Il fronte del marmo

Il «contratto collettivo nazionale di lavoro per gli addetti alla escavazione e lavorazione dei materiali lapidei» (leggi: lavoratori del marmo), scade il 30 giugno 1964.
La consuetudine vuole che le discussioni per il nuovo contratto abbiano inizio dopo la data di scadenza di quello in vigore e, per le lungaggini, le tattiche, i tira e molla che caratterizzano la conduzione delle trattative, spesso trascorrono diversi mesi (in qualche caso anche anni) prima che i lavoratori possano avere il loro nuovo contratto.
Questo andamento delle cose prolunga automaticamente la validità del vecchio contratto, notevolmente oltre i termini liberamente stabiliti dalle parti contraenti e pone gli industriali in posizione di «non rispetto» dei patti sottoscritti.
Nell'intento di snellire al massimo la trattativa e, per quanto possibile, concludere il nuovo contratto in tempo utile per farlo entrare in vigore all'indomani della scadenza del precedente e cioè il 1° luglio 1964, i Sindacati hanno proposto di dar inizio anticipato alle discussioni. Proposta che gli industriali hanno accettato fissando nel giorno 18 maggio u.s. la data utile per il primo incontro.
Contrariamente ad ogni previsione ed in netto contrasto con la consuetudine contrattuale, non è stato possibile per i lavoratori iniziare ima costruttiva discussione in quanto, in apertura di riunione, il rappresentante della Confindustria a nome della delegazione industriale ha dichiarato che « ... in conseguenza della situazione del settore e della mancanza di prospettive, la controparte non è in grado di sostenere alcun onere» - proponendo un rinvio a tempo indeterminato della trattativa - «senza alcuna garanzia, anche in questo caso, di poter aderire in futuro alle richieste già avanzate dai sindacati».
I rappresentanti dei Sindacati, con appropriata documentazione, hanno fatto osservare come la produzione ed il rendimento dei lavoratori abbiano registrato ulteriori incrementi di notevole valore - anche se inferiori a quelli verificatisi in passato - per cui esistono tutt'ora obiettive possibilità per realizzare concreti miglioramenti a favore dei dipendenti del settore.
Va anche evidenziata l'ulteriore prova di responsabilità dei sindacati nel dichiararsi disponibili - dopo la conclusione del contratto - ad intervenire nelle sedi idonee per il superamento delle difficoltà del settore lapideo in relazione alla situazione di quello edilizio ed alla carenza legislativa in materia di aree fabbricabili; problemi che, obiettivamente, dovranno trovare una sollecita soluzione, ma che certamente non giustificano le preoccupazioni per l'immediato futuro denunciate dagli industriali.
Nonostante ciò, e pur avendo i rappresentanti dei lavoratori dimostrata tutta la loro buona volontà onde indurre la delegazione industriale a rimanere al tavolo delle trattative, non si è lasciata intravedere la benché minima possibilità di apertura, per cui - dopo poche ore di discussione - la rottura.
Ai Sindacati - unitariamente - non è rimasto che programmare la lotta nel modo seguente:
1° 24 ore di sciopero, il giorno 26 maggio u.s.;
2° 24 ore di sciopero, il giorno 30 maggio u.s.;
3° 48 ore di sciopero, i giorni 9 e 10 giugno u.s.;
4° 72 ore di sciopero, i giorni 17-18-19 giugno p.v.;
5° 48 ore di sciopero, i giorni 25 e 26 giugno p.v..
Oltre che vietare il lavoro straordinario e festivo.

IMPEGNI E SERIETÀ
La cronaca suddetta ci induce ad alcune considerazioni sui metodi degli industriali nei rapporti con i lavoratori. Innanzi tutto, come più avanti cercheremo di documentare, l'accettazione della trattativa anticipata faceva ben sperare i lavoratori sulla serietà di proponimento della controparte, autorizzando a supporre almeno una rapida possibilità di convergenza tra le richieste dei lavoratori e le possibi-lià degli imprenditori in un sereno esame della situazione economica attuale. La ricerca della rottura, subito, al pri no incontro, ha tutto il sapore di un repentino richiamo della parte padronale alla politica confindustriale che, in questo particolare momento politico, è preoccupata esclusivamente di «salvare il vapore» con tutti i relativi privilegi di casta, strumentalizzando in proprio favore anche la congiuntura economica.
Obiettivamente e responsabilmente, come si sono espressi i sindacati, non è difficile cogliere nella attuale situazione economica generale del Paese, la causa di alcune difficoltà risentite dalla controparte. Dappertutto si nota la sensibile riduzione dei cantieri edili la cui attività rappresentava all'interno del Paese, una delle vie di collocamento dei prodotti della lavorazione del marmo anche se, questo particolare comparto del settore, ha risentito l'influenza negativa dei vari improvvisati commercianti spesso privi di adeguata conoscenza del ramo.

CONTRADDIZIONI INDUSTRIALI
Nel settembre 1963, al Convegno Internazionale del Marmo di Verona, il direttore Commerciale di una importante azienda nazionale notò che: «Il campo dell'edilizia ha una quota largamente superiore ma è anche il campo dove la competizione commerciale è più dura ed i margini di guadagno sono più modesti. Occorre però fare molta attenzione a non perdere di vista come questo campo sia il più rischioso in quanto è il primo a risentire di possibili oscillazioni economiche». Rileviamo l'esattezza della diagnosi e possiamo anche dedurre che il maggior reddito di questa industria pervenga da altre vie e che, quindi, le attuali difficoltà derivanti dal ristagno delle costruzioni private, non possono, in alcun modo, incidere irrimediabilmente sulla salute delle aziende del settore, anche se crea loro qualche difficoltà.
I comparti dell'arte sacra, della funeraria, dell'arredamento, le grandi forniture di edifici pubblici e privati, il rifornimento delle aziende non produttrici all'interno e l'esportazione di grezzi e lavorati all'estero, costituiscono pur sempre le ottime vie di collocamento del prodotto e si manifestano tutt'ora attive. Per contro, l'organizzazione della politica promozionale da parte delle aziende marmifere delle varie zone di produzione - impegnate in sterili provincialismi - non trova gli imprenditori decisamente impegnati per la migliore e più appropriata diffusione d'impiego del prodotto sia all'interno che all'estero, se il presidente dell'U.G.I.M.A, fin dal febbraio scorso, (appena quattro mesi or sono) ebbe a rilevare che «il momento che stiamo attraversando non è di quelli adatti a favorire la contemplazione dei successi passati, ma piuttosto il momento di prendere l'avvio dagli stessi per agire con vigore nell'ambito di una politica programmatica, intesa a prevenire i prevedibili effetti di una crisi incipiente».
Anche quanto sopra riferito conferma che solo a febbraio scorso sono state formulate le prime intenzioni degli imprenditori di prepararsi a fronteggiare, «a prevenire», l'aggravarsi eventuale della situazione e che fino allora, evidentemente, le cose del settore sono state abbastanza tollerabili.
Senza dubbio, il comportamento sopra riferito di eminenti personalità del settore, smentisce categoricamente la «mancanza di prospettive» denunciata dal rappresentante della Confindustria. Tale denuncia si rivela una meschinetta manovra politica contro gli stessi interessi delle aziende associate le quali, come ad ogni rinnovo di contratto puntualmente avviene, appena intravedranno il vicolo cieco in cui li spinge la manovra confindustriale ed accertata la volontà di lotta dei lavoratori e l'accettazione dei sacrifici che la stessa comporta, sapranno fare giustizia dei sostenitori dell'alta politica e dar così avvio ad una veramente proficua trattativa.
Ci è stato riferito che certi datori di lavoro dell'alta Italia gongolano al pensiero che le proprie maestranze dovranno affrontare la desiderata serie di scioperi, la quale fornirà loro la imprevista possibilità di economizzare sui costi di lavoro e tesoreggiare i frutti «dei successi passati». Certamente si tratta di quella sorta di imprenditori che hanno sguazzato senza scrupoli nelle acque calde del miracolo economico, arraffando tutto ciò che è stato loro possibile arraffare e che, ora, inorridiscono per dover corrispondere una piccola parte dei loro guadagni ai lavoratori che, per lo sfruttamento subito, hanno fornito a questi «messeri» tanta ricchezza.

RICHIAMO ALLA LEALTÀ
Ben lungi da noi il desiderio e la volontà di fare d'ogni erba un fascio e quindi non intendiamo porre sullo stesso piano dei valori tutta la classe padronale. Sappiamo fare i dovuti distinguo. Abbiamo letto di industriali che si preoccupano positivamente «di precise finalità sociali nell'ambito della politica della piena occupazione» ed è a questi che intendiamo rivolgerci per placare il frenetico desiderio di licenziamenti che ha afferrato la mente degli imprenditori del tipo di quello dell'alta Italia, adoperando indegnamente un passo della Enciclica Pacem in Terris di Papa Giovanni XXIII di santa memoria: «Qui crediamo opportuno di osservare che, ogniqualvolta è possibile, pare che debba essere il capitale a cercare il lavoro e non viceversa».
Siamo anche a conoscenza della perfetta convinzione di molti industriali a dover pagare il rinnovo del contratto. A questi signori e a tutti quelli che sono pensosi delle sorti del settore e preoccupati di mantenere la pace sociale contro ogni strumentalizzazione egoistica di parte, chiediamo una prova di buona volontà. Questo è il momento di tradurre in azione il loro pensiero e di dimostrare il loro desiderio di concorrere efficacemente al superamento della flessione economica nazionale.
Queste argomentazioni le indirizziamo in modo particolare ai cavatori, ai lavoratori del marmo, affinché possano trarne motivo di combattività e sostegno ideale alla nostra lotta unitaria, contro l'ingiustificato e incomprensibile fronte del Marmo.




A. B.


in Il Nostro Lavoro: Il NL - Anno 2 - N. 6 Viareggio - Giugno 1964, Giugno 1964

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