Fratel Arturo, Beppe e la Pace

LA NOSTRA DOMANDA A FRATEL ARTURO PAOLI
Pacifista convinto, dopo la morte di don Sirio è Beppe a tenere viva a Viareggio la tematica della pace contribuendo a creare una "Scuola per la pace" e animando, in numerose occasioni, gruppi e comitati.
Ha anche partecipato al teatro popolare messo insieme da don Sirio. E nell'84 ne dà notizia su «Lotta come Amore»:
«È trascorso ormai un anno da quando abbiamo cominciato a "predicare la pace" con lo spettacolo teatrale "Le ombre di Hiroshima" che don Sirio ha scritto. Un annuncio, il nostro, che non vuol far leva sulla paura, sempre e comunque una cattiva madre, ma che vorrebbe scavare dentro le coscienze, parlando al cuore: dove ogni uomo e ogni donna potrebbero ritrovare il senso della vita.
Mi è sembrato, andando in giro nei teatri, nelle chiese, in qualche piazza, di compiere un'opera che assomiglia tanto alla visione di S. Agostino: un bambino che con una conchiglia cercava di svuotare il mare!
Forse anche noi, con le nostre attrezzature da saltimbanchi, assomigliamo a quel bambino della visione. Vorremmo tentare di svuotare il gran mare della violenza organizzata, l'oceano degli arsenali militari, degli eserciti sempre pronti alla lotta, delle centrali del potere politico ed economico, della sottile e ben attrezzata cultura della guerra, con l'assurda speranza che si realizzi il grande avvenimento sognato da Isaia: "Forgeranno le loro spade in falci, le loro lance in aratri e nessuno imparerà più il mestiere della guerra.»

Vuoi dirci Arturo qualche cosa sulla necessità di volere la pace per i credenti e i non credenti?

LA RISPOSTA DI FRATEL ARTURO PAOLI
A me pare che leggendo il vangelo sia evidentissimo che la pace sia al centro del messaggio di Gesù e non solo perché la pace viene cantata sulla sua culla nel momento in cui nasce, ma perché nel suo ministero diretto la pace ha certamente un valore essenziale. Vorrei dire che è stato il solo argomento che ha dovuto con l'esempio predicare all'umanità. Intanto nella sua stessa vita ha dimostrato di uscire dal tempio, non per dimostrare che il tempio non abbia per lui valore come ebreo e come figlio di Dio, ma soltanto per dimostrare che il culto a Dio è perfettamente inutile se gli uomini non si amano, sono in guerra, non vivono pacificamente. E quindi per questa ragione il suo ministero non si è svolto come quello di un sacerdote nel tempio, ma si è svolto sulla strada, nella vita comune, avvicinando le persone di qualunque categoria e di qualunque tipo. E quando è riuscito ad avere una certa udienza, ha mandato 72 laici, non praticamente sacerdoti, a predicare, annunziare, preparare le strade e dicevano come si devono presentare attraverso l'assoluta povertà, bussare alle porte e chiedere ospitalità e finalmente dopo aver indicato loro lo stile che lui vuole che abbiano coloro che sono mandati da lui gli domandano: va bene, saremo accolti nelle case, che cosa allora diremo? E lui risponde con una parola sola: pace! Quando sta per lasciare gli apostoli e andare sulla croce che cosa dice? Cosa vi lascio? La mia pace. E' indiscutibile che Gesù non è venuto direttamente a insegnarci una religione, ma piuttosto una relazione con il Padre. Il Padre non è contento di voi se voi non siete pacifici, se voi non vi volete bene. Che cosa direbbe oggi di questo mondo dove non siamo stati ancora capaci di terminare con le guerre, con i conflitti, dove non sembra che noi cristiani siamo veramente un esempio di gente pacifica che sa convivere. E quindi, dico la verità, a me non impressiona tanto il messaggio che oggi si sente rilanciare, il messaggio che Dio è morto. Dio è morto se non ci vogliamo bene e può risuscitare se noi ci amiamo. C'è una relazione diretta tra Dio e l'uomo, tra il Padre e il Figlio. Il Padre perde di senso nella vita se noi non ci vogliamo bene. E se ci vogliamo bene - ma volersi bene non vuol dire solo un'espressione affettiva, sentimentale. Vuol dire se noi ci impegniamo seriamente ad una convivenza pacifica a cominciare dalla coppia, dalla famiglia, dalle amicizie professionali e di lavoro e finalmente per estendersi alla guerra. Ma ci pensate: questo mondo cristiano non può andare avanti se non affama tutti i giorni milioni di persone. Ma questa è una vergogna che non possiamo continuare a portare sopra di noi. Eppure, lo sappiamo perfettamente che esistono i supermercati perché la gente possa sciupare, perché possa soddisfare tutte le voglie che vengono accresciute ogni giorno. La condizione assoluta, reale, è che noi affamiamo milioni di bambini. Quindi questa nostra indifferenza ci prende le mani e quando andiamo al supermercato per prendere quello che è necessario e quello che non lo è, lo facciamo pagare agli altri. Credo che siamo vicini, molto più vicini - molto più vicini di quello che possiamo pensare - alla resa dei conti. E invece bisogna essere molto seri e pensare che un cristiano quando si sveglia la mattina dovrebbe pensare: o sono utile o sono dannoso, o la mia esistenza è positiva o è negativa, o sto bene al mondo o sarebbe meglio che sparissi subito. E la risposta a questa domanda è una sola: collaboro alla pace del mondo, sono un portatore di pace o sono una persona che mette zizzania attraverso conflitti che non sono riuscito a risolvere, attraverso le mie esigenze che non sono riuscito a calmare? Questa dovrebbe essere la domanda. E penso che non possiamo commemorare i nostri morti, quelli che sono vissuti con l'ideale della pace, se noi per primi non ci interroghiamo che cosa noi possiamo fare perché cresca la pace nel mondo, perché ci sia la pace tra noi.

* * *

Non ho potuto conoscere approfonditamente Beppe perché io sono stato molto - come sapete - fuori d'Italia. Ho conosciuto molto intimamente e sono stato in grande comunione di pensieri, di ideali, di sogni con don Sirio. Non sono mai tornato in Italia senza passare del tempo con lui e senza condividere le sue difficoltà spirituali nel vedere che il mondo, la società, non si attrezzava a migliorare nelle posizioni della pace. E devo dire che ho sentito sempre una grande comunione con loro, questi preti che non si contentavano del culto, ma avevano capito che il culto diventa vuoto, diventa falso se noi non collaboriamo alla pace e all'amore tra gli uomini. Perché l'ideale che Gesù ha portato al mondo non è stato il culto ma il grande messaggio che Dio si glorifica, Dio si esalta, Dio si ama non attraverso i templi, non attraverso i pellegrinaggi, neanche attraverso le preghiere, ma soprattutto collaborando a essere fratelli. Gesù ha un grande progetto che è proprio quello di creare la famiglia del Padre con noi e per noi. E la famiglia del Padre è una famiglia pacifica, una famiglia che si ama. Ma io penso che non è possibile collaborare alla pace nel mondo se la pace non è nel nostro cuore, non è dentro di noi. Viviamo un tempo apparentemente negativo, ma io vedo in questo tempo dei bagliori di luce. Ce ne sono tanti. E il primo è questo che finalmente i pensatori generalmente, quelli che oggi lavorano col pensiero, con la testa, hanno capito che ora basta inseguire le idee per aria come se fossero degli uccelli, degli aironi, che volano in alto. Bisogna avvicinarsi all'esistenza umana, all'esistenza concreta perché l'uomo diventi, lui, pacifico. Perché fino a che l'uomo non è pacificato, fino a che non ha sciolto i nodi che porta dentro, finché non è una persona che vive senza risentimenti, che vive chiusa nel proprio egoismo e non si dà agli altri, è inutile che faccia cortei per la pace, è inutile che vada a scuola di pace, che parli di pace, che scriva di pace, se non ha dentro di sé - fortemente - questa volontà di essere pacifico. E se vuole essere pacifico deve risolvere i suoi problemi e specialmente liberarsi da quello che è il grande tiranno che noi portiamo dentro, che è il nostro io egoista, violento, cattivo. E che bisogna superare. Una cosa che oggi potrebbe sorprendere molto è che diversi pensatori, al contrario di quello che avrebbero fatto un centinaio d'anni fa, oggi hanno cominciato a parlare dell'anima. Che l'uomo ha un'anima e che solo attraverso questa parte del nostro essere - che si chiama anima - si possono mettere in contatto con i grandi valori e cercare di portarli nella propria vita. Bisogna che ogni persona, anche se di condizione umile e semplice, pensi di essere un collaboratore di Dio nel formare la Sua famiglia. Come sempre, anche nelle nostre famiglie umane c'è sempre il ragazzo, il figlio che è più vicino ai genitori e sa che i genitori vogliono che tra fratelli ci si voglia bene. E io penso che il cristiano deve essere una persona che se diviene re chiama il Padre, ama il Padre, gli deve promettere di collaborare perché i fratelli si vogliano bene tra loro. E non solo promettere, ma anche cercare concretamente di realizzare sempre più amore, sempre più amicizia tra gli uomini. Devo dire davanti a tutti che sono contento di essere ritornato a Lucca perché c'è un gruppo di giovani che cresce sempre di più e che veramente cominciano ad essere cristiani. Io non domando prima di tutto se seguono il culto. Qualcuno lo segue, altri no. La cosa importante è che si impegnino seriamente a costruire la pace, prima di tutto nelle loro relazioni personali, nelle relazioni di coppia, nelle relazioni di famiglia, nelle relazioni di lavoro. Questo deve diventare il nostro ideale. E già ne parlavamo in tempi lontani con Sirio e ricordo di avere passato tante volte con lui delle ore parlando di questi comuni ideali di pace. Domandiamoci: l'abbiamo realizzati? No. Ma questo non mi scoraggia. Non sono assolutamente scoraggiato. Non sono assolutamente deluso della mia vita, lo devo dire sinceramente. Non dico che non abbia fatto degli errori e che tutto sia stato liscio e bello, ma vi debbo dire che sono felice, felice di vivere! E sarei altrettanto felice di morire e devo dire che questa felicità deriva dal fatto che ci è stato trasmesso dallo Spirito questo grande ideale della concordia tra gli uomini, della pace tra gli uomini, dell'amarsi tra noi. Questo è quello che ci deve accompagnare per tutta la vita fino alla morte.



fratel Arturo


in Lotta come Amore: LcA aprile 2008, Aprile 2008

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