Dal Salvador l'autolibro di San Roque

<< Vamos a ver si sirve >>

Questo il titolo del libro che ho ricevuto dopo una telefonata di presentazione da Andrea Marini, prete operaio di Brescia di cui ricordo la frequentazione a cavallo degli anni '60 e '70 quando ancora era viva la comunità di Bicchio e, in seguito, le tracce che lo portarono in San Salvador dove mi riconduce la pubblicazione da lui curata nel 10° anniversario della morte di Cesare Sommariva, prete operaio di Milano che, con lui, ebbe un trascorso di anni, di testimonianza e di lotta in San Salvador.
Nella "nota previa alla traduzione italiana" (pag.7), Andrea Marini rende "Gracias a Dios e alla Virgen del Libro, a Romero, a Cesare e a: <Quando ai povericristi/e, fin da piccoli, si dà veramente la parola, questi la prendono e perfino la scrivono. Perché senza automemoria scritta, non c'è autofuturo tra uguali>". E, aggiunge "Per questo nella pur povera edizione originale erano aggiunte pagine bianche e 'in costa' indicato che l'organo di lettura attiva poi non sono gli occhi, ma la biro: per correggere, precisare, aggiungere in vista del secondo Autolibro...". Due domande concludono la "nota previa" e l'introduzione: "Ma può restare proditoriamente <incompiuto> il vero sogno culturale e pastorale di Cesare perfino nel decennio del suo Transito?" e, "sarà un sogno proibito o meglio un passaggio più etico alla ominizzazione e planetizzazione?". Questi interrogativi ci offrono una prima descrizione dei motivi della pubblicazione di questo "secondo Autolibro", ma essi sono esplicitati subito all'inizio e, dopo aver elencato 14 motivi per cui <non è un libro per>, vengono elencati ben 17 motivi per cui <sì, è un libro per> :
1. Continuare il nostro auto camminare senza Cesare;
2. Mantenere la nostra memoria storica e condividerla;
3. Insegnare la nostra metodologia;
4. Riconoscerci nell'evoluzione scientifica;
5. Stimolare la vita;
6. Svegliare la ragione;
7. Trasformare la persona in soggetto;
8. Cambiare la menzogna con verità;
9. Rianimare ossa aride;
10. Per la maggioranza che desideri conoscere il lavoro della S. Roque;
11. Conoscere la storia del cammino graduale dei 5 settori;
12. Essere auto scrittori della nostra propria storia;
13. Liberare dalla paura;
14. Sbarcare adeguatamente nel territorio;
15. Formare un tessuto umano trasformatore;
16. Insegnare alle future generazioni affinché auto scrivano la propria storia;
17. Parlare la lingua della ragione.
E' ancora nella Prefazione curata collettivamente che vengono raccolti i motivi suddetti: "In questo nostro Autolibro abbiamo deciso di relazionare in forma breve gli accadimenti
che marchiano la storia del nostro territorio della San Roque in El Salvador. Nello stesso tempo vogliamo condividere i fatti che fecero sorgere in modo differente una presa di coscienza nel nostro popolo emarginato in questa periferia sud-est di San Salvador. Originariamente l'attuale Parrocchia San Roque negli anni '60 era una Cappellania chiamata San Martin (de Porres) appartenente alla Parrocchia della Merced, poi accudita da Gesuiti spagnoli, fino ad essere prediletta negli anni '70 dall'allora padre Oscar Romero (come sacerdote nel 1970; come vescovo ausiliare nel 1973 e come arcivescovo nel 1977 quando eresse Parrocchia San Roque).
Qui troveremo l'auto scrittura di molte persone che condivisero in questo camminare vita-sanguelacrime- sorrisi-tristezze-gioie-canti-pensieri... tra ben altre cose che suscitarono vita e speranza in più di vent'anni di lavoro pastorale, avviati da Padre Cesare. Durante il quale l'esperienza della relazione ci ha insegnato che possiamo vivere uniti in un <intertessuto> come una comunità territoriale. Ossia riconosciuto come polo salvadoregno in interscambio con il polo italiano di volontari con due preti operai, i loro gruppi e comunità di origine e di riferimento. Creando così una bipolarità alternativa a quella che propone il sistema.
Da questo punto di vista incontriamo una serie di esperienze che dimostrano che veramente è possibile costruire un mondo senza padroni, né lor signori, né borghesi, nel quale la vita sia possibile per tutti e per tutte, condividendo il pane che si spezza e non si compra discriminati dal sistema.
Nello stesso tempo con la scrittura personale, comunitaria, spontanea e coordinata di più di 200 persone che ringraziamo veramente, fino a effettuare un corso metodologico di auto scrittura. Perché senza auto memoria scritta e insegnata non c'è futuro per le e i poveri, ma invece saremo sempre scritti e insegnati dal sistema. E' per questo che nella stessa Bibbia è <scritto> più di 160 volte il verbo <scrivere>, nonostante più si sappia, più si soffre. E scrivere è soffrire ancora di più".

Padre Cesare... Cesare Sommariva
(vedi Pretioperai, n. 79-80 Dicembre 2008 in www.pretioperai.it)
Cronologia sommaria
1933 - Nasce a Milano l'8 gennaio in una ricca famiglia della borghesia milanese.
1951 - Ottenuta la maturità classica al collegio Gonzaga, entra nel seminario diocesano.
1955 - Viene ordinato sacerdote il 26 giugno.
1956 - E' nominato coadiutore alla parrocchia di Pero. Arriva ad insegnare nei corsi di apprendistato all'Alfa Romeo, ma è successivamente dimesso per il suo insegnamento "pericoloso"; va ad incontrare don Lorenzo Milani subito dopo la pubblicazione di Esperienze Pastorali: con lui continuerà a confrontarsi fino alla sua morte; seguirà con attenzione la pubblicazione di <Lettera a una professoressa>, essendo le condizioni fisiche di don Milani ormai pesantemente aggravate.
1970 - Lascia la parrocchia di Pero per collaborare con don Aldo Farina (fino ad allora assistente diocesano dell'A.C.) a formare una nuova parrocchia nella periferia di Sesto San
Giovanni. Con don Aldo fa vita comune in una casetta del quartiere operaio; a loro si aggiungerà nel
1972 don Giorgio Bersani, che l'anno dopo inizierà a fare l'operaio all'Ercole Marelli con il consenso dell'autorità ecclesiastica (il primo caso nella diocesi di Milano).
1974 - Lascia la parrocchia di Sesto per fare la vita del prete operaio, ospite in una cella del convento circestense di Chiaravalle; dopo un breve periodo in una fabbrica chimica, viene assunto alla Redaelli di Rogoredo, la grande acciaieria nella periferia Sud di Milano: fino alla crisi dell'azienda, seguirà il massacrante orario di lavoro dei tre turni.
1977 - Ottiene di fare vita comune con altri due preti operai, don Sandro Artioli e don Luigi Consonni: nasce la Comunità San Paolo, così denominata per scelta del Cardinale Giovanni Colombo.
1980 - Con la Comunità San Paolo ottiene l'incarico pastorale del quartiere Stella di Cologno Monzese.
1985 - Entra in contatto, insieme al gruppo dei preti operai lombardi, con la componente cristiana più schierata con la lotta di liberazione in Salvador. Essendo ormai andato in
prepensionamento in seguito alla crisi delle acciaierie in tutta Europa, decide di "vedere fino a che punto è possibile" sperimentare anche laggiù le pratiche di intervento culturale in mezzo al popolo, nelle quali la sua esperienza è ormai comprovata.
1986 - Arriva così alla parrocchia di San Roque, nella periferia più povera di San Salvador, negli anni in cui sta crescendo lo scontro tra l'esercito del dittatore Duarte e la guerriglia del Fronte di Liberazione Farabundo Martì (nel 1980 era stato assassinato il vescovo Romero). Incomincia il lungo periodo salvadoregno della sua vita, fatto di molti viaggi di lunga durata, nei quali don Cesare arriva anche a provare le prigioni salvadoregne, per un lungo giorno e una terribile notte.
1992 - L'esercito chiude la parrocchia di San Roque, sospettata di collusione con la guerriglia. Il Cardinale Rivera y Damas nomina don Cesare parroco: la chiesa viene riaperta e la parrocchia, nell'arco di pochi anni, diventa un modello di pastorale: suddivisa in 5 settori distinti, nei quali è altissima la partecipazione del popolo povero; e nei quali don Cesare impegna il massimo possibile dello sforzo di formazione non solo religiosa, ma anche sociale.
1996 - Durante i tre anni salvadoregni in cui è stato Fidei Donum in Salvador, Cesare contrae una seria forma di epatite, che negli anni successivi si aggrava sempre di più. La malattia non gli impedisce di fare ancora per 7 anni la spola tra le due sponde dell'Atlantico.
2004 - Ultimo e definitivo rientro dal Salvador. Cesare sprofonda sempre di più nella sua malattia, ondeggiando continuamente tra una lucida, sofferta depressione e un abbandono radicale al suo Dio. Fino alla morte, il 20 maggio 2008.
Merita di essere riportato, a questo punto, il messaggio che gli amici - salvadoregni e non - di don Cesare considerano il suo lascito testamentario e che rappresenta la conclusione del suo scritto "L'umano educatore". "A conclusione di tutto, possiamo porre le tre leggi dell'umano educatore: 1. non avere paura; 2. non far paura; 3. liberare dalla paura. Dicesi umano educatore colui che sa stabilire una relazione tra umani, senza paura, senza far paura, liberando dalla paura. Il contenuto della relazione non conta. Quello che conta è una relazione nuova, in cui non ci sia nulla che possa avere a che fare con la PAURA. In un mondo in cui i poveri sono oppressi, i prepotenti trionfano, i miti sono disprezzati, occorre realizzare relazioni pulite e dolci, non sporche di premi, castighi, obblighi, non seduttive né sdolcinate, ma relazioni in cui ci siano nuovi incontri, nuovi riti, nuovi ritmi. Per questo noi non saremo mai istituzione, perché ogni istituzione chiede i suoi servi, include ed esclude, e per far questo usa il premio e il castigo e il sapere. Tutte cose che provocano la paura di non essere premiato, di essere castigato, di non sapere. Noi non costruiremo un'organizzazione, noi simo e saremo solo un investimento di desideri di liberazione dalla paura. Il costo di tutto ciò è il pensare, lavorare, muoversi da minoranza, con tutto quello che significa di impotenza e di libertà. Di noi non deve rimanere nulla al di fuori di avere un tempo e per un tempo camminato assieme ricercando libertà e liberazione. Questo patto fra uomini e donne che si riunivano per
dignità e non per odio, decisi a riscattare la vergogna e il terrore nel mondo. Nessuno educa nessuno. Gli uomini si educano fra loro nella costruzione di un mondo di libertà.
Questo è il punto a cui siamo arrivati e lo abbiamo scritto per averlo ben chiaro nel cuore e nella testa".
I due interrogativi iniziali trovano una ragione d'essere nella Postfazione di Andrea Marini che, dopo aver ricordato come Cesare fosse metodologicamente attento ai dettagli, "figuriamoci se avrebbe ceduto sulla qualità della sostanza culturale e pastorale... soprattutto sul sogno della scuola statale Rosa Bianca modello di qualità nel territorio di San Roque per i ragazzi poveri e respinti dalle scuole limitrofe.
E allora come fu possibile che proprio chi in Lombardia conosceva da sempre il vero Cesare abbia potuto credere invece proditoriamente al vicentino Cavallo di Troia-ingravidato d'oltralpeultimo italiano accolto in San Roque, che ipocritamente tentò di spuntare una scuola privata e fondamentalista waldorfiana sulla nostra collina?
Cesare si sentì sconfitto in casa sua, nella partita più sognata, ma confermò che sceglieva di comunicare morendo, e non di morire comunicando, come fa la maggioranza delle persone.

Luigi


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