Riprendiamo il cammino

RIPRENDIAMO IL CAMMINO...
Il giornalino riprende le sue uscite! Per qualche tempo ho temuto di non farcela, ma adesso so che
entro il mese di giugno potrò effettuare la spedizione di questo primo numero del 2013. Ne seguirà
un secondo nell'autunno e altri nel tempo a venire.
Certo, la navigazione procede a vista perché, come dice un proverbio popolare, occorre dare all'età
quel che l'età richiede e quel che resta della chiesetta del porto può vantare solo la giovinezza dello
spirito e non più quella del tempo. Ma andiamo avanti, passo dopo passo, con serena fiducia.
L'indirizzario si è notevolmente alleggerito, sia per l'inevitabile usura dovuta al tempo che passa che
per la scelta di leggere il giornalino online sul sito www.lottacomeamore.it
In ogni caso, cari amici online, se qualcuno vi chiede se è possibile riceverlo anche in formato
cartaceo, la possibilità non solo esiste, ma - da parte mia - è sempre cosa gradita.
Ringrazio tutti coloro che si sono fatti vivi in diversi modi per confermare la volontà di continuare a
ricevere Lotta come Amore sia in formato cartaceo che come lettori online. Ho sentito affetto e viva
memoria di una storia, quella del periodico ma sopratutto quella delle persone che lo hanno
animato. In prima persona per don Sirio, sia da parte di chi lo ha conosciuto di persona che di chi lo
ha incontrato attraverso le memorie di amici e la lettura dei suoi scritti.
E se qualcuno dei vecchi lettori si sorprenderà di non ricevere più il giornalino e lo vedrà ancora in
circolazione, non si senta escluso, ma semplicemente ne richieda l'invio: nessuna volontà di tagli
indiscriminati, ma solo un'operazione di rivisitazione di un rapporto che potrebbe essersi consumato
nelle evoluzioni che la vita prospetta per tutti.
Avrei voluto preparare meglio questo numero, ragionandolo e producendolo attraverso un lavoro di
strutturazione di una tematica di fondo di questo nostro tempo per tanti versi così complesso. Ma il
fiume della vita non sai mai cosa riserva e se sembra procedere pigramente in lente curve e acque
quasi stagnanti, improvvisamente la corrente può prendere l'abbrivio e trasformarsi in rapide
vorticose che non ti permettono altro che cercare di respirare appena è possibile mettere la testa
fuori dall'acqua.
La mia vita, negli ultimi sette/otto mesi si è intrecciata, in modo particolare, fino ad esserne
totalmente assorbita con gli ultimi giorni di due persone diverse tra loro, ma ugualmente care a me e
non solo:
Mirella Mayer
Alla fine dell'estate dello scorso anno la salute di Mirella inizia a vacillare. Sono lontani ormai i
tempi della comunità di Bicchio che abbiamo condiviso quando eravamo giovani, insieme a Maria
Grazia, i due Beppi, Mario, intorno ai "vecchi" don Sirio e don Rolando. Ma dopo, anche se la
nostra frequentazione non è mai stata intensa, non ci siamo mai persi di vista e abbiamo vissuto
insieme i momento difficili degli ultimi giorni di don Sirio, il viaggio inutile di don Beppe verso
l'ospedale di Pisa, la morte di Sauro, suo marito... ma anche tanti momenti di festa e di semplice
incontro che hanno costellato comunque il fatto di vivere tanti anni a Viareggio.
A somiglianza di altre storie simili, la diagnosi del suo malessere si avvita nel giro di pochi giorni
fino ad inchiodarsi nell'impossibilità della scienza medica di intervenire se non per accompagnare
verso l'inevitabile.
Mi resterà nel cuore la messa che abbiamo celebrato la sera di Natale intorno al tavolo della cena,
nella quite e nell'intimità di un piccolo gruppo di persone con lei. Mi pare di aver capito, in
quell'occasione, quello che i libri di teologia non sono riusciti a comunicarmi con altrettanta
evidenza. Come Gesù, avendole provate tutte per far entrare nel cuore del popolo il suo annuncio,
non ha praticamente più parole da dire. E, in una situazione di estrema impotenza, raccoglie dalla
tavola quello che c'è sopra fino a identificarsi in quel pane e in quel vino che resta, mani tese
nell'ultima offerta di sé prima che la realtà si compia sullo sfondo dell'esodo biblico rinnovando la
Pasqua. E quella sera rinnovando la Nascita.
Venerdì, antevigila dell'Epifania, il suo funerale nella chiesa del Varignano, parrocchia in cui lei ha
servito per anni l'impegno della carità e della testimonianza cristiana. Una messa che si è prolungata
per tutto il pomeriggio fino a sera, una lunga veglia espressione di dolce dolore, di affetto, di
speranza.
Di lei ho letto questo scritto, uno dei pochi in tanti anni, pubblicato sul ciclostilato della comunità di
Bicchio, Popolo di Dio:
"Dov'è il Re dei Giudei?". Ci sono dei momenti nella nostra storia personale in cui la domanda dei
Magi diventa la nostra domanda, quasi un'implorazione che ci nasce dal cuore, un grido che esige
risposta.
Di Lui che ci ha fatto intraprendere un lungo viaggio, abbiamo perso ogni traccia, eppure in un
giorno non tanto lontano abbiamo visto la sua luce, la sua stella e dietro di essa ci siano
incamminati fiduciosi; avevamo un segno sicuro per riconoscere la sua casa, il luogo dove era
nato, lì dove si sarebbe fermata la luce avremmo trovato Lui, perchè Lui è l'origine, la fonte di ogni
luce.
E così dietro la luce siano arrivati alla città santa, ci siano fermati un attimo, come per riprendere
fiato, sicuri di essere ormai alla fine del viaggio, e lì nella città santa abbiano trovato uno
sfolgorare strano di lanterne che ci hanno confuso.
E città santa è tutto quello che gli uomini hanno costruito chiamandolo valore, una quantità di
piccole luci che possono confondere gli occhi, grandi sovrastrutture, indorature strane, che
nascondono la vera luce, grandi paraventi dietro i quali c'è solo un gran buio. Troppo spesso gli
uomini chiamano tutto questo: religione
Tutto quel luccichio (ne sono immagine le strade piene di addobbi per un Natale diventato Festa
dei consumi) tutto un insieme di cose ci ha frastornato e ci è sembrato giusto fermarci per cercare
fra tante luci anche la Luce che ci aveva fatto uscire dalla nostra casa, che ci aveva spinto a un
viaggio tanto lungo.
Dio non può essere lontano da questo sfavillar di lanterne, il Padrone del Creato non può non
essere fra lo splendore, le ricchezze, tutta la potenza e la grandezza della città santa, degli uomini.
Dove c'è un po' di luce ci deve essere Dio, ci siamo detti..
Ma la nostra ricerca baldanzosa, sicura, diventata quasi scontata, è rimasta infruttuosa, sterile.
E allora? Allora ecco che ci rivolgiamo a quelli che devono sapere, quelli che hanno in mano i
Libri che parlano di Lui, quelli che sono i custodi della Sua Parola, e poi anche agli altri, chiunque
altro abbia la pazienza di ascoltarci.
Dov'è il nato re dei Giudei? Diteci dov'è che possiamo adorarlo? Ma la risposta che ci viene dal
Vangelo è sconcertante.
Il re dei Giudei,il padrone della luce, il figlio di Dio non è nella città santa, non è tra la luce e i
bagliori, non è nelle strade illuminate, non è nelle chiese piene di splendore, non è nelle case ricche
ben sistemate.
Lui abita in una povera capanna, è lì dove c'è tanta fame, tanta da morirne, è dove si soffre per la
guerra o per le malattie.
Per trovarlo e adorarlo bisogna rinunciare alle lanterne, alle piccole luci sfavillanti, cercarlo nel
buio della povertà là dove solo può risplendere la Sua Luce, la Sua Stella.
E allora il cammino riprende, con un po' meno di entusiasmo forse, ma con maggior decisione, con
una volontà più ferma.
E' la strada che conduce a Betlemme quella che dobbiamo percorrere anche se oggi Betlemme ha
un altro nome, un nome che è quello di una qualunque periferia di grande città, quello di paesi
interi stretti sotto l'incubo della fame o semplicemente il nome di casa nostra, il nome dei nostri
vicini, il nome di una fabbrica o una miniera dove si lavora in condizioni disumane, o il none di un
carcere in cui ingiustamente sono detenuti uomini che hanno il solo torto di aver lottato e
continuare a lottare per la giustizia.
La risposta alla nostra domanda non può che arrivarci da questa strada perchè "tu Betlemme terra
di Giuda".
Solo lì può avvenire che si manifesti a noi ogni giorno il nato re dei Giudei.
Solo lì dopo esserci prostrati e averlo adorato, troveremo il coraggio di offrirgli i nostri poveri
doni, quell'oro, quell'incenso e quella mirra, tutte quelle cose che credevamo belle, finché eravamo
in viaggio e che ora di fronte alla semplicità e povertà di Lui, hanno valore solo in quanto dono
preparato con tanto amore.

don Beppe Giordano
Venerdì 4 gennaio di quest'anno, il funerale di Mirella. La mattina dopo ho accompagnato don
Beppe all'Ospedale di Campo di Marte per una visita dall'ortopedico, visto l'acuirsi dei suoi dolori e
il progressivo impedimento a camminare e a muovere la mano destra. Aveva con sé anche una borsa
per un eventuale ricovero. Secca la sentenza del medico: "non è un problema ortopedico". L'amico
dottore aveva già allertato un neurologo. Nuova visita a seguire. Sembrano problemi circolatori. Sei
ore al pronto soccorso, TAC e osservazione, poi verso le sette di sera il ricovero non più in
neurologia, ma in medicina settore oncologico. Beppe è stremato. Ma, al mattino dopo iniziano due
percorsi: uno medico e gli esami si susseguono agli esami. L'altro fatto da gente vicina e lontana
che viene a fargli visita. E lui, sia pure con crescente fatica, che risponde a tutti, anche al cellulare.
Si fa strada la sentenza e la scienza riconosce la sua impotenza. Trasferimento all'Hospice San
Cataldo, Beppe sa cosa l'aspetta eppure si preoccupa più degli altri che di se stesso.
Progressivamente perde contatto con il mondo che lo circonda e noi tutti da lui...
Un amico suggerisce il modo di portarlo in chiesa, invece che all'obitorio. Lo accogliamo a San
Pietro a Vico, vestito di una bianca tuta da lavoro, come lui stesso ha voluto. Inizia un nuovo
pellegrinaggio di gente a rendergli l'ultimo saluto: il rivolo di persone si coagula, sabato 23 febbraio
sera, per una "veglia" che non sceglie la strada della preghiera strutturata, ma si nutre della
commozione, del dolore per la perdita di un amico, di ricordi che si fanno via via più vividi e
leggeri come se davvero lui fosse presente con i suoi giochetti da nonno saggio e bonario e le
battute che gli uscivano spontanee e frizzanti.
Il giorno dopo, alle 15, il funerale. La chiesa parrocchiale è stipata di gente che deborda anche fuori,
sul piazzale; ma è la "sua" chiesa, lo è da quasi 30 anni, dove altrimenti? La liturgia, presieduta
dall'Arcivescovo, concede solo alcuni brevi spazi finali alle parole del Direttore della Casa
Circondariale di Lucca, al coordinatore dei Preti Operai, alla Comunità parrocchiale, alla famiglia.
Ma la Comunità parrocchiale rilancia un nuovo appuntamento per mercoledì 20 marzo dalle 20.30
in poi, ancora sull'onda dei ricordi, dell'emozione, del dolore e della speranza.
Non si fermerà qui, però, il percorso di memoria viva e di incontro rinnovato con don Beppe. La sua
vita attraversa una storia che non è solo la sua e della gente che l'ha conosciuto. Beppe tocca i temi
principali della storia italiana e non solo, degli ultimi 50 anni: il vento conciliare per la Chiesa e il
'68 per la vita sociale e politica del nostro Paese, le lotte operaie degli anni '70, la strutturazione
dello stato sociale negli anni '80 e, in una dimensione planetaria, lo scontro al limite della follia
atomica USA-URSS, la globalizzazione degli anni '90 e, contestualmente il trionfo del consumismo
e dell'individualismo, fino ai problemi tipici dei giorni nostri che lo hanno visto sempre coinvolto
con passione.
Ripercorre la sua storia personale ci porterà quindi a riprendere in mano la nostra storia e ad
intrecciare di nuovo con lui un dialogo e un confronto, non più solo sull'onda dei ricordi, ma delle
domande più vive della storia di oggi.


Luigi


in Lotta come Amore: LcA giugno 2013, Giugno 2013

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