Amore, di solidarietà, di unità.
A meno che cercare dignità umana, organizzarsi per essere una forza, farsi una coscienza chiara dei propri diritti, assumere un ruolo rivoluzionario che trasformi la disumanità regnante nel mondo in rapporti di uguaglianza, di libertà, di giustizia, a meno che il sognare - perché spesso nonostante tutte le conquiste non continua ad essere che un sognare un mondo diverso, nuovo -, sia giudicato odiare...
Peccato di sfiducia? Può anche essere se peccato è non avere più fiducia negli uomini di potere, in quelli che decidono del giorno c della notte, che intrallazzano tra loro giocando uomini e popoli a sapienza diplomatica e furbastra, rifacendosi a importanze risucchiate dal midollo della povera gente.
Si, è vero, mi sgomentano fino ad angosce terribili gli uomini del potere, chiunque siano, E di qualsiasi potere, quello politico, economico, militare, religioso. culturale, scientifico... e tutto quel maledettissimo clientelismo di cui il potere si circonda bisognoso come si ritrova per le orrende ragioni del potere, di circondarsi di schiavi, di servitù cieca, di umanità disumanizzata.
Mi accorgo sempre di più. a misura che svanisce il sognare per i risvegli improvvisi a cui costringe lo sbattere contro il muro della spietatezza umana, quanto il mondo in cui siamo costretti a vivere sia un mondaccio miserabile fino allo schifo.
Ma quando mi succede di dovermi arrendere nei confronti della visione adorabile della mia Chiesa, per l'inevitabilità di costatazioni di fronte alle quali è assurdo continuare a sognare, allora la sfiducia diventa dramma nel più profondo della mia anima fino a risentirne seriamente, anche nel mio fisico.
Perché nei confronti della Chiesa non è sfiducia, come tentativo di cancellarne la presenza, come uno smarrirne perfino la speranza. Non è mai stata e non sarà mai sfiducia la mia sofferenza nei confronti della Chiesa non ritrovata segno di Dio, continuità di Cristo, fuoco di Spirito Santo nel mondo.
Non è nemmeno sfiducia negli uomini che la rappresentano. o per dir così, la governano, Non ho sfiducia negli uomini perché ho e avrò sempre fiducia nell'uomo, creatura di Dio e conquista e possesso di Cristo, chiunque sia quest'uomo e qualsiasi vita conduca.
E tanto più quindi la mia fiducia è negli uomini investiti da Dio a servire la sua Chiesa e attraverso la sua Chiesa a servire l'umanità. .
Non puoi accusarmi di peccato di sfiducia soltanto perché quell'Amore così profondo mi costringe a lottare, a scontrarmi, a parlare con sincerità e libertà, a cercare liberazione e crescita, autenticità e fedeltà.
Perché questo tutti noi della Chiesa dobbiamo cercare, a costo di tutto, di realizzare nella vita di ognuno di noi e nel vivere del nostro insieme individualmente e come Chiesa.
Quello che credo e cerco per me di verità e di fedeltà al mio Dio e al mio Gesù Cristo, non posso non cercarlo e appassionatamente per la Chiesa tutta, gerarchia e popolo, sacerdozio e cristianità.
Non siamo divisi ma un corpo solo e un membro che cerca la sua sanità la cerca e l'ottiene inevitabilmente per tutto il corpo e insieme a tutto il corpo.
Non sono andato a fare il prete operaio per me. E non vado per le strade a lottare per motivi miei. E non sono tutt'uno con la classe operaia per rispondere a fedeltà mie davanti agli uomini e davanti a Dio. Ho una vocazione personale ma non nel senso che si risolve nel breve o largo giro della mia persona, ma unicamente per riversarla a compimento, per quanto dipende da me, nella immensa, misteriosa e adorabile vocazione della totalità della Chiesa.
Tutto questo è molto vero e sarebbe estremamente importante che tu ci credessi, anche perché non si tratta di un problema mio o dei preti operai ma è anche problema tuo di Papa, di Vescovo, di prete, di cristiano...
. Sembrerà molto strano, non credo però ai miei compagni del convegno, ma a Serramazzoni in quei giorni di dibattito acceso, appassionato, queste cose e molte altre ancora, mi hanno ripreso e profondamente commosso.
Così è l'anima mia e la mia coscienza di vecchio prete operaio.
Se ora tornassi a varcare il cancello del cantiere, sarebbe come in que1 giorno lontano: non è mutato niente nel profondo di me se non che .le acque del fiume hanno dilagato spazzando via anche i resti dell'argine, il fuoco sta bruciando tutto e divampa sempre più, il sole si alza sul crinale delle montagne e la luce si dilaterà fino a illuminare e riscaldare tutta la terra.

don Sirio

Cristo muore a Beirut

Ci sono dei fatti che mettono in crisi le nostre speranze; fatti amari e carichi d'angoscia da appesantice parecchio il cammino d'ogni giorno e da annebbiare se non la Fede spesso però la comprensione chiara di ciò che dovrebbe significare credere in Dio, amarlo Con tutto il cuore e di conseguenza amare tutte le creature.
Ci sono momenti in cui mi prende profonda vergogna di chiamarmi «cristiano», in cui sono in imbarazzo nel dichiararmi «discepolo di Cristo». E la vergogna non è davvero a causa del Suo Nome: non mi vergogno di Gesù Cristo, anzi sono infinitamente felice di aver conosciuto la sua Storia. il poterlo sentire compagno fedele lungo la strada, il crederlo vivo, risorto, liberatore dentro la storia universale.
M'i vergogno del mio nome di cristiano, della mia storia di Chiesa cristiana, di tutta una storia drammatica e spaventosa che ancora oggi si sta svolgendo per le strade e per le piazze. i paesi, i cuori degli uomini miei fratelli. La vergogna è a motivo di tutto un tradimento che sempre più si fa evidente del messaggio e della vita. di Gesù, del «Suo» cristianesimo - se così si può dire - e cioè della sua scelta assoluta di Dio-Padre, della misura del Suo Amore, dei modi concreti della sua esistenza storica, della sua lotta combattuta secondo la logica della croce.
A confronto di questo cristianesimo di Gesù tutta la complessa vicenda religiosa che nel Suo Nome continua a svolgersi nel cammino dell'umanità impallidisce e spesso diventa tragica bestemmia. Questa «frattura storica» fra il mio, il nostro cristianesimo e quello proclamato e vissuto da Gesù, è la ragione vera del mio disagio, dell'imbarazzo, del pudore che sta crescendo nell'anima mia e quindi della difficoltà a dichiarare di «essere di Cristo»: sento che qui si gioca una autenticità di vita, una serietà radicale di essere uomo vero e perciò figlio vero di Dio.
La mia dichiarazione di cristianesimo, di ricerca di fedeltà all'invito di Gesù a prendere la sua stessa strada, a compiere non la mia ma la volontà del Padre, a servire e non ad essere servito, ad amare tutti anche i nemici, a dare sempre e tutto, a morire senza mai uccidere: questa dichiarazione diventa sempre più come un fuoco ardente che. brucia l'anima, scava alla radice del mio essere fino a togliermi quasi la possibilità di pronunciare superficialmente la mia fede.
Non è che io non voglia essere cristiano: sono profondamente attirato da Cristo, credo con tutto il cuore che Lui è il figlio di Dio, il Salvatore, il Liberatore dell'umanità. Credo al suo Vangelo di Giustizia. di Fraternità e di Libertà. Sento che il mio mondo, lo spazio vero in cui mi riconosco pienamente come uomo e riconosco tutti - nessuno escluso - come fratelli, è in Lui. Ed è per Lui che ho deciso di impegnare la mia vita, il mio destino umano.
Ma la storia di tutti i giorni mi mette in contraddizione, mi pone in crisi, mi scava vuoti enormi nel cuore e mi riduce al silenzio. Un silenzio di Fede, di Amore e di tanta solitudine. In una realtà sociale, politica, religiosa in cui tutti si dichiarano tranquillamente cristiani come si fa a non sentire un imbarazzo. Un disagio? Industriali cristiani, generali cristiani, poliziotti cristiani, eserciti cristiani: ma di quale cristianesimo si tratta? Che cosa c'entra questo cristianesimo con quello di Cristo? Che rapporto c'è fra la storia concreta (non spiritualizzata) della comunità cristiana e la storia di Gesù, il suo impegno. fra gli uomini, il suo messaggio e soprattutto la sua vita? Fino a che punto si può dire che la Chiesa continua nella. storia (la prolunga, la rende attuale) l'opera di Salvezza, di Redenzione, di Liberazione del Figlio di Dio fatto uomo?
E' problema di cui altre volte abbiamo parlato, ma rimane problema fondamentale per capire la provocazione di Dio nella storia di oggi, nel tempo che ci è dato di vivere. Non c'è dubbio che il nostro tempo è sovraccarico di questa provocazione che dovrebbe spingerci ad una conversione incessante dal nostro cristianesimo (quasi di contrabbando) a quello vero che il Padre ci ha fatto conoscere nel Figlio suo.
Mi è bastata una pagina di giornale letta al termine di una normale giornata di lavoro a smuo-vere dentro l'anima questo senso di angosciosa vergogna per una storia di cristianesimo in cui sono inevitabilmente coinvolto, di cui non posso non sentirmi responsabile.
Ho pensato di trascriverne una parte perché mi è sembrata un tragico segno dei tempi: come un grido dello Spirito di Dio a lacerare il buio della notte in cui spesso ci muoviamo troppo tranquillamente. E' una semplice pagina di giornale; ma insieme una testimonianza tremenda della tragedia che ha sconvolto un intero popolo segnando nello stesso tempo la morte di migliaia di creature e la morte di un cristianesimo assurdo, di una religione vuota, di un dio di schiavitù e di morte anziché di libertà e di resurrezione.
«Roma, 27 gennaio.
Con la tregua e la riapertura dell'areoporto qualcuno riesce a filtrare dal Libano.
Con una sua storia, gli occhi colmi di cadaveri, incendi, violenze. Maria C. deve la sua vita al fatto di essere cristiana. Il suo quartiere, di palestinesi e musulmani, è stato cancellato nel giorno di Natale dalla mappa cittadina di Beirut. E così tutti gli abitanti di Quarantine, fino all'ultimo bambino. Uccisi dai falangisti, cioè dai maroniti che appartengono all'ala più estremista e fascista dei cristiani. Quarantine è un quartiere-ghetto con strade strettissime, case in disfacimento, molte fabbriche artigiane, molto sporco e pieno di odori disgustosi. "Oggi - dice Maria - l'odore è quello dei cadaveri". A Beirut lo conoscevano tutti come il quartiere di Maslakh, il peggiore della città...
Nelle battaglie di questi ultimi mesi, Maslakh .aveva dato molto fastidio ai falangisti... Così, probabilmente, sussurra Maria. decisero di passare all'azione.. «Cominciò con un bombardamento di mortai. Attaccarono dalla parte del porto». Maria era chiusa in casa da molti giorni... L'attacco andò avanti per tutta la mattina di Natale. I falangisti per penetrare nel quartiere usarono dei bulldozer. Decine di case di lamiere e di carta crollarono, il quartiere venne stretto in una morsa di fuoco... L'ordine era quello dì uccidere tutti i musulmani, ma di non toccare il resto della popolazione. A mezzogiorno i falangisti avevano in mano il quartiere. Due di loro, giovanissimi, entrarono sfondando la porta in casa di Maria. "Fuori - disse uno -- sei morta". Poi si misero a frugare nei cassetti; Maria per molti minuti non riuscì a parlare per il terrore... Poi quello che saccheggiava richiamò il compagno e la donna nell'interno. Teneva alta una grande stampa di Gesù Cristo. "Come mai questo è in casa tua?" chiese. Solo allora Maria riuscì a sbloccarsi. "Sono cristiana" disse; e poi in un soffio spiegai che mio fratello e mio padre combattevano con i falangisti". Vide i due perplessi guardarsi; poi il saccheggiatore le chiese di recitare una preghiera. "Quale?" - "Quella che vuoi" rispose. Così recitai il Padre Nostro. Abbassarono le armi. "In strada è pericoloso. Resta qui. quando tutto sarà finito verremo a prenderti".
A Maria lasciarono anche un bracciale con le iniziali della falange. "I colpi di mortaio e le mitragliatrici cessarono di sparare. Cominciarono con i mitra. Si sentiva la gente gridare in strada". Instupidita rimase per ore al buio con il terrore che tornasse qualcuno.
Alla fine decise di scendere in strada. "Volevo andare a trovare mio fratello e mio padre";... Alcuni falangisti quando videro il bracciale le sorrisero. Portavano due uomini e una donna con un bambino. La donna e il bambino vennero mandati da una parte. I due uomini con un colpo di pugnale vennero messi inginocchio. Poi da pochi centimetri con i fucili gli spararono alla testa. Furono i primi morti di quel giorno di Natale visti da Maria».
(da «Il Giorno» del 28.1.76).

don Beppe

Appello del tribunale Russell 2°

Uno di noi ha partecipato all'assise conclusiva del Tribunale Russell, a Roma, nel teatro Argentina, il 17 gennaio. .
E' stato un momento, quella mattinata luminosissima di sole, nel fervore di un popolo sgombro di ideologie e colmato unicamente di profonda sensibilità umana, un momento in cui è apparso, quasi a miracolo, che il popolo è ancora qualcosa in questo mondo dominato dal potere - e non occorre esemplificare di quale potere si tratti: basta la parola e subito viene in mente disumanità - è ancora qualcosa questo povero popolo. Il popolo senza voce e senza parola. Quello senza qualcuno che raccolga la sua disperazione. Sola e abbandonato all'inedia del carcere. Al dissanguamento delle torture. All'oppressione del militarismo. Allo sfruttamento del capitalismo internazionale. Alle sanguisughe insaziabili delle multinazionali. Alla prepotenza degli Stati Uniti. Al gioco dei birilli manovrato da alcuni uomini per i loro intrallazzi di potere.
Un intero continente, l'America latina e popoli d'Africa e il popolo del Vietnam, come un torturato grondante sangue, a puntare il dito di giudizio e di condanna sull'imperialismo capitalista degli Stati Uniti.
Dopo una settimana di un processionare doloroso d'immagini umane, segno scoperto perché carne e sangue, di. oppressione, di schiacciamento di qualsiasi valore umano, di sfruttamento a tutti i livelli, di schiavitù senza speranza, il tribunale del popolo non poteva non emettere tutta la severità della sua condanna.
Ha tratto questo tribunale il suo diritto a costituirsi e a realizzare le sue assise, a pronunciare la sua sentenza, non dal diritto emanato dal potere, ma unicamente dal diritto maturato dalla sofferenza dei popoli. Non ha raccolto la sua giustizia desumendola di tra le pagine dei codici, ma dal diritto alla libertà e alla giustizia dei poveri, dei lavoratori, degli oppressi.
E' di qui che si spiega la profonda commozione di quella mattina colmata di sole durante il susseguirsi degli interventi, durante la lettura della condanna e dell'appello al mondo, e il vivere la passione dei responsabili del Tribunale: uscendo fuori dal teatro impressionava fortemente la strana sensazione di essere a vivere finalmente in un mondo diverso e nuovo.
Sappiamo bene e è ripetuta fino all'insopportazione, dell'insinuazione di parzialità del Tribunale per il suo occuparsi soltanto dell'occidente e delle sue spaventose ingiustizie, lasciando da parte tutto l'enorme problema della sopraffazione dell'uomo nel mondo orientale.
Evidentemente queste insinuazioni - ma sono propaganda molto bene orchestrata con evidenti intenzionalità - non si rendono conto che è molto miserabile il tentativo di cercare di coprire e contrabbandare gli orrori della civiltà occidentale con quelli del mondo orientale.
La morale del male minore - ammesso che si tratti di male minore - quando si tratta di giocare la pelle dei popoli e i valori fondamentali della dignità umana, è morale disumana, è immoralità.
L'alienazione è sempre tentativo di distogliere l'attenzione dalle proprie vergogne mettendone in risalto altre. Col risultato intenzionale di ottenere maggiore libertà per la propria libidine.
L'uomo onesto, perché di quest'uomo bisogna che si tratti, non può non trovare motivo di speranza e nuova coscienza e più impegno di lotta, dal coraggio di giudizio e di condanna del Tribunale Russell contro questo nostro mondo occidentale e in particolare contro gli Stati Uniti d'America.
Anche se già largamente conosciuto sentiamo il dovere di riportare anche noi il testo dell'appello accorato del Tribunale, per ascoltarne, insieme al mondo degli onesti, la voce di richiamo, di esortazione alla lotta per una umanità nuova.

TESTO DELL' APPELLO
Ogni giorno ci svegliamo in un mondo che assomiglia sempre più ad un incubo notturno e la lettura dei giornali, al mattino, anziché portarci una ventata d'aria fresca e la sensazione del risveglio, altro non è che un succedersi di orrori, di profezie sinistre, di nuovi incubi opprimenti.
Viviamo in un'epoca in cui tutto sembrava convergere verso un suicidio planetario: come hanno dimostrato i lavori del Tribunale Russell II, la macchina implacabile dell'imperialismo prosegue e accelera la sua marcia. moltiplicando le forme di penetrazione nei Paesi dell'America latina e di altre regioni del mondo, sforzandosi di imporre, con la forza o l'inganno, i suoi modelli di economia, di cultura e di vita, per asservire i popoli attraverso il condizionamento psicologico e lo sfruttamento delle loro ricchezze e risorse.
Le compagnie multinazionali e i grandi organismi finanziari ad esse associati sono uno strumento perfetto messo a punto per costringere una vasta parte dell'umanità a servire gli scopi della minoranza dominante. In effetti queste compagnie devono essere considerate come transnazionali, in quanto la loro multinazionalità è soltanto una facciata: esse sono integralmente controllate da una sede centrale, che è in un solo o in pochi dei paesi cosiddetti sviluppati.
Il modello di sviluppo che propongono conosce un solo imperativo: raggiungere il massimo del profitto per avere il massimo del potere: tutte le loro attività, per quanto diverse, sono orientate verso questo unico fine al quale sacrificano ogni altra considerazione: un numero infinito di vite, l'ambiente naturale, le culture nazionali, i principi della ragione e della realtà, la vita in tutti i suoi aspetti - biologico, sanitario, economico, politico, giuridico, culturale, religioso - è divenuta oggetto o strumento di commercio.
Ciò che rende particolarmente pericolosa questa ricerca ossessiva del profitto è il fatto che essa è rivolta alla morte più che alla vita. Mai nella storia umana la tecnologia della distruzione si è avvicinata a tali limiti. Gli armamenti costituiscono ormai il più grosso affare del mondo: rappresentano un giro di affari annuo di 300 miliardi di dollari. Gli stocks di armi nucleari soltanto negli USA e nell'URSS, avevano raggiunto fin dal 1969 la potenza esplosiva di 10•15 tonnellate di TNT per ogni uomo, donna o bambino vivente. Da allora questo quantitativo è aumentato costantemente. Soltanto gli USA, attualmente, producono ogni giorno tre testate nucleari all'idrogeno e l'URSS segue lo stesso ritmo. Una grande guerra nucleare minaccia di sterminare l'umanità e gran parte della vita animale e vegetale del pianeta.
Il mantenimento di un simile sistema ha in sé il germe di una catastrofe universale. Se il genere umano vuole sopravvivere è assolutamente necessario cambiare il sistema e il suo orientamento. E' necessario saperlo senza alcuna esitazione: non esiste via di scampo; è la vita o la morte, la sopravvivenza o l'annientamento.
Tuttavia, tra la II.a e la III.a sessione del Tribunale Russell, si è verificato un avvenimento storico di importanza capitale, che al di là delle minacce che pesano sul presente e sul futuro dei popoli e nonostante gli orrori dello sfruttamento e della repressione, mostra che non solo è possibile lottare contro l'imperialismo, ma che è possibile vincerlo: il 30 aprile 1975 il popolo vietnamita, dopo una guerra di trent'anni, ha cacciato gli invasori e ha liberato la sua terra. Certo il prezzo pagato è stato altissimo, in vite umane, in mutilazioni, in distruzioni di ogni genere, ma alla fine la vittoria ha portato l'unità e la libertà.
Nel mondo intero, il trionfo del Vietnam ha dato nuovo vigore alla speranza e alla convinzione che nulla è perduto se si rifiuta la rassegnazione e la disperazione. Ed è questo anche il messaggio che ci giunge dai paesi dell'America Latina più oppressi, più insanguinati, più sottoposti a regimi di terrore che fanno impallidire i peggiori eccessi delle barbarie del passato: nelle prigioni e nei campi di concentramento del Brasile o dell'Uruguay, ci sono uomini che sfidano i loro aguzzini rendendo vani i loro sforzi; dal Cile ci giungono testimonianze sorprendenti di come la resistenza popolare cresce incessantemente e si manifesta nei modi più diversi nelle strade, nelle canzoni e nell'ironia, sui muri e nella letteratura clandestina; dall'Argentina ci giungono notizie di lotte popolari organizzate al punto di provocare vere e proprie battaglie tra le forze della repressione governativa e paramilitare e l'esercito nazionale.
Il Tribunale Russell II è conscio della propria ,impotenza di fronte ai poteri economici, politici e militari dei quali ha condannato le azioni, ma non può concludere i suoi lavori senza fare appello alla sola forza internazionale capace di contenere l'avanzata dell'imperialismo: quella delle masse popolari, e in primo luogo dei lavoratori, delle loro organizzazioni, della loro solidarietà internazionale, ma anche dei contadini, degli intellettuali e di quei settori del ceto medio che si identificano con le lotte popolari e ad esse sacrificano ambizioni e guadagni. Certo, la collaborazione più importante che uomini e donne dei paesi sviluppati possono dare alla liberazione dei popoli dell'America Latina è la lotta che conducono nei rispettivi paesi contro la politica imperialista, e in particolare contro quella delle multinazionali.
E' della massima urgenza che tutti i lavoratori dei paesi sviluppati e dei paesi sottosviluppati, dei paesi dell'Ovest e dei paesi dell'Est, scoprano la convergenza dei propri interessi; che i lavoratori dei paesi sviluppati. e in particolar modo degli USA. si rendano conto di essere essi stessi vittime dello sfruttamento delle compagnie multinazionali. Ciò è reso d'altronde più evidente dalla disoccupazione provocata attualmente dalla tendenza delle compagnie multinazionali ad abbandonare i paesi nei quali la combattività operaia è più forte.
Sulla base di questa coscienza una nuova solidarietà di resistenza e di lotta deve svilupparsi su scala mondiale.
Vorremmo indicare qui alcune linee per questa azione internazionalista:
1 - Si devono continuare le campagne sistematiche di «controinformazione» sui crimini dell'imperialismo; ma è anche necessario studiare a fondo la strategia dell'imperialismo; in particolare quella delle multinazionali e prestare una particolare attenzione alle tecniche di infiltrazione e di repressione dei movimenti popolari di resistenza e di liberazione.
2 - Il boicottaggio dei paesi fascisti deve essere sviluppato, tra l'altro, nelle seguenti direzioni:
- boicottaggio della vendita di armi ai governi e ai militari di questi paesi;
- boicottaggio della vendita di tecnologia e di prodotti strategici;
- boicottaggio dei prodotti provenienti da quei paesi.
3 - Una mobilitazione tale da imporre agli Stati un intervento vigoroso, capace di ridurre gli squilibri e le zone di miseria, che creano le condizioni di supersfruttamento da parte delle multinazionali.
4 - La denuncia e la messa a nudo delle ideologie religiose o laiche usate dall'imperialismo per giustificare la propria azione distruttrice o per avvolgerla nel silenzio.
Allo scopo di contribuire a. questa azione internazionalistica, su queste linee e su molte altre ancora da scoprire, i membri del Tribunale Russell II hanno ritenuto di non potersi separare senza stabilire alcuni punti fermi per assicurare un seguito ai lavori intrapresi. Essi hanno pertanto deciso di prendere due iniziative: creare una Fondazione internazionale per il diritto e la liberazione dei popoli. che raccoglierà dei ricercatori allo scopo studiare a tutti i livelli i meccanismi del dominio imperialista e fornire così all'azione delle masse un supporto teorico; e lanciare il progetto di una Associazione per i diritti e la liberazione dei popoli, che dovrebbe riunire alla base, nell'azione, tutti coloro che vogliono coordinare i loro sforzi per rendere più efficaci le lotte di liberazione. I rapporti tra gli Stati Uniti e l'America Latina diventano il modello di ciò che può accadere in molti altri paesi del mondo e possono accelerare la formazione della solidarietà internazionale dei popoli che non vogliono essere «latino-americanizzati» in un modo aberrante e criminale.
Quando degli uomini si alzano in piedi e a rischio della propria vita si oppongono all'intollerabile rifiutando compromessi e viltà, ciò che nasce da queste lotte è una nuova umanità. A tutti coloro che hanno seguito i nostri lavori e che ascoltano questo appello ripetiamo la nostra convinzione che vale la pena proseguire la lotta e che il futuro sarà di coloro che credono nella giustizia e nella libertà, sarà dei popoli che avanzano per riconquistare il proprio destino comune.
Non è dunque in una prospettiva puramente difensiva che questo Tribunale ha ingaggiato la lotta per la difesa dei diritti minacciati e per la liberazione dei prigionieri e dei torturati. Di fronte all'offensiva inesorabile dei nemici della dignità dei popoli, degli sfruttatori, degli aguzzini, il Tribunale rivendica e proclama il suo diritto e il suo dovere di attaccare a sua volta coloro che hanno nell'umiliazione e nell'oppressione le loro armi preferite ..
Al pessimismo sul destino umano che è la radice profonda di oppressione, di ogni disprezzo dell'indipendenza e della libertà dei popoli, il Tribunale Russell II oppone un sereno e concreto ottimismo, senza ingenuità, ma carico dì quella gioia di vivere e di amare che, un giorno, ci farà approdare tutti insieme alle rive di un avvenire migliore e più giusto.

COMUNICATO STAMPA
Il Tribunale Russel1 II che è stato costituito nel 1973 su richiesta delle vittime della repressione in America Latina ha concluso in Roma la sua terza ed ultima sessione che ha avuto luogo dal 10 al 17 gennaio 1976.
Il Tribunale ha esaminato la situazione dei popoli di 12 Paesi: Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Guatemala, Haiti, Nicaragua, Paraguay, Porto Rico, Repubblica Dominicana, Uruguay.
Nel corso delle tre sessioni, i Giurati del Tribunale hanno ascoltato oltre duecento relatori e testimoni provenienti sia dall'America Latina che dall'Europa e dagli Stati Uniti, e hanno preso conoscenza di una considerevole documentazione, proveniente in buona misura da fonti ufficiali dei Paesi menzionati e degli Stati Uniti di America.
Il Tribunale ha studiato i temi seguenti: la repressione, le lotte antisindacali, i meccanismi economici di sfruttamento e di dominazione, la responsabilità delle Forze Armate, il dominio culturale, l'atteggiamento della Chiesa, il ruolo del diritto.
Il Tribunale, convinto di tale analisi di trovarsi in presenza di un sistema coerente di dominazione e di sfruttamento del quale sono responsabili i Paesi occidentali industrializzati e in primissimo luogo gli Stati Uniti, ha condannato, con una sentenza esaurientemente motivata, i governi dei Paesi indicati come colpevoli di violazioni gravi, sistematiche e ripetute, dei diritti dell'uomo e dei diritti dei popoli.
Ha inoltre condannato il governo degli Stati Uniti - e in particolare H. Kissinger - per le sue responsabilità nel colpo di stato in Cile.
Infine, le imprese multinazionali che sfruttano le risorse naturali e umane dei Paesi dell'America Latina a discapito degli interessi dei popoli sono state oggetto di condanne precise, e i rispettivi governi sono stati giudicati responsabili delle loro attività.
E' stata inoltre denunciata la complicità delle organizzazioni sindacali americane e delle fondazioni di ricerca americane ed europee.
Il Tribunale ha ottenuto la dimostrazione che, al di là delle condizioni particolari di ciascun Paese esaminato, un sistema coerente di dominio e di sfruttamento sì estende all'America Latina nel suo complesso. e che gli Stati Uniti ne sono i principali responsabili. .
In occasione della seduta conclusiva del 17.1.1976 è stato annunciato che allo scopo di prolungare I'azione del Tribunale sono state costituite una Fondazione e una Associazione per il diritto e la liberazione dei popoli.
Roma, 17 gennaio 1976


Processo all'obiettore Liborio Filippi

Nell'aula del Tribunale Militare di Verona si è avuto libero accesso (naturalmente dopo che il solito rituale dei documenti d'identità e la caccia nelle borse di registratori e macchine fotografiche si erano concluse) alle 9 e 30 di martedì 13 gennaio. E' stata una mattinata densa di processi e per ultimo. verso le 13 e 30, è iniziato quello di Liborio.
Parlava per prima la difesa.
Subito l'avvocato Ramadori chiedeva la scarcerazione dell'imputato per due motivi: perché la sua detenzione non è giustificata da motivi di pubblica sicurezza e perché il reato da lui commesso non è ripetibile, dato che non può rifiutare nuovamente il servizio militare, avendolo già fatto.
Il pubblico ministero ha confutato i motivi della difesa, asserendo che il reato si è consumato nel momento in cui Liborio non si è presentato al distretto e che, una volta in libertà, egli non si sarebbe certamente ripresentato, compiendo così un nuovo reato, E dato che solo l'espiazione della pena estingue il reato, la scarcerazione non è possibile.
A questo punto la corte proponeva una pausa di due ore per consumare il pasto. Liborio, riportato per questo a Peschiera (una trentina di chilometri...) su una Opel, ci ha poi detto che si trattava di... due panini. Da notare che proprio verso mezzogiorno era sorto un battibecco perché si voleva passare un panino imbottito a Liborio, e un carabiniere aveva affermato con arroganza che ai pasti dei detenuti ci pensavano loro, e bene.
Ripreso il processo e ascoltato l'imputato, che riaffermava la sua ferma volontà di non assolvere né al servizio militare né a quello civile per i motivi addotti nella sua dichiarazione di obiezione, la corte faceva sue le tesi del pubblico ministero, negando la scarcerazione e le eccezioni di incostituzionalità sollevate in precedenza dalla difesa.
Ramadori a questo punto contestava la competenza del tribunale a giudicare su un reato che non era militare, dato che la dichiarazione di obiezione di Liborio era stata fatta prima dell'obbligo di presentarsi alla leva. Prima che la corte si ritirasse, alla domanda: "L'imputato ha nulla da aggiungere?", Liborio ha cercato di leggere una dichiarazione: "In nome del popolo italiano, voi mi avete obbligato ad indossare una divisa...". Ma il presidente, dopo solo poche righe, lo ha bloccato dicendo che in nome del popolo italiano lui non poteva dire niente.
La corte si è ritirata e in brevissimo tempo ha sentenziato 12 mesi con il beneficio della non menzione, proprio come aveva richiesto il pubblico ministero e come era previsto dalla difesa.
Sui gradini all'entrata del tribunale si sono bruciati dei congedi militari, italiani e stranieri (in aula una delegazione voleva consegnarli al Pubblico ministero, che non si era neanche degnato di toccarli, con la motivazione che non era né l'organo né la persona adatta) a dimostrare la solidarietà internazionale per questo tipo di scelta e di lotta.
Sempre nel quadro delle iniziative organizzate per quest'occasione, ricordiamo l'assemblea-dibattito svoltasi la sera precedente il giorno del processo a Verona sui seguenti temi:
- carceri militari
- obiezione totale
- servizio civile
- codici e giustizia militare.
con la partecipazione di un rappresentante del servizio civile a Verona, che ha parlato della sua esperienza e delle possibilità di miglioramento del servizio, e di obiettori totali e di un avvocato, membri anch'essi, come Liborio, del gruppo internazionale I.C.I. (Insoumission Collective Internationale): Riccardo Ciuffardi e il francese Jean-Luc Stote, che hanno illustrato i temi cella campagna e le motivazioni della loro scelta: ed Ezio Rossato che ha parlato della sua esperienza del carcere e della lotta condotta con Dalmazio e compagni.
A questo punto che fare?
Alcune proposte per continuare la lotta:
- non lasciare isolato Liborio, sia mettendosi in contatto con lui (Carcere Militare - Peschiera del Garda - Vr.), sia pubblicizzando la sua scelta;
- dato che abbiamo intenzione di mettere insieme un opuscolo sulla giustizia militare in Italia, contribuire con idee, esperienze, materiale;
- abbiamo visto che la restituzione dei congedi può essere un momento "scottante". Chi è intenzionato a fare quest'azione, si metta in contatto con noi;
- siamo in bolletta. Se qualcuno può darci finanziariamente una mano.. un altro obiettore totale si farà presto arrestare. Teniamoci in contatto...
Fraternamente

Coordinamento Italiano I.C.I.
Via S. Romano, 15
25010 S. Zeno (Bs)
Mario
S. Zeno. 15 gennaio 1976

Pensieri di Bethlem

Stamani sono venuto qui nella grotta della Natività. Sono gli ultimi giorni che mi rimangono, il 2 ottobre ho deciso d'imbarcarmi e tornarmene a casa. E' un affollarsi di cose, di pensieri, di senti-menti, di difficoltà e di paure. Non mi fido di me e sento la potenza di sopraffazione che l'ambiente detla nostra civiltà e della nostra chiesa, comporta e in maniera inevitabile. Sarei rimasto qui nella sua terra perché qui mi sento immerso unicamente nel suo Mistero. Ma sento che devo tornare, è proprio volontà di Dio, almeno per quanto mi è sembrato di capire.
Perché realmente mi sono sentito disponibile anche a rimanere, anzi particolarmente a rimanere. Ma sento che devo andare. E' una realtà di vita nella quale devo giocare tutto, anche la possibilità del. VU?to e dell'inutile, anche quella del perdersi. POl mi sento profondamente in dovere verso la Comunità. lo devo condividere con loro a costo di tutto, questa avventura cristiana nella quale insieme ci siamo gettati. Ora, dopo questa esperienza di tre mesi nella terra di Dio, sento questo impegno come, essenziale e decisivo nella mia vita. Questo confrontare la Fede nella realtà del nostro tempo. Questo tentativo di traduzione. questo impegno di presenza, di continuità di Cristo nel mondo. E' problema che mi sgomenta perché proprio non so, è come una misteriosa e strana impreparazione, sproporzione, è proprio un lLO/'Z sapere. Però viè una chiarezza totale di Fede. Sento di avere la verità chiarissima nell' anima, ma non so come esprimerla. come comunicarla (non so come annunciare, evangelizzare) alla gente. alla realtà de; mio tempo.
Ho celebrato la Messa poco fa al piccolo altare cosiddetto dei Re Magi, nella grotta. Dove ha celebrato la Messa, sento che dicono le guide. Paolo VI nel '64. Ma ciò che mi prende fin dal più profodo di me è questa nascita di Gesù. L'inizio di questa terra. L'inizio di una storia, che deve avere. bisogna che abbia. altrimenti è annullarla, fedeltà assolute. chiare e precise. Ho pregato Maria, con semplicità. ma penso prorio con Fede, chiedendone di esprimere, come lei ha fatto dandolo alla luce, partorendolo, un Gesù vero. Non un altro più o meno mistificato, ma Gesù Figlio di Dio e Figlio di lei, quello generato in .ei dallo Spirito Santo. Questo « suo" Gesù. E' fedeltà così importante e decisiva. E' una fedeltà terribile, perchè questo « suo" Gesù è injinit ament e unico, lui so w, irrepetibile anche se da continuarsi, ma non da inventarsi. Geerare Lui ne/nostro tempo. Metterlo alla ìuce. 111 una grotta e sulla paglia. Cioé lui così come è nato.
Maria sa belle tutte queste ... e sono certo che capi.' ce perì ctt antente tutto questo enorme e sgomentante problema. Essere lei in ogni tempo e in qualsiasi situazione, a partorire, mettere al montlo, Gesù Cristo, è i. problema e il dovere del cristiano. E' terrihilment e il 1I1io dovere e la mia fedeltà. Aneli se //011 so, perchè proprio non so. Di qui tutto uno sgomento che mi prende proprio [in dal più i Il t imo.
L'altra cosa che 1I1i ha 1I101to preso nella Messa
I~ :1 ~nI1('/It~.I} /.1,0 Flf'; t.: ;"';"";/"1 1111/1 'l'l,lfl11n e/n'Vin rlDlln


umanità, cioè un nuovo modo di esistenza, un vivere diverso. Questa diversità è fondamentale, è decisiva. Diversamente è una storiella buona e bella questo nascere in una grotta, la mangiatoia, ma niente di più. Guardo tutti questi pellegrini, riempiono la grotta, lettura del Vangelo, preghiere e canti e fotografie
commozioni ecc. Ma il rapporto fra questa nascita e la vita e l'esistenza e la storia dell'umanità è tutta altra cosa. Non so come è possibile esprimere-questa diversità, come annunciarla e descriverla, indicarla in modo che sia costruzione autentica e fedele, a questa nasci.a..a questo inizio e alla continuità, in Gesù così perfettamente diverse, di tutta una vita, di tutto un modo, di tutta una realtà di scelte.
Ora mi si sta un po attenuando l'intensità della chiarezza di queste riflessioni che mi hanno preso con tanta forza, durante la Messa. '
Continuo -a rimanere qui seduto nella grotta nonostante il susseguirsi di gente di tutte le lingue. In questo momento è passato anche i! gruppo di don Aldo, il prete giovane di Rajat, la tenuta del Patriarcato, dove sono sato quasi un mese. Rimango qui e dove devo andare? Cosa d'altro mi può interessare? Può essere tutto sentimento e commozione dato il luogo, ma può essere e credo che sia; la grazia del luogo.
E' un sacramento questa terra. E il nascere di Gesù ha segnato di Lui questo luogo. L'importante è raccoglierne la totalità del Mistero.
E questo non so quanto è possibile. Si tratta di Dio. Di Dio che si fa uomo, nasce qui da una donna che l'ha ricevuto dallo Spirito Santo, e qui inizia una storia, la storia di Dio e dell'Uomo. Del-l'Uomo secondo Dio e così tanto fino al punto che
è la storia di Dio Uomo. .
Di Gestì e di Cristo. Queste due realtà che in Lui si uniscono nella sua unica persona: la storia di Gesù nella realtà del suo vivere quotidiano e la storia escatologica di Cristo nel suo essere salvezza dell'umanità. Gesù è il Cristo. Gesù non può far dimenticare il Cristo, nè i: Cristo puo annebbiare la concretezza storica, quotidiana, di Gesù. Il suo nascere è l'inizio di Gesù e del Cristo. Ma è un nascere da una donna e in condizioni ben definite e che non possono non imporsi come oggetto di Fede, cioè qualcosa con la quale è inevitabile non trovarsi a confronto. Ma rimaniamo spietatamente giudicati e spietatamente non può che essere l'unico progetto di cristianesimo. Perchè il Cristo è Gesù.
I pellegrinaggi sono come l'acqua di un fiume che lambisce le pietre e corre via. Ma è così di tutto Wl cristianesimo. Questa grotta è invece una sorgente. Qui l'acqua non passa, nasce, sgorga di qui. Ora faccio un giro nelle grotte di S. Girolamo. Poi parto. Ogni volta che lascio un luogo che mi ha particolarmente raccolto, è come strapparmi via. Come-l'altra sera quando mi sono fermato a guardare per l'ultima volta il lago: era notte e luminosa di una luna piena splendidissima.
Ma il pellegrina re della vita deve continuare e quindi bisogna andare.
Fino all'ultimo giorno, quando la strada si [er.nerà davanti ad una soglia, quando si concluderà tutta Ima storia perchè è arrivato il momento del suo inizio.

don Sirio

La bandiera della pace

Lotteremo con tutte le forze
per la vittoria della pace.

Questa vittoria non sarà nostra,
bensì un'onda ardente e gioiosa
fra gli uomini, le nazioni e le razze.

Non ci sarà né vincitore né vinto,
né sfruttatore né sfruttato,
né sapiente né ignorante,
né santo né peccatore.
Lo sappiamo, far nascere e durare l'onda della pace
richiede una guerra continua,
contro chi è forte finché saremo deboli,
e contro noi stessi quando saremo forti.

Luis M. Xirinacs

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