La vecchia mala pianta

immagine:  La vecchia mala pianta E' un problema molto serio, gravissimo e anche scottante per tanta gente che, messasi a posto la coscienza perchè è stata rispettata la legge e perchè tutto è stato fatto in base alle ragioni economiche, e più precisamente del guadagno e del profitto (e il profitto è sempre onesto proprio perchè è profitto, come si pensa comunemente con una mentalità utilitaristica a costo di tutto), si sente nel pieno diritto di usare delle persone umane alle proprie dipendenze, dimenticandosi serenamente che si tratta di persone umane, considerandole invece attrezzi da lavoro, macchinari da produzione, fonti di guadagno, roba da sfruttare.
Il discorso quindi è difficile perchè è praticamente impossibile non urtare contro un costume fatto resistente e tenace dall'interesse e contro una mentalità di privilegio che non vuol cedere davanti ad una liberazione dell'uomo dal giogo di una schiavitù che, se non è più come nelle forme antiche, permane però, sottile e raffinata, nella metodica più o meno visibile del mondo padronale e della dirigenza in un complesso di leggi che codificano sistemi di rapporti poco umani, in mentalità ormai correnti e normalizzate anche presso organizzazioni che, o per amore o per forza, accettano le situazioni così come sono, anche se in contrasto con i loro principi e con i loro doveri, e più ancora permane, con facilitazioni disumane, nelle situazioni di bisogno e di fame che, dove sussistono, sono come la catena al piede degli schiavi antichi, né più né meno.
Vi è poi anche la difficoltà dello scontrarsi con le ragioni economiche, le urgenze della produzione, il buon andamento dell'azienda, le leggi di mercato, la necessità assoluta del maggior profitto, e tanti altri motivi che hanno innegabilmente la loro importanza, ma che poi praticamente,chissà perchè, debbono inevitabilmente comportare pesanti e gravose conseguenze soltanto per i lavoratori.
In ogni modo non sottovalutiamo la complessità del problema, confessiamo di non essere nemmeno all'altezza di afferrarne tutta la misura: rimangono però scoperti, come piaghe sfasciate, problemi troppo dolorosi e situazioni troppo ingiuste e spesso quasi disumanizzate, da rendere doveroso il raccoglierle e il denunciarle, se non altro, per la speranza che in qualche modo possano essere alleviate, e per adempimento di un dovere di servire, a costo di tutto, la giustizia e la libertà.
Ciò che può e deve essere detto, circa il problema della discriminazione negli ambienti di lavoro, può essere molto, e penso che dovremmo rifarci a mentalità di differenziazione umana che permangono ancora tenacemente nella nostra società. E' una vecchia mala pianta difficile a sradicarsi, quella del distinguere gli esseri umani e fare quindi separazioni, piani diversi, sistemazioni sociali, distinzione di classi, ecc. E la storia qui, più che in ogni altro problema umano, gronda fiumi di sangue e di lacrime e oceani di angoscia e di disperazione e abissi infiniti di ingiustizia e di disumanità.
Anche un accenno storico risulterebbe lunghissimo. Sta il fatto che ogni popolo ha le sue colpe, ogni civiltà le sue aberrazioni. Dai tempi iniziali dell'epoca storica fino ai giorni nostri in cui l'esplosione razzista ha raggiunto limiti inimmaginabili di orribile crudeltà, l'istinto del privilegio di popolo, di civiltà, di casta, di famiglia, di razza, di economia, di cultura e anche di religione, ecc., ha comportato per l'umanità le ingiustizie più orrende che potevano essere commesse.
Crediamo doveroso ribellarci contro l'obbedienza a questo maledetto istinto del privilegio, dovunque possa affacciarsi, perchè è certo che privilegio significa ingiustizia, per realizzarsi non può che servirsi della sopraffazione e quindi della violenza, perchè per creare i propri privilegi bisogna abbassare gli altri, è necessario ridurli in uno stato di servizio, e perchè questa situazione possa essere ottenuta, è giustificato avvilirli considerandoli esseri inferiori, condannati a servire o a essere spazzati via.
Da noi, buon sangue latino, non ha attecchito il razzismo nemmeno a quei tempi. Ci ribella ogni discriminazione razziale dovunque avvenga. Le forme impazzite fino al fanatismo ideologico di discriminazione umana ci disgustane, però siamo portati con tentazione irresistibile al privilegio individuale, personale, di famiglia, di posizione sociale, di prestigio economico, ecc.
E' di qui che provengono le cause di tutta una immoralità di mentalità e di rapporti. E' così che si fanno le coscienze capaci disinvoltamente di avanzare qualsiasi diritto personale. Le differenziazioni vengono poi da sè con stratificazioni più o meno marcate, ma sempre dolorose e ingiuste.
E si separano accuratamente quelli che non possono stare sul nostro piano, che non possono essere del nostro rango.
Dall'alto del nostro privilegio, allora, giudichiamo « gli altri », quelli che stanno sotto.
E' strano, ma subito si pensa che questi, per una assurda condanna, sono come destinati a servire, quindi è logico e giusto e normale che servano.
E quindi se ne usa liberamente, con serena coscienza, senza scrupoli nè incertezze. Il rapporto è fra superiori e inferiori, fra chi comanda e chi deve obbedire, fra chi è tutto e chi è nulla: un povero zero che serve soltanto per aumentare per dieci le cifre che gli altri assommano sul proprio privilegio.
E questa nostra civiltà, anche se con una coscienza un po' più incerta e tormentata del passato, continua a vivacchiare assai disinvoltamente su differenziazioni impressionanti, su discriminazioni preconcette e interessate che riescono ancora a tener salde posizioni di privilegio e, al disotto, posizioni di servaggio.
E' chiaro che noi non siamo per il rovesciamento di queste posizioni, in modo che al posto di una vada l'altra, come nella storia è pressappoco sempre avvenuto, siamo però per la liberazione dell'uomo da qualsiasi forma di menomazione e di avvilimento della dignità dell'essere umano.
Il cammino di questa liberazione è lungo, perchè sono troppi e troppo spietati e violenti gli egoismi che intendono ad ogni costo conservare privilegi, e quindi schiavitù più o meno mascherate per conservare possibilità e metodi di sfruttamento dell'uomo sull'uomo, e sono troppi, e troppo ancora senza volontà e capacità di autentica liberazione, i servilismi del nostro tempo: sono troppi ancora quelli che si lasciano comprare, che si adattano alla prepotenza, che vivono sul privilegio dei privilegiati come le ostriche attaccate allo scoglio, che acconsentono di essere strumentalizzati perchè chi domina possa continuare a dominare. E sono troppe ancora le istituzioni prodotte dalla civiltà passata che campano sul terreno del privilegio come se diversamente non potessero vivere: da quelle militari alle politiche, da certe tradizioni religiose, a formazioni culturali e a tutto un costume spicciolo che va dal buon cavaliere alla vecchia signora di buona e onorata famiglia.
Noi vogliamo occuparci, come è logico, della discriminazione nell'ambiente di lavoro. Cerchiamo di fare qualcosa per il superamento delle distanze fra mondo padronale, impiegatizio, operaio. Lavoriamo per un avvicinamento e una comprensione umana e per un rispetto vicendevole, e quindi per una autentica liberazione dell'uomo da chiusure egoistiche, di privilegio e di vantaggio economico e sociale e da umiliazioni- di servaggio inutile e avvilente, di discriminazioni e differenziazioni ingiuste e disumane.
Perchè in tutti e dovunque vi è bisogno di libertà.



in Il Nostro Lavoro: Il NL - Anno 2 - N° 2 Viareggio - Febbraio 1964, Febbraio 1964

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