La fatica di nascere

Cari amici lettori, Lotta come Amore arriverà nelle vostre case - prevedibilmente... - giusto sul finire dell'anno. E' già accaduto in passato, più di una volta. Sembra che ci sia ancora tempo a settembre: eh, ancora tutto ottobre! Poi, all'improvviso, è già novembre e mi rendo conto che il termine di fine anno, considerati i tempi di stampa e preparazione della spedizione, è ormai terribilmente vicino...: allora cerco di correre ai ripari, in qualche modo, in qualsiasi modo..., puff puff!
Questa volta, però, a far girare e rigirare la penna in mano mentre il foglio rimane inesorabilmente bianco, non è stata la pigrizia (di cui sono comunque ben foderato!), ma una vera e propria patologia da "posposizione", Cioè a dire un consapevole e costruito modo di cercare di rimandare il più possibile questo appuntamento. Bah, - direte voi - ce ne può importare di meno dei tuoi tormentoni interiori, noti, del resto, per essere assai poco digeribili. Ma vorrei cercare di comunicare almeno qualcosa del percorso di questi mesi così tanto tanto faticosi per me eppure così immersi nel "nulla" come mai prima d'ora mi era accaduto.
Quelli tra voi che sono riusciti a seguire il contorto filo dei miei pensieri negli ultimi numeri del giornalino, hanno percepito un movimento teso a "cambiare vita". In effetti, ci sono stati dei segnali in superficie. Dallo scorso mese di gennaio non sono più parroco dei Sette Santi, la piccola parrocchia del porto. Ed ormai è "ufficiale" che alla fine dell'anno chiuderò il rapporto di lavoro con la cooperativa, anche se manterrò - per pochi mesi - un esile incarico lavorativo prima del pensionamento nel prossimo luglio. Sono quindi agli sgoccioli del mio "fare" ! Sto quasi per non fare più nulla... se non le funzioni indispensabili per sopravvivere... eppure: quanta fatica!
Soprattutto nei miei confronti. Nel convincermi attraverso continue "rassicurazioni" a lasciarmi andare, a non opporre resistenza, a non far rientrare dalla finestra ciò che riuscivo a far uscire dalla porta. E' proprio vero che cambiare il mondo può avvenire a patto che si cominci da noi stessi, dalla piccola grande zolla della nostra esistenza. E anche un piccolo infinitesimale "spostamento" del proprio io permette di vedere il mondo da un diverso punto di vista in una relazione tutta da scoprire.
Sono a questo punto. E avverto tutta la fragilità della condizione di chi deve di nuovo cercare di succhiare il latte della conoscenza dal seno della terra e ricevere l'annuncio dai cieli che si affacciano su questa vita.
Per mia buona sorte c'è la Chiesetta, piccola zattera ancorata in questo stupendo angolo del porto di Viareggio. Luogo abitato da Sirio, vissuti con Beppe, ancora sognato insieme a Maria Grazia. Di un sogno che non cessa di stupire pur nella nostra differente rispettiva condizione di vita.
E' dalla Chiesetta che voglio "ripartire", assumendo questo "luogo" in tutta la sua interezza di simbolo e di storia vissuta. Di ricerca continua. Sono più di trent' anni che vivo qui, eppure solo ora mi confronto con questo spazio decidendo di abitarlo. Strani giochi di prospettiva per cui si possono passare anni e anni in un luogo, in un ruolo, in un lavoro, il tutto segnato da una precarietà indiscutibile come in una eterna anticamera, "in attesa di..." quello che faremo "da grandi". Ho deciso di "fermarmi", di essere quello che sono: perché solo se fermo posso veramente partire, solo se sono posso divenire.
E mi viene da sorridere di me e del paradosso che incarno se, solo ora che invecchio, accetto di avere bisogno di essere amato e protetto come un bambino. Fino ad avere, del bambino, la stessa ingenua fiducia che porta ad allargare le braccia a tutto ciò che viene incontro.
Quando ho lasciato l'incarico di parroco, a chi mi chiedeva come potermi incontrare di nuovo, rispondevo che avrei acceso una piccola luce alla finestrina che dà sulla facciata, come segnale di presenza in casa e disponibilità all'incontro. Ho preparato una lucernetta e accenderla - anche se non nessuno la nota - mi fa palpitare il cuore perché è come se non mi nascondessi più e rivelassi la mia presenza rinunciando ad ogni ragionevole prudenza: ecco ci sono, sono qui, sono io. Niente, eppure sono io. La Chiesetta non è più la mia tana, dove rifugi armi a leccare le ferite, a cercare una tregua, una distanza dall'usura del lavoro, della relazione, della vita stessa. E' tornata ad essere il luogo di un incontro possibile. Anche se nessuno ne varcasse la soglia. Proprio in questi giorni, salendo sul tetto per pulirlo dai "pinugliori" (aghi di pino) Eduardo si è accorto che il campaniletto "a vela" della Chiesetta è troncato a metà per l'arrugginirsi dei mozzi della campana che hanno schiantato il cemento tra i mattoni "a facciavista". E mi ha convinto a intervenire prima di trovarmelo in casa dopo aver sfondato il tetto. Così, anche la campana potrà ritornare a suonare; non certo per vespri e novene. Chissà...?
Avverto con forza che la realtà attuale richiede di ritrovare, ri-suscitare il vangelo, riportarlo all'origine. Non ai suoi inizi! Perché la diversità di situazione mostra che una tale ricostituzione delle condizioni iniziali non può che essere fittizia... A situazione inedita risposta inedita.
Il ritorno all'origine... non è quindi affatto un ritorno. E' la scoperta, è l'invenzione oggi (con tutti i rischi dell'invenzione) di ciò che è apparso con il Cristo e non può risorgere se non mediante le sue relazioni costitutive, nella situazione attuale.
Dunque: sgombrare il terreno; sgombrarlo dalle problematiche in cui troppo spesso si rinchiudono i cristiani e che sono relative a una situazione morta. Sgombrare e ripulire da tutte quelle preoccupazioni, abitudini, conflitti che impediscono di raggiungere il luogo critico, che è il luogo della nascita.
...Da un lato, accettazione, riconoscimento, adesione.
...Ma al tempo stesso critica, e critica senza riserve, da ogni lato.
...E', questo, un aspetto decisivo, io credo: il cristianesimo del futuro non ha più paura della critica: in esso la forza della fede fa tutt'uno con una ricerca incondizionata della verità. Mai più dei "ma" restrittivi, frasi come "fino a questo punto sì, ma non oltre"! E se questa ricerca porti con sé gli interrogativi più severi - quelli che il credente in affanno chiama dubbi - non si ha più paura di affrontarli. La fede può pensare." (M. Bellet, La quarta ipotesi, ed. Servitium pp. 29-3( Paura? lo ora ho paura; eppure non riesco a distogliere la mente da questo percorso o meglio da questo "movimento" che ci suggerisce Annick de Souzenelle nel libro-intervista di Jean Mouttapa dal titolo "Nel cuore del corpo la parola" ed. Servitium:
"La nostra grande difficoltà consiste nella paura che abbiamo di questa distruzione interiore, che sentiamo bene che sarà il preliminare necessario ogni vera costruzione. Ecco perché molte person giungono alle spiagge della fede solo quando avvenimenti terribili - morte, incidenti, malattia, separazione - vengono a distruggere il castello di carta della loro vita sociale e affettiva. Per quelli, la verità del loro essere profondo appare improvvisamente - e spesso brutalmente - come evidente ed essi se ne accorgono, come Giobbe, che non c'è niente da dire su Dio, ma soltanto essere 1"'Io sono" al quale già partecipavano senza saperlo.
Ma perché attendere che delle lacerazioni venute dall'esterno ci insegnino un giorno chi siamo? Perché attendere grandi sciagure per imparare a lasciare colui o colei che non siamo, colui o colei che sembriamo essere?
La Bibbia, come la vita, ci insegna la necessità interiore di quel verbo che ritorna così spesso nelle scritture: "lasciare". Tutto comincia là e noi dobbiamo fare silenzio per ascoltare, all'interno di noi, nel cuore della nostra carne, nell'intimo del nostro essere, la parola che sentì Abramo:
"Lascia la tua terra... e va' verso di te" (pag.274).


In questo numero...
L'intera seconda parte di questo numero del giornalino l'ho dedicata ad un contributo di don Paolo Farinella, sacerdote e biblista genovese che riprende "l'indignato e sentito appello" che don Dino D'Aloia, sacerdote di Foggia, rivolgeva ai cappellani militari dell' esercito italiano: "strappatevi le stellette o fate carta straccia del Vangelo" (Adista, n° 61/04). Come premette Adista nel n° 66/04, il testo che qui riproduciamo in versione integrale, "torna in maniera circostanziata e alquanto documentata sulla questione già sollevata da D'Aloia, relativa all'inconciliabilità fra messaggio evangelico e vita militare. Inconciliabilità tanto più evidente nel caso di una guerra ingiusta e costruita sulle menzogne come quella che gli Usa e i loro alleati stanno portando avanti in Iraq ormai da un anno e mezzo. A chi, come il frate francescano Mariano Asunis, operativo in Iraq al seguito delle truppe italiane là dislocate, parla dei diciannove ragazzi della Brigata Sassari morti a Nassirya come di eroi morti per difendere la patria, don Paolo risponde facendo valere, contro ogni delirio militarista, la logica del buon senso e lo spirito del Vangelo: "questi poveri soldati di venturetta, se cristiani, avevano un solo dovere: disobbedire e dichiararsi obiettori di coscienza".
Torna attuale così uno dei "cavalli di battaglia" di don Beppe Socci, compagno di tanti anni qui alla Chiesetta. E, nella memoria di lui, non ho potuto esimermi dal riprendere lo stesso appello-denuncia: "strappatevi le stellette!", espresso in numerose lettere aperte e gridato nelle rappresentazioni scritte da don Sirio per una nuova coscienza popolare. Che si tratti ancora di uno snodo centrale della testimonianza evangelica in questo nostro tempo lo dimostra don Paolo.
A seguire questo mio scrivere, troverete un articolo di fratel Arturo, ancora una volta tratto dal numero di luglio di Oreundici. Nel parlare con Arturo abbiamo convenuto di procedere in questo modo perché non sia gravato di un ulteriore impegno, sia pure assai limitato, quando la sua giornata è ancora incredibilmente carica nonostante i novanta e passa anni d'età.
Quindi una testimonianza e una breve scheda della vita e dell' opera di frei Giorgio Callegari, domenicano nato a Venezia e morto recentemente in Brasile, sua terra d'adozione. Imprigionato e torturato al tempo della dittatura, insieme ai suoi confratelli impegnati in una lotta di tutta una vita con il popolo brasiliano, come riconosce anche il presidente del Brasile Lula, amico di frei Giorgio sin dagli anni di lotta contro la dittatura militare, in un messaggio inviato alla manifestazione "Omaggio a frei Giorgio" tenutasi a San Paolo il 13 febbraio 2004: "Poche persone meritano omaggi come il caro Giorgio Callegari. Era cittadino del mondo, sognatore di utopie e seminatore di speranze... ". Traggo questi scritti dal numero speciale della rivista "Revés do Avesso" ("Il rovescio del rovescio") promossa da frei Giorgio e pubblicato in edizione italiana per iniziativa della Associazione "Amici della Colonia Venezia di Peruibe". L'ho ricevuta dai Gabrieli incontrati in quella dolce, umida, serena giornata percorsa da fremiti di pianto e di vita che è stato il funerale di Francesco Tizzani, a Milano, partecipato da tanti amici e dai tanti giovanissimi nipoti:
"Arrampicano il padre, volgono indietro il capo incuriositi dalla cerimonia, fanno dei segni all'aria con le dita. Uno si sposta, gli altri si allineano lo seguono fuori dalla chiesa, in uno stormo muovono come passeri in cortile. Una madre li va a recuperare; vengono ridistribuiti in mezzo ai genitori. Poi di nuovo se ne vanno, frullano allegri e chiacchierini.
Mi piace immaginare che Francesco si libri spensierato, faccia gruppo assieme a loro, come si vede in certi affreschi angeli e nuvole... la loro leggerezza che ci tiene sollevati.
Forse no, ma forse sì.
Rassegnato ritorno alla scrivania."
Alberto

Chiude questo numero un "inno" alla vita di Padre Giovanni Vannucci. Son vent'anni dalla sua morte ma le sue parole sono fresche di speranza e di vita come se fossero nate oggi.
E' finito il lungo tempo del lutto. La zolla di terra della mia vita è brulla e ancora stretta dal gelo, ma il cuore intuisce che il vento è cambiato e soffia leggero, ancora incerto, dal sud, dai piedi, dall'opposto del fare che è il lasciarsi fare, da tutto ciò che non è importante ma suscita meraviglia e sorpresa.
Anche Lotta come Amore cambierà dal prossimo numero la sua veste e non solo.
Grazie alle amiche, agli amici che hanno sostenuto fin qui con amore questa povera ma inesauribile ricerca di sincerità.


Luigi


in Lotta come Amore: LcA dicembre 2004, Dicembre 2004

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