L'uomo e l'altro

Rispondendo a Massimo Ferrario di Milano in "Donna" del 15 febbraio 2003, Umberto Galimberti scrive:
Nel 1992, quinto centenario della scoperta dell'America e anno della (prima) guerra contro l'Iraq, padre Ernesto Balducci scriveva ne La Terra del tramonto (ed. Cultura della Pace) che:
"Nel suo giornale di bordo, in data 16 dicembre 1492, Cristoforo Colombo riporta quanto ha scritto in una lettera ai reali di Spagna: "Con questi pochi uomini che mi accompagnano posso correre tutte queste isole, senza temere che mi venga fatto alcun oltraggio e ho già constatato che tre soli dei miei marinai scesi a terra hanno fugato coi loro solo aspetto una moltitudine di gente. Non posseggono armi, non hanno spirito guerriero, vanno ignudi e indifesi e sono tanto vili che in mille non saprebbero attendere tre dei miei uomini".
L'immagine dell'ammiraglio e dei suoi tre uomini che, approdati ad Haiti il 6 dicembre 1492, al solo apparire mettono in fuga quella moltitudine di "ignudi e indifesi" (erano più di 7 milioni all'arrivo di Colombo, saranno appena 15.600 solo 16 anni dopo!) mi è tornata davanti nell'osservare, sul video e sulla stampa le immagini delle moltitudini di soldati iracheni in fuga disordinata sotto il fuoco dei bombardieri del generale Schwarzkopf.
"Molti soldati iracheni si spaventarono e questo mi divertiva", ha dichiarato Joe Quenn, premiato con una stella di bronzo per aver buttato giù un muro di sabbia e sepolto così un buon numero di soldati dentro la trincea.
Le statistiche dicono che, contro un morto della coalizione occidentale, ce ne sono stati più di mille nell'esercito avversario.
La strage dei mar delle Antille e quella lungo il Tigre e l'Eufrate (la culla della civiltà!) delimitano ai miei occhi cronologicamente e geograficamente l'intera parabola della modernità" . Non mi soffermerei su queste considerazioni se il presente non ce le riproponesse con tanta drammaticità oggi, dove l'altro resta irrimediabilmente un altro da evitare, da scansare quando non addirittura da combattere.
All'epoca di Colombo, a rendere fallimentare il suo incontro con gli indigeni, oltre al condizionamento etnocentrico, per cui l'europeo quando pensa all'uomo pensa solo all'uomo occidentale, oltre alla teologia della dominazione, mascherata dalle false spoglie della teologia della redenzione, c'era anche la qualità culturale degli indigeni che, per effetto del loro immaginario religioso, scambiarono i conquistatori. con gli dèi tornati dopo un lungo esilio. L'una e l'altra cosa fecero sì che l'europeo davanti all'indiano vide uno schiavo, e l'indiano davanti all'europeo vide un dio.
Nessuno di fronte all'uomo, riconobbe l'uomo.
Eppure Colombo salpò dall'Europa quando in Europa si celebrava da un secolo l'umanesimo. Chissà che cosa davvero si pensava allora quando si diceva "uomo", se poi di fronte all'uomo appena diverso dall'uomo occidentale è stato subito carneficina e schiavitù.
E se l'età moderna, che ironicamente ha preso avvio proprio dalla scoperta dell' America, nel secolo in cui si celebrava l'umanesimo, fosse contrassegnata dal misconoscimento dell'uomo, dal suo mancato riconoscimento?".


in Lotta come Amore: LcA maggio 2003, Maggio 2003

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