Il Dio della solitudine

Nel ricordare don Beppe avremmo voluto intrecciare il suo modo di essere con le elaborazioni di intellettuali come la filosofa spagnola Maria Zambiano. L'accostamento, non facile da accettare per una diffusa diffidenza nei confronti di linguaggi altri rispetto alla presunta facilità di lettura dei gesti concreti della vita, nasceva dal cercare di individuare il "segreto" della vitalità di Beppe, del suo instancabile movimento di "impasto" di persone per affrontare la realtà, a prima vista insormontabìle, del disagio profondo. Ci è sembrato di dover attendere un altro momento di fronte al desiderio vivo di tante persone di ricordare Beppe così come l'abbiamo conosciuto in un incontro che parlasse ancora di lui, attraverso segni, immagini e quel breve tratto di strada percorso con le fiaccole in mano quasi sperando di incontrarlo di nuovo.
Ma la ricerca continua e, in questi giorni, mi sono imbattuto in uno scritto di Beppe che potrebbe rivelare una traccia. Si tratta di un articolo scritto per Lotta come Amore nell'ormai lontano 1978, dal titolo "Il Dio della solitudine".
Il giornale, segno e specchio della vita di don Sirio e della sua piccola comunità, abbandonò un anno prima il formato consueto de "La Voce dei Poveri" (quasi un tabloid) per rivestire panni assai più modesti, simili a quelli di oggi. Ne dà ragione lo stesso Sirio nella premessa scritta ad una lettera "ai fratelli e alle sorelle che vivono in solitudine": "Una delle difficoltà che hanno impedito il mettere insieme queste paginette sulla linea del nuovo corso dato a Lotta come Amore fin dall'aprile del 77 (solo questo numero è uscito nell'anno passato) una delle difficoltà è venuta fuori dall 'esiguo numero dal quale la nostra comunità è attualmente formata e dal suo significato sempre più andato riducendosi.
Pochissimi e nemmeno in condizioni di rappresentare localmente un qualche significato concreto o comunque di ricerca. Siamo realmente niente perché dire poveri è troppo poco, cari amici. Eppure conserviamo la presunzione di avere tantissimo: fin quasi da poter offrire qualcosa. Che cosa non sappiamo bene. Ma, per esempio, che la luce non si è andata spengendo e non siamo disposti a tenerla sotto il moggio. Che intendiamo a costo di tutto, continuare a sostenere, con serenità e forza, la fatica della Fede in Dio, in Gesù Cristo e quindi nell'umanità. Ancora più profondamente per non dire più violentemente, la preghiera ci scuote e ci agita, come vento impetuoso fin dalle radici e impedisce un ripiegamento, almeno per ora, eremitico e tanto meno disincarnato.
E la scelta di Dio ancora percuote nel vivo la carne e l'anima costringendo a camminare, a gridare, se non altro a cercare, come quando si cammina a tentoni, non molto di più che al lume delle stelle".
Beppe accoglie l'invito di Sirio. Sente che là dove l'aratro delle storie umane ha rivoltato il terreno è perché possa rinascere la vita: "E' veramente tanto tempo che non sono riuscito a scrivere qualcosa sul nostro giornale che ora ha, molto più degli anni passati, il sapore fraterno di una lunga lettera fra amici".
La sua condizione di vita è tutta presa dai ragazzi che ha preso con sé: "Sono ormai quasi due anni che non scrivo più e questo tempo è letteralmente
volato via nella macina della vita quotidiana, preso nella rete di vicende molto particolari come sono quelle della vita dei bambini, della loro storia semplice e drammatica, di problemi che non sono niente e sono tutto: è stato come entrare in un fiume in piena e rimanervi travolto, portato via da una corrente tenace e instancabile che non concede respiro né permette riposo. Così ho camminato senza avere il tempo e spesso neppure la forza interiore sufficiente a fare una sosta, a pensare al senso di ciò che si fa, unicamente preoccupato di rispondere con amore e con verità alle richieste della vita che chiama ed esige risposte precise". Prima di essere colui che intreccia persone come i figli di paglia di una seggiola, Beppe si è lasciato intrecciare dalla vita, e, avendo scoperto non la morte di sé, ma la continuità di vita, offre questa scoperta a tutti quelli che incontra e la propone soprattutto ai suoi amici. "In questo cammino c'è continuità, non frattura né contrasto di valori: come nella vita operaia, così ora in questo vivere una realtà domestica e quasi monastica si è approfondita la contemplazione di ciò che sempre più mi appare come il segno del mistero di Dio nella storia, il termine di giudizio, di contrasto e di provocazione di tutto il messaggio cristiano: l'essere cioè Dio il Dio della solitudine delle creature, Dio dei poveri, degli umiliati, dei perduti, dei sopraffatti dalla sapienza e dalla violenza del mondo. Dio della croce e non della spada, del perdono e non della vendetta, della povertà e non della ricchezza, di tutto ciò che è piccolo (come un seme, un po' di lievito, un bambino) e non di ciò, che è grande e considerato importante ...
... Mi sembra che lo Spirito del Signore spinga la mia vita su questo sentiero dove si incrociano le solitudini delle creature e dove non si può non essere segnati in profondità da tutto questo, sentirsi come bollati a fuoco da un marchio che non si potrà cancellare. La mia solidarietà umana e cristiana, va sempre più nella direzione in cui mi sembra si muovono con estrema chiarezza i passi sconvolgenti del Dio vivente. Un cammino che senza dubbio conduce alla solitudine più radicale, a non credere al consenso della maggioranza, alla forza del numero, a ciò che "tutti dicono", alle mode del momento, all'opinione pubblica e così via. Una solitudine sostenuta dal continuo confronto fra la Parola di Dio e le nostre parole, i suoi criteri di giudizio e i nostri, la sua Legge e le nostre leggi, il suo ordine e il nostro: una solitudine in cui cresca una capacità di lotta che si traduca nella capacità di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini perché sulla tavola della storia non venga mai a mancare il pane della vita".
Don Beppe


<Sperare significa essere pronti in ogni momento a ciò che ancora non è nato e anche a non disperarsi se nulla nasce nella nostra vita. Non vi è senso alcuno nello sperare ciò che già esiste o in ciò che non può svilupparsi. Coloro che hanno poca speranza scelgono gli agi o la violenza; coloro che sperano ardentemente vedono e amano ogni segno di una nuova vita e sono pronti in ogni momento ad aiutare la nascita di ciò che è pronto a venire al mondo.>
E. Fromm



in Lotta come Amore: LcA aprile 2008, Aprile 2008

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