Le scuse di Durban

In questi primi giorni di settembre la calura estiva è stata rotta da una serie di temporali che hanno lasciato una eccezionale trasparenza nell'aria e una temperatura assai confortevole.
E' stato più facile per me decidermi a raccogliere e mettere insieme questo numero con materiali in gran parte già redatti alla fine di giugno. Era quella la scadenza che mi ero proposto per l'uscita del giornalino. Poi, tutto mi è come scivolato di mano fino alla partenza di un viaggio per la Bolivia, immediatamente dopo le giornate di Genova e del G8. Viaggio concluso alla fine di agosto dopo un continuo peregrinare su e giù tra le terre basse e l'altopiano andino, incontro a persone le più diverse, ad una storia che affonda le sue radici nel mito e nella leggenda e vive oggi come ieri il dramma della terra espropriata e violata.
Ci saranno comunque altre occasioni per comunicare ciò che spero sia seme di vita nella mia recente memoria.
Mentre scrivo, va avanti - nonostante l'abbandono polemico di USA e Israele - la Conferenza sul razzismo indetta dall'ONU a Durban in Sudafrica. L'Europa sembra accettare: "Chiederà scusa per aver praticato lo schiavismo e il colonialismo". Gli stati arabi fanno un sacrificio con riserva sul nuovo testo presentato dal Sudafrica che non condanna più espressamente Israele, ma riconosce l'Olocausto, l'anti-semitismo e, per la prima volta in un documento internazionale, l'Islamofobia.
"Non c'è molto da rallegrarsi", dice l'alto commissario per i diritti umani Mary Robinson perché il documento finale è stato imbottito di compromessi, ma se si arriva alla firma finale questa avrà una importanza straordinaria. Certo molti paesi africani volevano che il razzismo fosse definito "un crimine contro l'umanità" senza riserve né ripensamenti, ma una simile affermazione in modo categorico si sarebbe prestata a milioni di cause di riparazione contro governi occidentali. L'Europa non avrebbe ma accettato una simile versione. Il reverendo Jesse Jackson (leader del movimento per i diritti dei neri d'America) è intervenuto alla Conferenza sostenendo che "le riparazioni" per lo schiavismo da parte del governo dovranno diventare una priorità per i neri americani. L'America di Bush proprio per questo se n'è andata da Durban insieme ad Israele. Da un la voleva proteggere lo stato ebraico, ma dall'alt sottrarsi a qualsiasi affermazione sul razzismo come già aveva fatto nelle precedenti Conferenze del 1973 e del 1985. Ma in fondo, chiedere scusa senza sentirsi alcun obbligo di riparare in qualche modo i danni non è forse una modalità che ci suggerisce la prassi dei vertici della Chiesa come nel caso Galileo? Ritorneremo nel prossimo numero sul tema del razzismo reso ancora più caldo dalla tragedia che sembra non consumarsi mai tra ebrei e palestinesi nella sempre più insanguinata terra di Gesù.
Intanto in Italia il governo cerca sedi alternative a Roma e a Napoli rispettivamente per i vertici della Fao e della Nato. Proprio oggi, per la Fao spunta l' autocandidatura di S. Giovanni Rotondo. L'imponente struttura d'accoglienza dei pellegrini (quasi 6.000 posti letto negli 89 alberghi e 98 pensioni) potrebbe essere messa a disposizione del vertice. Il Sindaco di S. Giovanni dichiara infatti che in novembre (mese del vertice) le strutture recettive sono meno affollate in quanto i pellegrini si recano in massa nel Santuario di S. Maria delle Grazie dove sono custodite le spoglie mortali del beato Padre Pio. Una candidatura in concorrenza con le terme di Chianciano e Montecatini. Un altro miracolo?
Per quanto riguarda il vertice Nato a Napoli, Tonino Drago (tra i testimoni storici del movimento non violento in Italia) in una corrispondenza mi fa notare che l'incontro Nato avverrà proprio nei giorni delle "5 Giornate di Napoli" del 1943; cioè di quella che è stata l'unica grande vittoria popolare contro i nazisti. Non c'è episodio più significativo che distanzi in maniera più drastica quello che rappresenta una macchina bellica apparentemente superumana e invincibile dalla capacità popolare di ribaltare a proprio favore i rapporti di forza militari mediante una difesa con minimo armamento. Sono state le "5 Giornate di Napoli" come l'enorme atto nonviolento dei 600.000 soldati semplici e dei 20.000 su 28.000 ufficiali internati nei campi di concentramento in Germania, i quali si rifiutarono di collaborare con la Repubblica di Salò o con i nazisti, a legittimare tutta la Resistenza come grande rivolta morale, prima che guerra di classe o peggio guerra civile.
In questa luce - conclude Tonino - l'appello delle donne, apparso sul Manifesto, a rappresentare teatralmente l'opposizione alla Nato e all'ordine economico di cui essa è il gendarme sui popoli, costituisce una precisa indicazione tecnica per una strategia di lotta, che per fortuna questa volta non ha da ribellarsi varcando linee rosse, ma ha da esprimere con chiarezza un obiettivo politico alternativo preciso, che è dato da una difesa solo difensiva e anche non violenta (così come dice la Corte Costituzionale e la legge 230/98) e che è sostenuto già da almeno il mezzo milione di obiettori di coscienza che ci sono stati in Italia dal dopoguerra.
Sulla stessa linea, troverete nelle ultime pagine di questo numero una corrispondenza di Enrico Peyretti (anche lui testimone della nonviolenza). Una riflessione che intitola "La tragedia di Genova". Contiene notazioni che corrispondono alle impressioni che mi sono portato via nel viaggio e, comunque, rappresenta una riflessione articolata, utile per confronti e approfondimenti sugli obiettivi e le strategie di questi grandi appuntamenti. Riporto anche la cronaca e alcune riflessioni sull' incontro internazionale dei pretioperai che si è tenuto a Strasburgo per Pentecoste, ai primi di giugno. Giorni sereni e tutt'altro che rassegnati o stinti dal passare del tempo e dalle stanchezze dell'età che avanza.
La forza di chi sa d'aver seminato un seme buono nascosto nella storia degli umani che continua a resistere a chi spreme dalle esistenze "marginali" sudore e sangue.
Riporto poi l'ultimo scritto di Grazia Maggi per Lotta come Amore, prima della sua morte ormai quasi un anno fa. Scritto che termina con una invocazione che ne raccoglie tutto il sogno e la forza: "O Dio! O mio tutto! O vita!".
La posta di fratel Arturo Paoli fa seguito ad un incontro come sempre semplice ed intenso nella comune ricerca dei fili con cui intrecciare vita e fede. Nell'appartamento accogliente dei Colombini con Loriano che ha tenuto banco dalla sua sedia a rotelle raccontando antichi e sempre nuovi amori.
Ringrazio, infine, tutti coloro che in questi mesi hanno voluto dirmi parole di incoraggiamento e sostenermi in questa fatica lieve e gioiosa del giornalino. Vorrei tanto rispondere a tutti ... ma la mia pigrizia è invincibile! Un abbraccio a tutti quanti.


Luigi


in Lotta come Amore: LcA ottobre 2001, Ottobre 2001

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