La posta di fratel Arturo

Nel trattare il tema del giubileo, vorrei partire da una frase del vangelo di Marco: "Convertitevi e credete al vangelo". E' la sintesi della vita cristiana! Le parole "credete al vangelo" invitano chiaramente a fare sì che la nostra vita cristiana sia tutta una sequela di Gesù. Ma l'invito "convertitevi" è la grande proposta che Gesù ha fatto al suo tempo: "cambiate di mentalità". Non voleva distogliere la gente dalla vita religiosa, perché Gesù sa di parlare ad un popolo profondamente religioso. Voleva proporre una maniera nuova di vedere la loro stessa vita religiosa.
E io credo che anche oggi sia necessario questo: non tanto pensare a nuove forme di vita religiosa, quanto prima di tutto affrontare un cambiamento nel modo di vedere la vita religiosa stessa proprio per il fatto di voler essere fedeli al vangelo.
Mi preoccupa molto, ve lo dico sinceramente, il fatto che noi siamo dentro una forma di vita, una cultura, una civiltà che globalmente può dirsi cristiana. Dagli Stati Uniti alla Russia, tutto questo mondo, quello europeo, quello nord e latinoamericano, può essere definito come mondo cristiano perché non solo è stato evangelizzato durante i secoli, ma ha assunto visibilmente la cultura cristiana. Evidentemente entrano in gioco anche altri elementi, ma sappiamo che quello che sostanzialmente informa la nostra cultura è il cristianesimo.
Non per nulla gli americani mettono sul dollaro il nome di Dio: "Confidiamo in Dio". Non so se è una mezza bestemmia, ma, in fondo, essi vogliono dire che la loro prosperità, la loro grandezza, il dominio del mondo lo devono al fatto di essere cristiani. Ora questo Occidente cristiano per ragioni diverse e anche positive evidentemente, è diventato il centro del mondo.
Ma questo mondo cristiano è veramente un centro di pace, di fratellanza, di giustizia, o invece è piuttosto un centro di ingiustizie, guerre, disuguaglianze abissali? Mi duole rispondere che oggi, in modo particolare, il centro di tutte le guerre, della ingiusta distribuzione dei beni, di tutto ciò che è causa di sofferenze che il terzo mondo vive quotidianamente, è proprio questo nostro Occidente cristiano. Dobbiamo assumercene la responsabilità. In questo ultimo secolo non abbiamo fatto altro (certo! abbiamo fatto anche molte altre cose!) che organizzare guerre qua da noi e fuor di noi. Praticamente le guerre che si sono succedute senza tregua in questo secolo, hanno avuto tutte come centro l'Occidente cristiano. Non possiamo sottrarci alla verifica di un bilancio e domandarci: perché questo? Perché quell'Occidente che ha sicuramente delle grandi risorse e dalla sua grandi successi tecnici, scientifici, artistici e una storia - possiamo dirlo - gloriosa, è diventato a poco a poco centro di tanta realtà negativa?
Oggi con la globalizzazione, una specie di centralismo di tipo economico che ha in mano la distribuzione dei beni della terra.
Il cristianesimo, come è stato predicato e come è vissuto e come è trasmesso entra in qualche modo in questa evoluzione dell'Occidente? C'è qualcosa che non va nella nostra visione cristiana, nella nostra maniera di vivere il cristianesimo, o invece questo è avvenuto per fatalità o per altre cause del tutto diverse? lo credo che una responsabilità abbastanza grave ce l'abbiamo. Proprio noi, nella nostra maniera di concepire e di vivere la nostra fede. Ed è importante precisare questo per poter dare seguito all'invito di Gesù, alla conversione, al cambiamento di tutta una mentalità.
Che cosa è successo? La vita di Gesù, l'annuncio del vangelo di salvezza è stato trasferito per necessità storiche che ora è inutile illustrare, dal humus originale e vitale della cultura ebraica ed è entrato in quella greca, nella culla della cultura occidentale. Essa è caratterizzata da due aspetti: il dualismo e cioè la separazione tra la terra e il cielo, l'anima e il corpo, ecc. e un aspetto ancora più grave e sottinteso sempre: una filosofia che si può chiamare la "filosofia del soggetto", dell'unico, del "uno". La filosofia greca ha seguito sempre questo itinerario: ridurre tutto quello che è molteplice, differente, al "uno", per poter poi spiegare il molteplice partendo dal "uno". E questa è sempre stata la chiave della negazione di quello che è "altro", per cui noi pensiamo di essere la civiltà, l'unica religione vera, il centro del mondo. Questo anche nella forma più pura dell'Occidente cristiano che è la missione. I missionari che sono andati in Africa e in America Latina cinquecento anni fa, hanno condotto una vita eroica spinti dal desiderio di annunciare il vangelo e soprattutto di salvare le anime, sapendo che la persona non battezzata si perde, va all'inferno. Però nello stesso tempo che portavano il vangelo c'era dentro l'aspetto negativo della nostra cultura e cioè negare l"'altro" che è l'assolutamente barbaro, l'inferiore, quello che non ha ancora raggiunto il livello dello sviluppo. Questo ha creato l'atteggiamento colonialista di superiorità. L'altro deve essere negato, trasformato fino a diventare "uno" perché solamente se diventa come me allora può essere salvato. E' questa la molla fondamentale che sta dentro la nostra cultura. Questa riduzione all'uno, questo centralismo, questa tendenza al soggetto è quello che nei secoli ha prodotto la struttura politica e quella economica che corrispondono a questo schema: da lì è venuto fuori lo Stato assoluto di Hitler e Stalin e oggi è venuto fuori il Mercato e la globalizzazione.
A danno sempre dei poveri.
Recentemente proprio a Firenze economisti di tutto il mondo hanno illustrato come il sistema della globalizzazione esige per poter funzionare la morte di milioni di persone, esige che si fabbrichino armi, esige il commercio delle droghe.
Quando facciamo i nostri cortei e le nostre processioni con i cartelloni "abbasso la droga" "via le armi" ecc. tutto questo fa ridere! Possiamo farle, dobbiamo farle, però con la consapevolezza che esiste una struttura, un meccanismo che fatalmente, per il suo stesso funzionamento, ha bisogno necessariamente di impoverire e di far morire. E la molla scatenante è proprio questa nostra cultura che ha portato a questa unificazione e a questa dominazione del "uno" a danno del molteplice.
Quando si sente dire che aumenta la ricchezza nel mondo bisogna pensare che sono i pochi a diventare più ricchi. I popoli della terra non guadagnano niente da tutto questo.
Mi viene in mente Foz do Iguacu, dove abito, in Brasile. La maggior parte delle donne vanno a lavorare negli hotel frequentati dai turisti tedeschi, giapponesi, ecc. perché Foz è un luogo turistico. Queste donne vedono passare dei vassoi pieni di carne, di viveri di tutti i tipi, ma se vengono sorprese a mangiar anche solo un pezzettino di pane vengono immediatamente licenziate. La regola è che non devono toccare assolutamente nulla. I grandi vassoi che tornano dalle tavole della gente nauseata e supersazia vanno a finire in una specie di grande vasca che serve per alimentare i maiali.
In tutti questi paesi si vede questo contrasto: una grande crescita economica, un enorme guadagno, ma la gente è sempre più povera perché queste grandi ricchezze sono prodotte dalle multinazionali. Gli stati non c'entrano assolutamente niente e la loro politica è impotente.
Può fare qualcosa la religione, la fede?
Sì, a patto di ascoltare l'invito ad una vera conversione.
Il cristianesimo nel traghettamento dalla sua culla ebrea alla cultura greca, è passato da una visione in cui prevale l'obbedienza a Dio a una visione essenzialmente razionalista e cultualista. Se voi pensate alla nostra fede, alla nostra religiosità, vi rendete conto che è prevalente la teologia, la catechesi, la dottrina, il culto, le messe, le processioni, i giubilei, i pellegrinaggi ecc. ecc. Mentre nella visione ebrea quello che è prevalente è l'obbedienza al progetto di Dio.
Il progetto di Dio in sé non è la chiesa. La chiesa è l'organo attraverso il quale si trasmette, si realizza il grande disegno di Dio. Gli occhi di Dio, non sono rivolti direttamente alla chiesa, ma al mondo. E il mondo deve essere trasformato da un mondo di conflitti, da un mondo di odio, di guerre, in un mondo di giustizia e di pace. E' questo è il grande compito della chiesa e dei cristiani: un dovere di giustizia.
Nell'anno del giubileo, si è parlato sì dell'estinzione del debito, di aiutare un po' di più i poveri, si è parlato... però praticamente, se ci pensate bene, tutta la nostra attenzione è concentrata sui pellegrinaggi e sulle indulgenze, sul miglioramento spirituale ecc. ecc. e non è assolutamente vero (almeno io me lo domando) che sia cresciuta in noi la fame e la sete della giustizia. Viviamo in un mondo cristiano dove ci sono anime sante e le canonizzazioni, le santificazioni e beatificazioni, si moltiplicano ogni giorno di più: siamo tutti santi! E viviamo, nello stesso tempo, in un mondo che è sempre più crudele e sempre più ingiusto.
Assistiamo alla TV a guerre vicine e lontane. Che c'entro io? Non ho niente a che fare ... Assistiamo alla fame di milioni di persone, sappiamo benissimo che esistono migliaia di bambini denutriti ... Che c'entro io? Sentiamo un certo disagio interiore, ma non sapremmo neppure che fare perché non ci è stata data la responsabilità degli atti. Essere cristiani vuol dire essere responsabili degli altri, del mondo. E noi invece abbiamo distrutto tra poco tutta la terra. Abbiamo contaminato l'aria, contaminato le acque perché tutto è nostro, possiamo fare quello che vogliamo, assolutamente. Non ci sono limiti perché l'intelligenza è libera assolutamente e nessuno ci domanda conto di come usiamo i capitali e li spostiamo da un punto all'altro del globo. E andiamo a ritiri spirituali, andiamo a pregare, passiamo settimane intere nel sentire prediche...
Vi hanno mai fatto domande sui vostri affari? Su come usate il denaro? Su come vivete e se sentite la responsabilità degli altri? Vi hanno parlato semmai della castità, della preghiera, ma non di quello che è fondamentale perché tutti i nostri discorsi sulla vita si decidono nell'uso della ricchezza. E' attraverso i beni simboleggiati dal denaro che noi diamo la vita o che togliamo la vita agli altri. E' attraverso gesti concreti. E questo non ci è stato detto, non ci è stato insegnato e non lo viviamo: noi viviamo una fede senza etica che non ci aiuta nel comportamento del nostro vivere quotidiano.
E' questa la nostra conversione: essere responsabili degli altri. Non dobbiamo aiutare perché abbiamo un buon cuore, ma perché ci sentiamo responsabili. E quando vediamo una persona che è affamata dobbiamo sentirei colpevoli perché si è mangiato troppo, perché si hanno troppe cose nella casa. C'è una responsabilità, c'è una relazione diretta gli uni con gli altri. lo non vi posso dire di più perché so benissimo che tutto questo nella pratica diventa difficile. Però la cosa che possiamo fare è unirei e cominciare a pensare alla nostra responsabilità. Noi collaboriamo a questo mondo che viene dipinto in questi giorni a colori così foschi, così terribili. Si è parlato dell'infanzia con delle cifre e delle statistiche che fanno rabbrividire. Si è parlato della povertà che aumenta a passi giganteschi, che non è più solamente quella di una certa classe sociale perché è una povertà che avanza e sta raggiungendo il ceto medio. Tutto questo non ci può lasciare indifferenti: tutto questo avviene anche perché noi viviamo una fede che è staccata dalla vita,
una religiosità che non ha niente a che vedere con la nostra vita. Una religiosità che cerca di obbedire alle leggi morali, ma che non assume la responsabilità di vivere in mezzo agli altri.
Sapete che cosa dobbiamo fare per vivere in una maniera diversa? Immetterci in una cultura che sta lentamente avanzando: la cultura dell'altro. La mia identità non è unicamente mia: mi viene data dall'altro, dalla responsabilità verso l'altro. Tutta l'umanità che è ora vittima di questa distruzione dovrà pensare ad una società nuova che deve essere più solidale, più responsabile, realmente fraterna. La fatica di pensare un mondo nuovo non come una cosa inutile, ma come precisa responsabilità anche di noi credenti, come la nostra risposta a Dio. Vorrei che questo giubileo non passasse in feste religiose, ma soprattutto fosse un perdere di vista il nostro io. Non pensiamo più alla vita in funzione del nostro io perché è da lì la rovina del mondo. Cominciamo a pensare in funzione degli altri; dimentichiamoci di noi e coglieremo finalmente la felicità del vivere. Cominciamo a pensare agli altri, a proiettarci negli altri, a pensare la nostra vita in funzione degli altri e vedrete come ei sentiremo bene, come sentiremo che la vita è bella proprio quanto più è impegnata, quanto più è responsabile, quanto più è rivolta agli altri.
Apriamo i nostri orizzonti verso le grandi sofferenze del mondo, i grandi bisogni del. mondo e cominciamo pensare in maniera più grande. La nostra vita è troppo triste, troppo malinconica perché è troppo piccola, troppo meschina. Non vale la pena di vivere per il nostro io, per l'io del vicino. Apriamo gli orizzonti: questo sia il risultato del giubileo e speriamo che per noi sia davvero così.
Fratel Arturo


in Lotta come Amore: LcA luglio 2000, Luglio 2000

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