La solitudine

"Dov'è il tuo Dio?" (Sal 41)

È una parola che fa paura. Apre davanti come uno spazio sterminato, a perdita d'occhio, senza una
pietra dove appoggiarsi, un albero alla cui ombra riposare. Intorno, lontanissimo e irraggiungibile,
l'orizzonte sfocato, abbacinante. Il deserto. Niente e nessuno all'infuori del povero se stesso,
dimensionato di nullità, spogliato di ogni evidenza, abbandonato perfino dalla propria ombra...
Ognuno di noi "sente" questa sabbia riarsa penetrare anche negli angoli più riposti del cuore, a
disseccare la speranza, a bruciare l'erba verde della fiducia e consumare l'ultima acqua del coraggio.
Solitudine nascosta, silenziosa , oppressa e vinta, a resa incondizionata.
[..]
* * *
Il giudizio che si ha nei confronti della solitudine è generalmente negativo: è forse la sciagura più
amara che possa capitare a una persona, uomo o donna che sia.. eppure mi permetto di affermare
che fra le tante realtà da valorizzare, la solitudine possiede una dignità particolarmente disattesa.
Riprendere questa realtà connaturata all'anima umana e che il nostro tempo ha mascherato con il
bisogno consumistico del vivere insieme, l'oppressione dei mezzi di comunicazione di massa, della
facilità meccanizzata di muoversi, riscoprendone i valori e provocandone la creatività, è senza
dubbio lavoro di profondo interesse.
Sempre più e irreversibilmente il nostro tempo (questi ultimi cinquant'anni) ha scavato sotto i piedi
delle voragini, degli abissi capaci d'inghiottire e seppellire perfino l'esistenza. Sono stati affondati
dei vuoti che hanno risucchiato e fatto sparire la serenità, la disponibilità all'attesa, l'insufficienza
del se stesso e il bisogno dell'altro, il sapersi contentare, il rispetto, la collaborazione, la felicità per
le piccole cose ecc.
Non è possibile colmare questi vuoti, perché ogni tentativo di soddisfacimento si risolve nello
scavare un vuoto maggiore. Il consumismo, la tecnologia e quindi la pubblicità, conoscono molto
bene questa disgrazia storica: la creazione dei bisogni è impulso produttivo, creativo di nuovi
bisogni. E il fermarsi o deviare dalla corsa produttivo-consumistica, è ormai impossibile.
O arrendersi, lasciandosi portare dall'acqua del fiume o tentare di accettare la sciagura, scoprendo e
raccogliendo nella perdizione possibilità di salvezza .
* * *
Forse è su questa strada di "redenzione" che la misericordia di Dio può giocare speranze di
salvezza. Sta il fatto, e a questo punto diventa un'esemplificazione, che la solitudine, risultanza di
svuotamento di valori umani, terra bruciata di realtà di rapporti, di comunicabilità, di
comportamenti vicendevoli, può e deve essere recuperata come valore qualificante la persona.
Costruzione del se stessi, liberazione dalla passività, dalla dipendenza, quindi solitudine come
equivalenza di compiutezza del proprio io, spazio indispensabile alla creatività e al muoversi
personale, scoperta e utilizzazione di risorse nascoste, seppellite, da vivere nella gioia di significare
qualcosa, di offrire intorno.
Occhi che vedono, cuore che palpita, mani che offrono, sicurezza di anima che accoglie, silenzio
che parla... una solitudine abitata, fiorita, luminosa. Una solitudine che non è più una solitudine, ma
semplicemente la solitudine.
E cioè lo spazio aperto, senza muri di difesa, fili spinati, confini e nemmeno orizzonti. La
condizione perfetta della libertà dove non c'è assolutamente niente da difendere perché niente da
perdere. Vivere senza timori e paure, apprensioni, angosce, è la solitudine che non aspetta niente,
non pretende, ma anche non dipende. Può accogliere tutto e tutti perché nemmeno un centimetro
quadrato è occupato, ipotecato, possesso in esclusiva. Perché è accoglienza aperta, disponibile,
pronta: può serenamente anche non accogliere niente, in forza di questa apertura e disponibilità e
libertà.
Una solitudine che sa e vuole essere solitudine.
* * *
Forse è ancora da scoprire quanto la solitudine è componente costitutiva dell'essenzialità più
profonda della natura umana. Può essere che l'esatta identità dell'uomo sia riscontrabile nella sua
solitudine, nella misura in cui riconosce, accetta e valorizza il suo se stesso, rifacendosi unicamente
al proprio io. Forse sarebbe importante ritornare alla propria origine, risalire il fiume a ritrovare la
sorgente e conoscere la limpidezza, la freschezza della propria acqua. Perché conosciamo di noi la
complessità, i derivati, gli impasti, via via sempre più artificiali e compositi, ma l'originale, l'identità
autentica, la verginità della nostra immagine, non la conosciamo.
Semplicemente perché non abbiamo accettato la solitudine, premurandoci con ogni cura di cercare
al di fuori di noi non solo il completamento, ma spesso la sostituzione o almeno il surrogato di noi
stessi. Vivere spesso è mendicare. Fino a bussare disperatamente anche quando la porta si ostina a
rimanere chiusa. Allora è proprio la solitudine. Ma non è vero, quella non è solitudine è
disperazione, cioè il vuoto, il senza senso, l'abisso senza fondo. La solitudine non è sconfitta,
fallimento, può essere preziosa provocazione a ritrovare il se stesso e cominciare finalmente a
vivere non d'accattonaggio ma con il lavoro delle proprie mani e col sudore della fronte.
* * *
Forse sono riuscito a capire, almeno mi sembra, l'importanza, il valore biblico della solitudine. Il
deserto è veramente il luogo dove Dio vive allo scoperto, senza veli a coprire il mistero, senza
indicazioni e segni a precisarne la realtà, la presenza. Chi è tutto, e Dio è tutto, è la totalità, non ha
bisogno di niente per manifestarsi. Anzi qualsiasi cosa, anche stupenda, meravigliosa, lo precisa, lo
circoscrive, lo condiziona e allora è meno Dio. Dio: spaziosità totale, illimitato assoluto, reale
presenza e insieme al di là incessante, in nessun luogo e in ogni luogo, infinitamente oltre...
Ma il suo nome più vero è forse solitudine. Tant'è vero che la creazione dell'universo e la sua
esistenza, non ha abitato e non occupa minimamente la solitudine di Dio. Anche la sua realtà
trinitaria non modifica la sua solitudine: l'Essere di Dio è Uno, l'unico e cioè perfetta, assoluta
solitudine.
La creatura umana è uscita da questa solitudine e ne porta l'immagine, la somiglianza, un destino e
un'esistenza misteriosa, un richiamo irresistibile.
La solitudine chiama solitudine... Una visione seria e limpida di Fede dovrebbe rivelarci che la
solitudine che spesso dilaga nel cuore, nello spirito e perfino nel fisico, è mistero scavato nella
condizione umana dall'essere nati dalla solitudine di Dio; dal portarne il segno indistruttibile
nell'anima e quindi dall'esserne implacabilmente richiamati, come misteriosamente risucchiati.
La risposta più profonda che la creatura umana può e deve dare a Dio è offrirgli un luogo dove Dio
possa essere Dio o almeno più totalmente che sia possibile. E questo luogo è la solitudine, il deserto
dove la distesa è a perdita d'occhio, niente si erge a interrompere a occupare, a distrarre. Nessuna
voce o richiamo attira l'attenzione, il silenzio tutto avvolge e ricolma della sua unica voce.
Non è possibile questa solitudine, è vero. Ma è come verità, giustizia, amore, libertà, felicità... non
esistono nella purezza perfetta, nella realtà concreta della vita nelle misure della totalità: eppure
questi valori li cerchiamo instancabilmente e non ci bastano misure limitate.
La solitudine è uno di questi valori, anzi è la terra buona, fertile, adatta alla loro fioritura e
fruttificazione.
Bisognerebbe se non altro soffrire l'impossibilità di solitudine, provarne angoscia e sgomento per il
suo essere sopraffatta. E desiderarlo, uno spazio di solitudine, un momento del suo silenzio, un
accenno della sua pace per esperimentare almeno la sua affascinante misteriosità.
Ma più che tutto, quando per le vicende della vita e non sempre sono strane, assurde, viene scavata
intorno la solitudine e il vuoto si fa nel cuore, dilaga l'anima, deserto arido e sterminato e tutto è
disperazione, allora bisognerebbe lasciar cadere la disperazione, il ribellarsi, l'amarezza che affoga e
abbandonarsi serenamente alla solitudine, scoprirne il fascino e lasciarsi costruire il deserto.
Perché può essere che da quella solitudine stia nascendo il vero noi stessi. Cioè la felicità.


don Sirio

in LcA dicembre 1982



in Lotta come Amore: LcA dicembre 2013, Dicembre 2013

menù del sito


Home | Chi siamo |

ARCHIVIO

Don Sirio Politi

Don Beppe Socci

Contatto

Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455

Link consigliati | Ricerca globale |

INFO: Luigi Sonnenfeld - tel. 0584-46455 -