La posta di fratel Arturo

Arturo Paoli, dall'11 dicembre scorso, si è trasferito presso la casa "Beato Charles de Foucault" a san Martino in Vignale (Lucca). Ecco la lettera che ha rivolto a tutti gli amici.

Cari amici,
verso l'inizio del mese di dicembre spero che la mia "tenda" sia la casa annessa alla chiesa di "S. Martino in Vignale" nei dintorni di Lucca che sarà detta "casa" beato Carlo de Foucauld. Questa insegna vi apre al ricordo di Spello. Di fatto penso a questo progetto voluto dal nostro Arcivescovo Italo Castellani, sul modello di Spello, di cui vorrei continuare lo stile. Casa di spiritualità non vuol dire casa di orazione, anche se vi saranno spazi di orazione e una liturgia domenicale che considero al centro della settimana; spiritualità vuole essere un riferimento chiaro a quel "soffio" (ànemos) che Paolo raccomanda ai cristiani come il centro dell'esistenza. Non rendete triste lo Spirito Santo (Ef. 4,30). Non spengete lo Spirito (1Tess. 5,19). Queste esortazioni dell'apostolo mi indicano chiaramente lo statuto e il senso della casa: scoprire il soffio nella nostra esistenza - liberare il soffio - nutrire il soffio. La casa di S. Martino non invita solo i credenti definiti dalle parole della lettera ai Romani come figli di Dio consapevoli che si lasciano guidare dallo Spirito (Rm. 8,5) ma è aperta a quelli che avvertono l'esistenza e l'importanza del soffio con disagio e forse con angoscia. E questi sono individui, piccole comunità, giovani disorientati in questa società chiassosa e confusa. La casa sarà un "laboratorio dello Spirito" e per questo c'è bisogno di silenzio e di preghiera. I non invitati sono solo coloro che cercano un angolo per le chiacchiere da caffè. Da Spello porto la tradizione di giornate distribuite tra lavoro - preghiera - contemplazione - dialogo. E anche l'assenza di un personale di servizio permanente. I vari compiti vengono distribuiti tra gli ospiti della casa. Il tempo di permanenza viene fissato secondo i bisogni dell'ospite. La notizia di questo progetto vi porrà molte domande, fra cui: perché Lucca? Quale il futuro della casa, considerando il breve tratto di vita che resta ad Arturo? Voltandomi indietro trovo con molta gioia che le svolte della mia vita sono state sempre guidate da Colui che chiamo L'Amico e la sua voce costantemente mi avvisa - obbedisci, poi capirai. E dall'amara partenza per l'esilio sulle navi nel 1953 ad oggi, non ho da pentirmi di alcuna di queste scelte.
I dettagli di questo ritorno a Lucca, sono così luminosi ed intimi che li affido al giornale dell'anima.

PER CONTATTI:
Casa "Beato Charles de Foucault"
via della Pieve di S.Stefano, N° 3771
55100 S. Martino in Vignale (Lucca)
telefono/fax/segreteria telefonica: 0583394475
e-mail: luciomalanca@tin.it; patolomei@tin.it
Fratel Arturo celebra la Messa nella Chiesa di San Martino in Vignale la domenica alle ore 11.15 e il giovedì alle ore 20.30.

Eucaristia mistero del mondo
Non posso pensare all'Eucarestia se non pensando all'umanità che deve accoglierla
Penso all'Eucarestia come mistero del mondo, non partendo da trattati teologici nei quali si trovano delle contemplazioni piene di luce. Qualcosa è tramontato definitivamente, l'impianto su cui è stato posto il mistero della fede e cioè la concezione dell'uomo come individua substantia rationalis naturae. Questo non ha fatto perdere di vista la risposta al perché dell'Eucarestia e cioè una umanità riconciliata e fatta "corpo mistico di Cristo", ma non ha impedito la privatizzazione dell'Eucarestia tanto da farne oggetto di un devozionismo individuale fino alle forme più estreme, di andare a "mangiare l'ostia" come un rimedio che infallibilmente salva. Invece Paolo parlava di Gesù centro dell'universo, centro della storia, il nuovo Adamo da cui discende un'umanità nuova. La meschinità di certe messe quotidiane, e delle celebrazioni ordinate a pagamento per anticipare l'uscita dal purgatorio dell'anima separatasi dalla famiglia, ha collocato il simbolo fra gli atti ordinari della giornata.
Quando ritrovai Paolo nell'impianto scientifico di Teilhard de Chardin la mia devozione a Cristo è cambiata. Sono diventato più buono? Meno peccatore? Non so perché ho perso l'abitudine di guardarmi troppo dentro, di pensare a "farmi santo" secondo il ritornello che tornava sempre fuori nelle riunioni bigotte e che ha cessato di essere la méta da raggiungere. Ho capito che la frase scandalosa di Gesù che invita a "perdere l'anima" per seguirlo è di una verità assoluta. Per Gesù anima e vita non sono come per noi due concetti distinti, ma è una sola realtà. E veramente l'esperienza della sequela ci fa scoprire questo passaggio perché nella visione cosmica del progetto del nuovo Adamo, la preoccupazione per il "tuo personale" futuro, al di qua e al di là della morte, è cancellata per sempre. Non si tratta di discutere su quello che è stato scritto da S. Tommaso in poi sull'Eucarestia, su quello che la Chiesa nei suoi atti ufficiali ha definito del mistero eucaristico. Penso che ogni generazione di credenti che riceve oltre la parola del Maestro, il dono della sua vita da accogliere e da assumere, deve prima di tutto coglierne il senso. E' un fatto così insolito, che uno ci inviti con parole mai ascoltate dalla bocca d'uomo. Tutti coloro che hanno saputo di questo fatto, ne sono rimasti sconvolti. Ad ogni generazione Gesù ha motivo di rivolgere questa domanda: "Anche voi ve ne volete andare?".Perché Gesù capisce che la risposta più logica a questa sua uscita "prendete e mangiate, questo è il mio corpo" è quella di allontanarsi discretamente e rispettosamente, perché non ci si aspettava che questa persona che aveva detto delle cose tanto serie, e aveva dato degli orientamenti di vita così saggi, pronunciasse delle parole così insolite e diciamo pure, ripugnanti.
Io sono partito da lì, dopo quattordici anni di celebrazioni quotidiane dell'Eucarestia, vissute credo con devozione e con fede. Mi trovavo solo nel deserto con una comunità che aveva scelto, a imitazione di Charles de Foucauld, l'Eucarestia come unico riferimento religioso. Avevo letto molti libri per confortare e illuminare la mia fede. E ora ero di nuovo al principio, tra il pubblico della sinagoga il cui racconto ci è stato trasmesso nel capitolo sesto di Giovanni. Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Mi trovavo in condizioni simili a quella vissuta da fratel Charles di Gesù. Anch'io come lui con il simbolo eucaristico come unico argomento della mia fede e contenuto unico della mia spiritualità. Anch'io come fratel Charles attratto e allo stesso tempo allontanato da frequenti e lunghi digiuni eucaristici. Mi sono trovato tante volte sulla porta d'uscita della sinagoga: questo discorso è troppo duro. All'epilogo del cammino considero una grazia l'aver vissuto la mia lunga vita, non posso dire fra le fede e il dubbio, non sarebbero le parole vere, ma fra il bisogno di capire il discorso di Gesù e la gioia di scoprirlo, e poco dopo, sentire che c'è altro da capire, che non puoi fermarti. In conclusione mi accorgo che il vero senso della mia vita spirituale, la sua unità è stato un cercare di capire -raggiungere una intuizione tranquillizzante - perderla, trovando troppo parziale e incompleta la scoperta e riprendere il cammino di ricerca. Forse è stato il mio oscuro itinerario di amore. Vivere con responsabilità e onestà la mia relazione con il Maestro Gesù pensando che ogni sua parola è verità. Tutte le sue parole. "Alzati e cammina". "Questo è il mio corpo e questo è il mio sangue".
Per capire l'Eucarestia secondo me non bisogna partire dal capitolo sei di Giovanni, ma dal terzo di Matteo: la presentazione di Gesù all'umanità: "Questi è il mio Figlio diletto nel quale ho posto la mia compiacenza" (Mt 3, 17). Questa comunicazione di Dio agli uomini della identità di Gesù rappresenta la decisione di Dio, che è per la sua stessa essenza creatore, donatore, sorgente di vita, di portare avanti il suo progetto creazionale. Per parlare un linguaggio più vicino all'uomo d'oggi, l'energia di vita continua a espandersi sulla terra e trova il suo centro di azione nella persona umana che deve collaborare con essa per arrivare ad essere quel figlio, quell'essere pieno che è la realizzazione compiuta e portata a termine del progetto. Tutte le creature dell'universo sono coinvolte in questo progetto creatore, in questo trascendersi progressivo verso una méta, e in un certo senso sono coinvolte in questo processo di crescita aprendosi e accogliendo sempre di più la vita: "La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (Rm 8, 19-20). Per ottenere che l'uomo collabori liberamente a questo processo creazionale, che significa accogliere vita, l'uomo deve essere liberato dagli incagli, dai peccati. Dal grande peccato che è l'origine di tutti i peccati, l'amore di sé, l'io come centro. Penso ai cammelli del deserto che passano pomeriggi interi per il rifornimento dell'acqua. E li vedo alzare la testa, guardare per lungo tempo la distesa del deserto, e poi tornare lentamente a bere. Nella mia preghiera mattutina torno spesso a questo ricordo, perché la mia preghiera è accogliere la vita, bere lentamente questa acqua che zampilla per la vita eterna, che è simbolo della vita eterna.
Voglio riportare una lunga citazione tolta dal libro: "Chi è l'uomo" di A. J. Heschel. "Forse la tragedia dell'uomo moderno è dovuta al fatto che egli ha dimenticato di domandarsi: chi è l'uomo? L'incapacità di trovare la propria identità, di sapere che cosa è l'autentica esistenza umana, lo spinge ad assumere una falsa identità e fingere di essere ciò che è incapace di essere e di non riuscire ad accettare ciò che si trova nella vera radice del suo essere. L'ignoranza riguardo all'uomo non è mancanza di conoscenza, ma una conoscenza errata". E questo è avvenuto anche se noi europei a partire da Socrate abbiamo predicato nei templi del sapere e in quelli della preghiera: "Conosci te stesso". Non è esatto dire che l'uomo abbia poi lasciato di interrogarsi sulla sua identità, ma si è separato dal progetto di Dio "non è bene che l'uomo sia solo". Tutto il percorso filosofico dell'occidente "cristiano" è la storia della ricerca di identità. Questo io umano ha cercato la sua identità volendo rompere la sua dipendenza e tutto questo percorso è segnato da una meta da raggiungere disobbedendo: è bene che l'uomo (l'io) sia solo. Dio ha pensato che mettere sulla terra questo io solo c'era da attendersi dei disastri. Ne vogliamo di più di quelli che sono avvenuti nel secolo passato? E i fuochi sono tutt'altro che spenti. Anche la Parola umile, semplice, chiara inculturata nell'occidente si è spesso rivestita di violenza autorizzata da questo io solitario - io verità . E' vero che Gesù ha detto io sono verità, che vuol dire io coincido con la verità, la mia esistenza è nella verità, anzi è la sola verità dell'essere umano. Gesù è definito come l'uomo-per gli altri. E non un io che vuole fagocitare, distruggere il non-io che è il mio avversario: non dare morte all'altro, ma la vera identità dell'io è essere per l'altro.
Oggi siamo entrati, o meglio stiamo entrando in un altro percorso filosofico. Chiusa al traffico la strada seguita finora che siano credenti o non credenti: vietato l'ingresso. Se la chiesa ufficiale non capisce questo e pretende addirittura ripescare la ratio del medioevo, fra una decina di anni apparirà uno dei segni di violenza dell'occidente cristiano che è stato centro di violenza per tutta l'umanità. Sarebbe addirittura ridicolo e prova di debolezza mentale, non tenere in conto quanto di arte, di bellezza, di valori umani l'occidente ha donato al mondo, quanti segni della tenerezza di Dio la chiesa ha offerto all'umanità. Ma Hitler, Stalin, l'Olocausto, il progetto-globalizzazione che sta in piedi solo sulla fame e la morte di milioni esseri umani? L'occidente cristiano al comando di questi stermini. E' l'io proiettato fuori e al di sopra dei singoli esseri umani, che crea idoli i quali vogliono essere obbediti, e il loro obiettivo è eliminare l'altro.
Non posso pensare all'Eucarestia se non pensando all'umanità che deve accoglierla e vedere le condizioni per questa accoglienza. Credo che quella fondamentale sia il bisogno, la fame, perché l'Eucarestia è accompagnata dalle parole "prendete e mangiate". L'io autosufficiente e assoluto non ne ha bisogno. Ed questa la vera tragedia dell'occidente cristiano. Mi sono sentito sempre uno dei settantadue discepoli inviati da Gesù ad annunziare la pace e per questo so che devo essere verità pace. Dopo la morte della filosofia, annunciata da Lévinas come la vera novità dell'epoca attuale, ascolto con gioia i primi vagiti dell'altro uomo che sarà quello della fame, del bisogno dell'altro e quello solo potrà veramente capire il "prendete e mangiate". Non ho più il tempo di leggere in diretta i grandi pensatori come Husserl altri e mi metto umilmente fra i discepoli di maestri che ci offrono in forma scolastica questo nuovo pensiero che mi entusiasma. Per questo le mie citazioni non sono corredate come quelle di un ricercatore sistematico. Di questo ne parlo con Gesù che voglio annunziare proprio nel suo gesto finale: "prendete e mangiate".
Fuori da questa visione realistica vedo l'Eucarestia spesso profanata non volontariamente. Confesso che celebro l'Eucarestia con la comunità che trovo e lo faccio con coscienza sempre più ferita quanto più diviene cosciente. Il momento in cui m'invade la gioia è quello dell'omelia. Il ripartire la Parola è l'annunzio che la tenerezza di Dio è scesa per sempre fra noi e per noi e la sentiamo come gioia profonda quanto più la compartiamo. Alla fine della vita Gesù ci ha detto: "Amatevi come io vi ho amato" e non amatemi, ma amatevi. La tenerezza di Dio è come acqua di sorgente, non torna indietro. Sgorga sempre più abbondante quanto più numerosi sono quelli che vengono a calmare la loro sete. Il momento che direi problematico per me è quello della distribuzione di quei dischetti leggeri che devo proteggere da correnti di vento, che devo affidare con la formula "corpo di Cristo". Mi tornano in mente i versetti di Tommaso, poeta dell'Eucarestia: "sumunt boni, sumunt mali", la accolgono i buoni e i cattivi, per gli uni è vita e per gli altri è morte. Non mi preoccupano i cattivi che forse (per lo meno alcuni), colpiti dalla Parola e illuminati, potranno appropriasi delle parole che tutti, dal celebrante all'ultimo di coloro che assistono, devono dire: Signore, non sono degno. I cattivi possono fare di queste parole il pianto dell'anima. Ma mi invade la tristezza pensando che i più sono gli indifferenti, gli habitués. E lì come servitore della Chiesa, sento in me un conflitto mai risolto. La chiesa ha messo dei divieti spesso poco comprensibili, e poi ha fatto tanto estensivo e facile l'uso dell'Eucarestia che è usata spesso, troppo spesso, come un calmante delle cefalee. Mi sento meno in conflitto quando distribuisco l'Eucarestia ai poveri del Brasile fra cui alcuni restano seduti, non si alzano a ricevere il Corpo del Signore. So che i poveri non sono del tutto i buoni di Tommaso, ma sono certamente i più vicini al senso dell'Eucarestia "memoriale mortis Domini", ricordo della morte sulla croce. So che io come celebrante sono tanto indegno quanto i miei fratelli dell'assemblea, ma forse ho maggiore coscienza di quello che voleva dire Gesù a noi, all'umanità - prendete e mangiate. Mettete la tenerezza di Dio nella vostra storia troppo piena del sangue dei vostri fratricidi, ininterrotti da Caino in poi, perché diventi storia di fraternità.

Arturo Paoli

Le citazioni sono tratte da:
1. A. J. Heschel "Chi è l'uomo", Milano 1971
2. Emilio Baccarini "La soggettività dialogica", Roma 2002
3. Carmine Di Sante "L'io ospitale", Lavoro 2001



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