La posta di fratel Arturo

Il commento di fratel Arturo Paoli si riferisce alla lettera firmata da alcuni sacerdoti delle diocesi di Treviso e Venezia e riportata di seguito.

Cari amici italiani, sono in Italia da diversi mesi e come molti di voi sono in attesa di qualcosa che deve avvenire. Ho viaggiato assai per l'Italia in questo periodo, ma come mi pare avervi detto altre volte, mi muovo eppure sento una stabilità interiore che mi farebbe concludere con un ossimoro - parola in uso - "mi muovo eppure sto fermo". La mia stabilità si chiama attesa, quella del vecchio Simeone come ho scritto altrove. Vi dico subito che attendo questa società nuova che seguono i "no global". Questa formula racchiude gruppi e persone di diverse tendenze, ma quando penso al Vangelo trovo che Gesù segue un solo ideale che è quello del Regno di Dio e ne scopre le tracce nell'incontro con la Samaritana, con Zaccheo, con il centurione.
E ci avvisa che queste tracce si perdono quando è sepolto nella terra come un seme. Ho ripetuto altrove che la mia attesa è quella dell'esploratore, quella di spiare le tracce di un cammino che va verso un luogo sconosciuto, ma certamente esistente. Sa che è in quella direzione, ma non sa quando arriverò. E questo spiega perché mi sia parso importante il fatto di cui voglio parlarvi.
Un fatto che non ha avuto la risonanza che merita. Si tratta di un documento molto breve firmato da un gruppo di preti appartenenti alle diocesi di Treviso e di Venezia che denuncia la situazione politica italiana.
Perché questo documento pare a me come un segno importante del Regno di Dio? Prima di tutto perché è breve. In generale i documenti ecclesiastici disperdono nella loro prolissità prese di posizione chiare vicine al linguaggio di Gesù del sì o no. In secondo luogo perché il prete oggi è alla ricerca della sua identità. Se si hanno soldi si possono organizzare innumerevoli seminari di indirizzo dottrinale-cultuale che immettono nella Chiesa preti, teologi o liturgisti, ma il giovane sacerdote si deve accorgere presto che nello stato attuale il mondo non ha bisogno di loro. Definirei questo momento storico che vive la Chiesa con due definizioni di un pensatore del nostro tempo: "Il processo di progressiva centralizzazione non è come potremmo pensare il naturale progresso della storia, ma piuttosto il suo arresto, perché laddove le parti non si scambiano più nulla tra loro, ma tutte si scambiano con l'equivalente generale, la vita non è delle parti ma dell' egemonia riconosciuta di chi tutte le media" (si può applicare alla globalizzazione politica e al processo di evangelizzazione centralizzato). "Possiamo dire di essere al mondo perché siamo impegnati nel mondo. Il giorno in cui questo impegno cessa, in cui cessa la nostra presa sul mondo, il corpo non si riconosce più non si sente più vivo e perciò si congeda dalla terra" (1).
Nella molteplicità di turismi congressuali per definire l'identità del prete, eccovela davanti. Non occorre scritturare degli esperti dai diversi continenti, produrre documenti che definiscono l'identikit del prete, eccovela la sua identità. Quale la sua identità se non quella di essere la coscienza profetica (etica) del popolo? Questi preti veneti non hanno scritto un trattato di etica ma uscendo sulla porta del tempio hanno osservato il mondo in cui vivono i giovani che si rivolgono o si dovrebbero rivolgere a loro e hanno sentito che non possono continuare a definirsi pastori cioè guide senza avere un'etica, essendo la nostra solo una cosiddetta "ci sono principi di etica civili sui quali siamo chiamati a pronunciarci con un' attenzione non minore di quella riservata ai principi della cosiddetta etica cattolica" .
Il corpo è donato al mondo oppure resta in se stesso in preda alle sue pulsioni e allora ci si può aspettare qualunque reazione: "Gesù ha definito la nostra identità: Dio ha infatti tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito... perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Gv 3,16-17). "Non possiamo stare alla finestra" perché "se cessa la nostra presa sul mondo il corpo può congedarsi dalla terra". I segni dei tempi avvisano il prete che è l'ora di scegliere e si presenta loro questa unica alternativa. O segue il gusto popolare che lo spinge verso 'lo sciamanismo terminando nella palude di un neo-paganesimo avvilente e bottegaio.
O è la coscienza che può rimettere il popolo che perduta ogni fiducia negli uomini, si aggrappa ai santi, al miracolo o alle lotterie, dovunque possa trovare una minima sicurezza per il suo domani.
Cari amici italiani quello che succede sotto la coltre funeraria della globalizzazione mi induce a sperare che la storia umana riprenderà a muoversi, e con lei e dentro di lei, si muove la storia del Regno.
Non vi sembra che sia l'avvenimento questo più importante del nostro tempo?
Vi abbraccio con rinnovato amore
Fratello Arturo
(1) Galimberti, Il corpo, Feltrinelli


La legalità non abita più qui.
Alcune riflessioni in merito alla politica dell'attuale governo
"Il versante etico-sociale si propone come dimensione imprescindibile della testimonianza cristiana: si deve respingere la tentazione di una spiritualità intimistica e individualistica che mal si comporrebbe con le esigenze della carità, oltre che con la logica dell'incarnazione" (n. 51 di Novo millennio ineunte del 2001).
Incoraggiati da questo esplicito richiamo del papa e sollecitati da un tormentato clima sociale che attraversa il Paese, noi sottoscritti, sacerdoti appartenenti alle diocesi di Treviso e di Venezia, intendiamo esporre alcune riflessioni in merito alla politica dell' attuale governo.
Secondo noi è una politica che incide pesantemente su alcuni nodi essenziali della vita democratica e chiama in causa la Chiesa perché faccia sentire la sua voce nel difendere i valori dell' etica civile che riguardano tutti gli uomini, al di là delle appartenenze confessionali o politiche.
La rilettura attenta di un importante documento dei vescovi italiani del 1991 (Educare alla legalità), si rivela di sconcertante attualità in un momento in cui, nello scenario politico nazionale, stanno affiorando grosse contraddizioni che rischiano di minare la pace sociale.
Ci sono scelte governative che rendono sempre più anomala la situazione italiana, anche agli occhi dell 'Europa: una giustizia a base di leggi fatte su misura del potente di turno; un'informazione televisiva di massa, sempre più omologata e in mano ad un'unica persona, che rischia di mettere in pericolo la libertà di pensiero; una scuola e una sanità pubblica in ottica aziendale e privatistica che creano discriminazioni tra gli utenti; una politica per l'immigrazione che schiera la marina di guerra contro barche fatiscenti cariche di persone straniere ridotte allo stremo; una politica del lavoro che parla di libertà di licenziamento a piacere; la liberalizzazione incontrollata del commercio internazionale delle armi; la criminalizzazione di legittime forme democratiche di dissenso politico; l'ingiuriosa accusa al sindacato di contiguità con il terrorismo, ecc. E una situazione che sta avvelenando il clima sociale e politico. Rispetto a tale situazione, ci sembra che il mondo cattolico italiano, pur con lodevoli eccezioni, nel complesso appaia latitante ed estraneo: dai pastori ai cristiani, dalla stampa cattolica alle associazioni ecclesiali, dalla pastorale parrocchiale all'azione dei movimenti religiosi, ecc. Alcuni giornali si interrogano sul perché di questa sostanziale estraneità dei cattolici nei confronti del vasto movimento di opinione pubblica che va crescendo nel Paese in difesa di alcuni valori civili e di leggi che siano veramente uguali per tutti.
Noi sacerdoti avvertiamo che nelle nostre comunità sempre più stanno prendendo forma due atteggiamenti collettivi tra loro contrapposti. In una parte della popolazione si assiste ad un modo di vivere improntato all'arroganza del profitto selvaggio, ad un crescente impoverimento del concetto di "bene comune" e ad un assopimento di valori etici che, fino ad un decennio fa, mobilitavano la coscienza civile.
Nello stesso tempo, proprio per le forti contraddizioni derivanti dal pesante clima culturale e politico imperante, stanno diffusamente affiorando disagi che portano a molteplici forme di protesta e d'indignazione. Come pastori fortemente interpellati da questi "segni dei tempi", abbiamo il dovere di educare i cristiani all'ascolto e al discernimento degli eventi, in forza proprio dei richiami magisteri ali citati.
Come cittadini, siamo convinti di non dover stare alla finestra e guardare la realtà sociale da persone assenti e disinteressate.
Ci sono principi di etica civile sui quali siamo chiamati a pronunciarci con un' attenzione non minore di quella riservata ai principi della cosiddetta etica cattolica.
"Da ciò si vede come - il messaggio cristiano, - lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo, lungi dall'incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li impegna piuttosto a tutto ciò con obbligo ancora più stringente." (Concilio Vaticano II, GS 34).
Sottoscriviamo questa nostra lettera in data 29 aprile 2002, festa liturgica di santa Caterina da Siena, proclamata Patrona d'Italia nel 1939 e Dottore della Chiesa nel 1970.
È una santa che, nel lontano e turbolento XIV secolo, seppe coniugare una profonda spiritualità personale ad un instancabile impegno ecclesiale e civile, a servizio della Chiesa e della società del suo tempo.
Don Olivo Bolzon (Castelfranco Veneto), don Fervido Cauzzo (Peseggia di Scorzé), don Sandro Dussin (Fanzolo di Vedelago), don Silvio Favrin (Castelfranco Veneto), don Gianni Fazzini (Mestre), don Lidio Foffano (Mestre), don Giuseppe Furlan (Castelfranco Veneto), don Giuseppe Geremia (Salgareda), don Elio Girotto (San Liberale di Marcon), don Gianni Manziega (Mestre), don Luigi Meggiato (Mestre), don Claudio Miglioranza (Castelfranco Veneto), don Umberto Miglioranza (Castelfranco Veneto), don Giorgio Morlin (Mogliano Veneto), don Lorenzo Piran (Cavasagra di Vedelago), don Giorgio Riccoboni (Treviso), don Giorgio Scatto (Marango di Caorle), don Enrico Tarta (Cavallino Ve), don Luigi Trevisol (Mestre), don Mario Vanin (Treviso), don Antonio Viale (Vascondi Carbonera), don Piergiorgio Volpato (Casier).
Treviso-Venezia, 29 aprile 2002



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