L’inchiesta su Papa Giovanni

L'inchiesta condotta dal gruppo studentesco su Papa Giovanni, pubblicata nel numero scorso, ha suscitato non pochi commenti e non pochi risentimenti.
A un mese di distanza, mi pare di non togliere niente all'oggettività dell'inchiesta e alla libertà delle risposte, se mi permetto di fare alcune considerazioni.
Ringrazio gli operai per averci preso parte e per aver dato le loro risposte con molta sincerità e spontaneità, nonostante le domande fossero difficili e delicate e riguardassero problemi a cui non sono molto preparati e forse nemmeno troppo interessati. E l'inchiesta era difficile anche perché a rispondere con un "sì" o con un "no" o con poche altre parole a problemi tanto gravi e complessi, non poteva essere evitato il pericolo che le risposte fossero soltanto un esprimere impressioni, così, a fior di pelle, e giudizi molto affrettati.
Ma le inchieste sono fatte così. Nonostante però la loro difettosità di metodo, possono ugualmente riuscire a raccogliere mentalità correnti, giudizi di fondo, atteggiamenti ecc. che è sempre non soltanto utile conoscere, ma anche doveroso. E è doveroso sapere cosa pensa la gente, le impressioni che ha di persone e cose, per il rispetto che dobbiamo alle opinioni altrui, anche quando queste sono in contrasto o all'opposto delle nostre: in ogni caso sono pensiero di persona umana che non deve mai essere disprezzato, ma, anzi, raccolto, anche per offrire la possibilità di raffronto con un altro modo di pensare e di giudicare, sperando così in un correggersi del pensiero sbagliato.
E poi anche perché ogni opinione, ogni pensiero e giudizio, anche se duro, spietato, severo, eccessivo fino al paradosso e all'assurdo, può sempre avere una parte o almeno un'ombra di verità e di visione giusta che è doveroso raccogliere e considerare seriamente.
Si fa presto a dire: è tutto sbagliato, è soltanto una calunnia, è cattiveria d'animo. E si fa presto quindi a respingere ogni cosa con orrore e gridando allo scandalo. E non si pensa nemmeno lontanamente che quella parola forse irrispettosa, quel giudizio spietato, possa essere sofferenza per un volere che chi è tenuto ad esserlo, sia veramente perfetto; possa essere spietatezza che non perdona (cioè non copre con il velo di una carità untuosa e spesso interessata) perché non intende sopportare anche soltanto apparenze di non assoluta coerenza, di non totale autenticità.
Molte volte certo scandalizzarsi e certo gridare alla calunnia, significa dimenticare che il clero e i cristiani e la Chiesa vengono pesati dalla povera gente coll'unità di misura che è Gesù Cristo: e si capisce quindi come i giudizi risultino poi così severi e spietati.
E' la pietra di paragone che è il Vangelo che ci condanna, spesso: chi ce lo dice sulla faccia, scopertamente, merita gratitudine, non disprezzo o respinta.
Tutto questo va detto riferendoci ad un problema generale, ma anche all'inchiesta pubblicata.
L'ho pubblicata nonostante la severità di certi giudizi. Perché sono certo dell'onesta sincerità degli operai che hanno dato quelle risposte: sono certo che non si sono serviti dell'inchiesta per fini e scopi tendenziosi. Poi perché potesse essere oggetto di studio e di meditazione a chi dovrebbe avere interesse a conoscere ciò che pensa il mondo operaio. Poi ancora perché non è giusto avere paura di ciò che pensa la gente e non deve fare difficoltà raccoglierne serenamente e cordialmente il pensiero, comunque sia.
Ho letto e seriamente meditato l'inchiesta. Mi è stata motivo di approfondimento di tutto il terribile problema del Cristianesimo nel nostro tempo e, in particolare, dei rapporti della Chiesa col mondo operaio.
Mi è stata preziosa occasione per ripensare e studiare "la pastorale" di Papa Giovanni e per poter conoscere le difficoltà che il Papa Paolo VI incontrerà nell'inserire il suo Pontificato nel vivo dell'esistenza umana del nostro tempo e specialmente nel mondo operaio.
E infine mi è stata, quest'inchiesta, enorme e terribile motivo di sofferenza per i risentimenti più o meno accesi verso di me e il giornale.
E ora, anche gli operai che hanno partecipato all'inchiesta, mi permettano che dica anche a loro una parola.
Mi è di tanta angoscia - e credo che gli operai mi capiscano perché sanno bene che sono un cristiano e un prete - che nel mondo operaio vi siano atteggiamenti così ostili verso il Papa Paolo VI, e non occorre certo che ne spieghi i motivi.
Non è che qui intendo discutere ciò che l'inchiesta ha riportato. Non sarebbe il caso, anche perché le inchieste non si fanno per ribatterne le risposte e perché non vorrei che gli operai pensassero che io non ho gradito e raccolto con rispetto la loro schietta sincerità; mi permettano però gli operai che hanno dato certe risposte, di far loro notare che non è giusto che Paolo VI sia giudicato come persona che è addirittura impossibile che possa risultare simpatica. E' come dire: non c'è nulla da fare, è inutile sperare qualcosa di buono, è impossibile che o prima o poi faccia qualcosa che gli dia di poter raccogliere almeno un po' di quella immensa simpatia che ha avuto Papa Giovanni.
E' appena agli inizi del suo Pontificato, è ingiusto non concedergli nemmeno la possibilità che possa continuare a rendere ancora più completa - fino a farne la vita di tutta la Chiesa - l'opera di Papa Giovanni.
Perché Paolo VI è d'origine di famiglia benestante, perché è persona estremamente colta, perché ha le sue caratteristiche personali, perché, come ha scritto Padre Balducci, "la sua faccia è costruita per stare seria" e per tanti altri motivi d'importanza per così dire sentimentale, non si può e non si deve escluderlo perfino da una possibilità di conquistare simpatia.
Cari amici operai, così spietati con Paolo VI, non voglio discutere i vostri giudizi, anche se sono così negativi - ognuno deve poter pensare come meglio crede - ma permettetemi di pregarvi di rivedere i motivi di questi vostri giudizi e lasciatemi dire che questo modo di giudicare in maniera così assoluta e spietata mi sembra non giusto, non soltanto trattandosi di un Papa, ma di qualsiasi altra persona umana che va sempre giudicata soltanto alla prova dei fatti.



d. S.


in Il Nostro Lavoro: Il NL - Anno 2 - N. 7 Viareggio - Luglio 1964, Luglio 1964

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