Il discorso di Betlem

Noi vorremmo innanzi tutto presentarci, ancora una volta, a questo monito In cui noi ci troviamo. Siamo i rappresentanti e promotori della Religione Cristiana. Abbiamo certezza di promuovere una causa che viene da Dio; siamo i discepoli, gli apostoli, i missionari di Gesù, Figlio di Dio e Figlio di Maria, il Messia, il Cristo. Siamo i continuatori della sua (missione, gli araldi del suo messaggio, i ministri della sua religione, che sappiamo avere tutte le garanzie divine della verità. Non abbiamo altro interesse ohe quello di annunciare questa nostra fede. Non chiediamo nulla, eccetto la libertà di professare e di offrire a chi liberamente l'accoglie questa religione, questo rapporto instaurato fra gli uomini e Dio da Gesù Cristo, nostro Signore.
Noi guardiamo al mondo con Immensa simpatia. Se il mondo si sente estraneo al Cristianesimo, il Cristianesimo non si sente estraneo al mondo, qualunque sia l'aspetto che esso presenta e il contegno che esso gli ricambia. Sappia il mondo d'essere stimato ed amato da chi rappresenta e promuove la religione cristiana con una dilezione superiore ed inesauribile. E' l'amore che la nostra fede mette nel cuore della Chiesa, la quale altro non fa che servire da tramite dell'amore immenso, meraviglioso di Dio verso Sii uomini.
Questo vuol dire che la missione del Cristianesimo è una missione di amicizia in mezzo all'umanità, una missione di comprensione, d'incoraggiamento, di promozione, di elevazione; diciamo ancora di salvezza. Noi sappiamo che l'uomo oggi ha la fierezza di voler fare da sé, e fa delle cose nuove e stupende; ma queste cose non lo fanno più buono, non lo fanno felice, non risolvono problemi umani nel loro fondo, nella loro durata, nella loro generalità. Noi sappiamo che l'uomo soffre di dubbi atroci. Noi sappiamo che nella sua anima vi è tanta oscurità, tanta sofferenza.
Noi abbiamo una parola da dire, che crediamo risolutiva. E tanto più noi osiamo offrirla, perchè essa è umana. E' quella di un uomo all'uomo. Il Cristo, che noi portiamo all'umanità, è il «Figlio dell'uomo»: cosi Lui chiamava se stesso. E' il primogenito, il prototipo della nuova umanità, è il fratello, è il collega, è l'amico per eccellenza. E' colui di cui solo si può dire in verità che «conosceva che cosa ci fosse nell'uomo». E', si il mandato da Dio, ma non per condannare il mondo, ma per salvarlo.





Paolo VI


in Il Nostro Lavoro: Il NL - Anno 2 - N. 1 Viareggio - Gennaio 1964, Gennaio 1964

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