Un segno impolverato e sepolto?

Ricordo che quando morì mio padre, dal vecchio ospedale - che allora chiamavamo "nuovo" - tornammo a piedi a casa, traversando tutto il centro di Lucca. Camminavamo a passo svelto, mentre mia madre ripercorreva per noi, ma forse più per se stessa, i momenti salienti della vita di mio padre. Le loro scampagnate sulla moto, le partite di caccia e poi la guerra, il rastrellamento e la lunga separazione fino al ritorno di mio padre dal nord in bicicletta dopo la liberazione... "è passato tutto così in fretta... è passato tutto così in fretta!". Molto spesso, quando esco fuori e, seduto su una delle panchine, guardo la Chiesetta e mi viene in mente quel ritorno dall'ospedale dove morì mio padre... "è passato tutto così in fretta". Quante cose! E' tutto un modo di essere che è mutato sotto i miei occhi. Un modo di vivere, di interagire, di lavorare... E la Chiesetta è rimasta lì, lambita dai mutamenti ma ancora uguale a se stessa, con il pavimento della cappella di mezzane rosse cui si sono aggiunte nuove macchie scure o biancastre, ormai senza rimedio perché le ginocchia non sono più quelle di una volta e si rifiutano di appoggiarsi in terra per levarle a spazzola e lisciva. Il pavimento della casa di marmettola verde scuro, logorato dall'uso, si riveste di magnificenza nelle giornate di pioggia, quando trasuda umidità dal terreno e sembra appena appena lucidato a specchio. Nell'arredo poche cose son cambiate e per lo più si tratta di avvicendamenti e qualche tributo alla modernità. Quando esco al mattino presto, mi corrono dentro le immagini di un film che ha quasi 50 anni. E avverto l'inevitabile rallentamento nel ricambio delle mie cellule quando mi sembra di intravedere, nelle prime sfumate nebbie autunnali, la vecchia draga a cucchiai che se la dorme cullata dal moto ondoso, come se fosse sempre lì all'ormeggio, lei sicuramente ridotta a brandelli di ferro da rifondere ormai da decine di anni. Il diporto, bello ricco slanciato luccicante, ha invaso i bozzoni di prepotenza e non è più - da tanto - prodotto sugli scali dei cantieri che vi si affacciano. La vetroresina, ha dapprima reso inutile quell'affaccendarsi di decine di operai intorno allo scafo che nasceva e cresceva come l'abito su misura sul manichino del sarto. Poi le tecniche compiuterizzate di taglio e modellatura dei metalli mutuati dall'industria aeronautica, hanno fatto il resto. Non restava che attrezzarsi per trasporti eccezionali garantiti dalla viabilità autostradale per poter costruire ovunque ciò che Viareggio onorava con i suoi marchi. Ora, nelle provincie limitrofe, ci sono spazi in terra e in mare per costruire barche smisurate che dicono più di ogni discorso quanto i ricchi stiano diventando sempre più ricchi. Ai poveri non resta che la lenta e quasi impercettibile migrazione che da sempre ha portato verso il lavoro e non il contrario, come gli stormi dei gabbiani in eterno volo verso il cibo. Anche il varo di queste imbarcazioni, rifinite a Viareggio e prefabbricate da ogni parte del mondo purché il lavoro costi meno, non ha più l'emozione di un incontro nuziale tra la barca che scivola via sullo scalo unto a "sugna" e l'acqua che l'accoglie tra le sue braccia. E la benedizione del prete e le tradizionali parole augurali, se ancora rimangono, non sono più altro che concessioni a usanze ormai morte, senza alcun richiamo alla vita. Così la Chiesetta vive ancora come un segno impolverato e sepolto in un mondo che non ha più bisogno di sognare perché convinto di poter realizzare ciò che una volta era avvolto nel mistero. Si è perso il valore simbolico su cui si incentrava la comunicazione e la relazione tra umani e con l'intero universo. E la dimensione religiosa, privata dell'indeterminatezza della gratuità, nel contesto umano, è sempre più costretta nell'abito efficiente della carità. Mi sono ritirato dentro le mura della cappella nei pomeriggi afosi dell'estate passata.
Ho cercato di sondarne l'anima. La storia che vi è racchiusa. Uno scritto di Sirio mi detta la traccia perché credo davvero che "la morte non chiude la storia". Per lui - dopo la sua sofferta uscita dal mondo del lavoro dipendente in obbedienza alla chiesa - si era aperto di nuovo un cammino di solitudine e di separazione. E si era aggrappato alla campana e all'annuncio della celebrazione della messa come a un voler esserci ancora dentro quel mondo di vita che in breve tempo l'aveva commosso di un amore viscerale e profondo. Cosa c'è in queste quattro mura, edificate per proteggere la piccola comunità del borgo di mare dalle insidie delle malattie infettive portate da contatti lontani e poi divenuta rifugio per chi non aveva una casa fino a richiamare l'attenzione di un uomo di Dio che desiderava vivere nella povertà del lavoro delle mani come il suo amico Gesù? Di seguito lo scritto di Sirio dei primi anni '60 e ancora a seguire i miei pensieri terra terra, sulla Chiesetta oggi.


Luigi


in Lotta come Amore: LcA Dicembre 2017, Dicembre 2017

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