Apriamo la trappola: la guerra non è inevitabile

Giuseppe Socci, "Chiesa della pace o chiesa delle stellette?", Edizioni Qualevita 1986

Lo spunto per queste riflessioni ci è venuto da una lettera pastorale, scritta in occasione del Natale 1985, dall' Arcivescovo Ordinario Militare per l'Italia, mons. Gaetano Bonicelli. Questa lettera è indirizzata ai 300.000 giovani della leva militare annuale e anche agli adulti, ufficiali e sottufficiali di carriera, che vivono la vita militare in tutte le caserme d'Italia.
E' una lettera che merita di essere letta e meditata con. attenzione, perché essa offre un panorama molto preciso e significativo di come si muove l'impegno pastorale all'interno delle Forze Armate da parte dei sacerdoti che svolgono "un ministero di pace tra le armi" per costruire giorno per giorno "una Chiesa con le stellette" .
... "Le cose comandate, come la corvèe in cucina, nei bagni, nei cortili, nelle camerate... le snervanti ore di guardia, che sembra non passino mai. Perché non motivarle interiormente con la convinzione che dalla vostra fatica ne trae sicurezza e serenità tutta la comunità, a cominciare dalle vostre famiglie e dai vostri cari?". La caserma diventa così - agli occhi del vescovo militare - una palestra dove i cristiani possono trovare l'occasione per una "autentica crescita nello spirito, non evadendo ma vivendo fino in fondo" questa inevitabile esperienza.
Si potrebbe riassumere questa concezione pastorale con l'antico proverbio popolare "fare di necessità, virtù"; ma a noi rimane difficile, per non dire impossibile trovarne la giustificazione in una sola delle pagine del Vangelo.
...Perciò, anche se non siamo più tanto giovani né tantomeno militari, poiché non ci. risulta, (almeno per ora) che nessuna voce si sia levata contro la pastorale .del vescovo ordinari: militare per l'Italia, lo stiamo facendo noi.
Questo perché siamo convinti, essa rappresenti uno dei tanti elementi di quella TRAPPOLA PER TOPI, nella quale, un vescovo cristiano collabora - con paterne esortazioni ed inviti - a far restare ingabbiati tutti coloro che avrebbero diritto a sentirsi aiutati nella scoperta, sia pur faticosa e coraggiosa, del "sogno di Dio" nella storia degli uomini. Poiché crediamo che questo sogno ha preso spessore storico nella vita di Gesù di Nazareth, non possiamo accettare con tranquilla coscienza la visione pastorale, che emerge chiarissima da tutta la lettera in questione.
Ci spieghiamo meglio: non siamo convinti. che ci possa essere una "Chiesa con le stellette".
Sappiamo benissimo che ci sono uomini (e in alcune nazioni anche donne) che si trovano, con le stellette indosso: o perché le hanno scelte volutamente o perché vi sono costretti dalle leggi degli stati. Siamo certi eh fra di loro vi sono persone buone, oneste, sincere, che cercano la verità ed il bene comune. Giovani e meno giovani, di leva o di carriera, che non sono "guerrafondai", che cioè non sognano la guerra come momento di gloria e di affermazione personale. Certamente non tutti sono "Rambo"! Certamente, anche se sono passati quasi 20 secoli dalla venuta di Gesù nella storia, anche nei nostri tempi pensiamo vi siano degli "uomini in armi" che si pongono dei problemi di vita e di comportamento, come i soldati che andavano ad ascoltare Giovanni il Battista (a cui accenna mons. Bonicelli).
Ma detto questo, se si vuoi parlare di CHIESA, cioè del Popolo di Dio nato dal Sangue. di Cristo e dal Soffio dello Spirito Santo chiamato a dare testimonianza dell' Amore del Padre nel tessuto della storia, allora il discorso deve essere un altro.
Ci spieghiamo subito facendo ricorso non alla Summa di S. Tommaso, ma ad un chiarissimo proverbio popolare: "tant'è ladro chi ruba, che chi para il sacco".
Spazzare bene le camerate, pulire con amore i bagni, prestare servizio di sentinella con coscienza collettiva, avere la divisa in ordine, marciare con forza e ...sparare ben dritti: tutte cose che. possono andar benissimo. Ma se questa è la "base" da cui partire per costruire la comunità cristiana all'interno della macchina militare la questione diventa molto equivoca.
E qui tentiamo, si fa sempre per dire, di prendere il toro per le corna. Prendiamo, dalla lettera pastorale un pensiero che ci sembra particolarmente adatto ad andare al cuore del problema. La prima cosa da fare, dice il vescovo ai giovani, è di "professare apertamente la vostra fede. Umile perché tutti siamo deboli e possiamo sbagliare. Tutti abbiamo bisogno di comprensione e di perdono. Ma, come ci invita a fare il Papa, non dovete aver timore a spalancare le porte a Cristo. Il paradosso del nostro tempo, voi lo sapete è proprio questo: più o. meno tutti si dicono ancora cristiani, ma senza il coraggio di essere coerenti. Come si può credere in Dio e bestemmiarLo? Pretendere la sua protezione e irridere i suoi comandamenti?" .
A, questo punto, contrariamente a ciò che ci si poteva legittimamente aspettare, le conclusioni di questo paragrafo calano, nella vita di caserma, della scuola militare, dei reparti, dello spaccio, della sala convegno e della dura vita di campo. Per un invito molto preciso ad essere "chiesa", comunità cristiana all'interno del proprio ambiente. Ci è sembrato doveroso "correggere il tiro" del discorso: pensiamo che poteva essere il punto buono per entrare nel vivo dell'argomento e tentare di aprire quella che noi chiamiamo «LA TRAPPOLA».
Che a nostro avviso consiste in questo: non è forse "bestemmiare Dio" e "irridere i suoi comandamenti" il fatto di continuare a mantenere, noi cristiani, in piena efficienza una macchina costruita in funzione della morte? Non dice forse uno dei comandamenti "TU NON UCCIDERE"?
E quale bestemmia potrebbe essere più grande dì quella pronunciata nel corso della storia passata e presente dalla tremenda voce delle armi di ogni specie: che cosa si vuole di più?
Nella prospettiva affatto fantascientifica di un olocausto nucleare di intere città (di fronte al quale Hiroshima e Nagasaki impallidiscono), non era forse doveroso, a questo punto, ricordare ai giovani militari cristiani ed ai loro superiori l'insegnamento indiscutibile dell'unico Maestro e Signore dei credenti:. "Voi sapete pure che cosa fu detto agli antichi: Occhio per occhio, dente per dente. Ma io vi dico di non resistere al malvagio; anzi, se uno ti percuote nella guancia destra, porgigli anche l'altra. Se uno vuole litigare con te per toglierti la tunica, cedigli anche il mantello... Amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli... ". (Matteo 5, 38-45).
Non possiamo assolutamente pensare che questa chiara proclamazione di Gesù vada bene per tutti, meno che per i militari! Non si tratta davvero di "materia fiscale" rispetto alla quale alcuni possono essere considerati esenti.
Sono parole dure, che fanno impressione anche a noi che siamo d'accordo col vescovo militare sul solo fatto di sapere benissimo di essere creature deboli e soggette a sbagliare cento volte al giorno. Ma di una cosa siamo assolutamente certi: non si può cambiare il messaggio del Vangelo! Esso può spaventarci per la sua cristallina evidenza; lo possiamo respingere in blocco, come di fronte ad una richiesta impraticabile.
Ma non accettiamo a cuor leggero di essere indotti a credere che quando Gesù pronunciò tutto quello che Matteo riporta nel 50 capitolo del suo Vangelo fosse distratto. Che cioè si sia lasciato "scappare" qualche parola di troppo, cedendo all' estremismo profetico di cui anche la gente del suo tempo lo accusava apertamente. Crediamo, nonostante la nostra debolezza, che in quelle parole Gesù ci ha rivelato il preciso progetto del Padre sulla storia degli uomini; anche se, avendo la testa dura, abbiamo sempre cercato con ogni mezzo di annacquare questo straordinario progetto di liberazione. Di apertura, cioè, della famosa trappola nella quale continuiamo a starcene chiusi, grazie anche alle suadenti parole di mons. Bonicelli.
Ci deve scusare, eccellenza, ma noi preferiamo stare col Vangelo di Matteo, anziché avventurarci per la strada comoda e larga che lei ci prospetta.
La via indicata da Gesù è certamente più impervia e poco allettante, anche se sicuramente conduce verso la liberazione: ci sembra fuori discussione che non se ne possa proporre un'altra, nel tentativo di recuperare non si sa bene cosa. Certamente non si può recuperare tutto il sangue versato sulla terra dagli eserciti di ogni tempo, da quelli che portavano da qualche parte la croce di Cristo.
E nemmeno ci convince pensare che il nostro esercito italiano sia "più buono" degli altri: se venisse il momento, siamo sicuri come è nella logica delle cose, che esso metterebbe in. opera tutta la sua potenzialità di morte e di distruzione che è in suo possesso, per la quale prepara ogni anno i trecentomila giovani ai quali è rivolta la sua lettera pastorale. Senza contare - ma come si può? - il fatto che a causa delle Alleanze Militari nelle quali siamo coinvolti, ci potremmo trovare sul campo di battaglia senza una nostra diretta decisione. Le cose sono così congegnate, che gli altri potrebbero decidere per noi. Non è forse così per l'esercito del grande impero sovietico, nei confronti di molti "popoli fratelli"(tanto per citare un esempio)? O forse vale solo per i soldati con la stella rossa, o la mezzaluna, o chi sa che altra insegna, la parola del Signore? Basta mettersi una croce sull'elmetto per esserne dispensati?
A questo gioco noi non ci stiamo; e pensiamo sia necessario avvertire i nostri "cari ragazzi" che la naia può rischiare non solo di essere "tempo sprecato", ma anche addirittura tempo di tradimento del messaggio di Gesù. Momento decisivo in cui, anziché tentare con tutte le forze del cuore e. dell'intelligenza di aprire le sbarre della trappola per noi stessi e per r gli altri, si può rimanervi invischiati addirittura con coscienza tranquilla.
Tutta la vita di Gesù dalla sua Nascita alla sua Morte e alla sua Resurrezione, noi la vediamo come proclamazione concreta Amore, Pace, Bontà, Giustizia Verità.
E' la condanna più chiara che Dio abbia pronunciato di tutto mondo della morte, di cui gli eserciti sono - a nostro avviso l'incarnazione storica più evidente.
"Il Dio, di cui Egli si proclama Figlio, non è il Dio dei morti, ma dei viventi": questo bisognava ricordare ai giovani e ai meno giovani delle Forze Armate, proprio in occasione della Nascita del Salvatore.
La Chiesa che Lui è venuto a costruire non può essere abitati dagli strumenti della morte: è l Chiesa della vita, della fraterni della comunione fra gli uomini ogni razza. E anche dell' amore per i nemici. E' la Chiesa del" non uccidere", sempre, a qualunque costo, in ogni circostanza. E' un popolo nuovo che è chiamato a nascere con il Figlio di Dio e Figlio dell'Uomo. Un popolo che ha deciso per la Grazia e la Verità di Dio Padre cambiare le spade in falci e le lance in aratri e di non imparar più il mestiere della guerra.
O anche questa parola di Isaia è vuoto vaneggiamento, sogno impossibile, stravaganza di profeta?
Ed ora una parola sui CAPPELLANI MILITARI (ai quali accenna ogni tanto la lettera pastorale).
Sarebbe interessante avere tempo e modo di fare una storia di questa "presenza sacerdotale" a fianco o dentro la macchina militare per coglierne tutto il significato e la portata concreta.
Ci accontentiamo di esprimere il nostro pensiero raccogliendolo da tutto il messaggio di Gesù e dal mistero di amore che la Chiesa porta in sé fin dal mattino di Pasqua: quando la prima chiesa degli apostoli e dei discepoli sentì risuonare la voce di Colui che aveva vinto il buio della morte e annunciava il trionfo della Vita: "Pace a voi".
Di questa Pace, che nasce dalla Croce di Cristo e dalla sua Resurrezione, pensiamo e crediamo che ogni sacerdote cristiano debba essere il testimone fedele, il servo obbediente e laborioso, l'annunciatore tenace e forte.
Consacrato e mandato nella Chiesa comunità di credenti e nel mondo dei non credenti, ogni sacerdote cristiano porta nel suo destino questo dono e questo imprescindibile dovere: annunciare agli uomini la Pace di Dio, quella stessa che Egli ci ha comunicato nel Figlio Suo.
Ogni gesto sacramentale del proprio ministero sacerdotale richiama sempre a quest'opera di pace, di fraternità, di comunione, di amicizia fra tutte le creature.
Ogni parola non può che essere finalizzata alla crescita, nella Chiesa e nel mondo, fra i credenti e fra i pagani (nel senso in cui san Paolo parla dei "gentili", le genti che non conoscono il vero volto del Dio Vivente) della Pace di Cristo.
Basta questo (e crediamo di non poter essere seriamente smentiti) per mettere subito in questione LO STILE DI PRESENZA del cappellano militare, che sarebbe - seguendo il linguaggio di mons. Bonicelli - come il parroco della "chiesa con le stellette".
Noi riteniamo "fuori posto" questo modo di presenza, per il semplice fatto che il sacerdozio cristiano non può essere mai usato a copertura di una realtà, qual' è quella militare, in nome di opportunità pastorali o di annuncio del Vangelo.
Se è vero che la comunità dei credenti (e tanto più i suoi sacerdoti) è debitrice verso tutti della proclamazione del Regno di Dio, del dono della Grazia e della Salvezza, questo non vuol dire che l'accoglienza del Vangelo di Gesù comporti per tutti le stesse conseguenze.
Gesù proclama "beati" non tutti gli uomini in generale, ma dice con chiarezza che Dio compie una scelta molto precisa: benedetti da Dio ("beati", appunto) sono i poveri, i pacifici, i mansueti, i misericordiosi, i sofferenti, gli affamati di giustizia e i perseguitati a causa di essa o del suo Nome.
Per i ricchi, i potenti, i sazi, l'accoglienza del Regno passa di necessità attraverso il cammino della conversione; cioè del cambiamento di rotta, per un "nuovo modo di pensare e di vivere.
Ci sono realtà precise, concrete, storiche, scelte di vita, modi di esistenza nelle quali Dio riconosce il suo progetto di Umanità che si esprime in pienezza nel Figlio Suo.
Ci sono modi di vita e realtà di esistenza, di visione e realizzazione concreta di progetti umani, di mentalità, di cultura che sono "fuori" del disegno del Padre.
Sono strade sbagliate, che non portano a nulla, anzi alla perdizione; cisterne vuote e aride, presso le quali si muore di sete; deserto riarso e pietrificato, bruciato dal sole della morte.
A chi vive intrappolato in queste prigioni, anche se ci si può illudere che siano stupendi palazzi, che cosa può dire un fedele servitore del Regno di Dio, quale deve essere senza dubbio ogni sacerdote cristiano? Quale parola è in dovere di pronunciare, che non sia la Parola che libera e salva?
A un mondo come quello militare, di sempre ma soprattutto dei "nostri tempi nucleari", cosa può offrire il sacerdozio, se non l'invito chiaro e appassionato a non ascoltare più la morale degli antichi, la vecchia cultura che affonda le sue radici nella logica della morte (se vuoi difenderti o difendere, uccidi!), per aprirsi alla logica della Vita?
Ogni sacerdote cristiano dovrebbe sapere che dentro le mura della cittadella fortificata, l'ingresso del Regno comporta l'abbattimento di tutto ciò da cui essa è nata ed è continuamente alimentata.
Noi crediamo che non sia possibile una visione diversa delle cose, se ci si rifà unicamente al mistero dell'Amore di Dio, manifestato in Gesù, senza camuffarlo con inutili giochi di prestigio: il mondo legato alla logica della guerra, che si esprime e si concretizza nella Struttura degli eserciti, le Sue regole, i rapporti, le ragioni delle scelte, i mezzi che si adoperano, tutto è in contraddizione stridente con ciò che Dio ci ha comunicato nel Suo Figlio.
Com'è in contraddizione stridente un sacerdote cristiano con tanto di stellette: la Croce lo rimanda di continuo a un progetto dì esistenza umana totalmente riconciliata con Dio e con una umanità ormai fatta solo di fratelli e. sorelle. Non c'è più posto per un mondo fatto di nemici, di avversari, di uomini da vincere, da sterminare, da distruggere.
Egli non può che desiderare ed annunciare la fine di ogni spargimento di sangue, qualunque possono essere le ragioni. addotte a giustificarlo.
Come può dunque coabitare fisicamente e, "legalmente" all'interno di una città dove tutto è ordinato, finalizzato, studiato nei minimi particolari, proprio per una efficienza concreta di respinta violenta e mortale di chiunque si presenti come l'avversario?
Come fa un vescovo a presentarsi tranquillo con le sue stellette, forse ad esserne perfino orgoglioso?
L'abbiamo detto all'inizio, ma lo ripetiamo, perché ci preme che il nostro discorso non trovi respinte troppo facili e superficiali: noi non siamo contro nessuno, non ce l'abbiamo con nessuno. Non facciamo un giudizio sugli uomini che hanno un nome e un cognome, un ruolo. una carica qualunque essa sia.
II "giudizio" - nostro malgrado - scende più in profondità: vorrebbe andare alla radice di problema, al cuore dell'istituzione militare.
Non abbiamo altre armi - e non ne vogliamo assolutamente altre se non la disarmata Parola di Dio accolta con umiltà e premurosa attenzione, perché in essa vi abbiamo trovato le risposte che nessun altro ci ha saputo dare.
In forza di questa Parola che poi è Gesù stesso siamo profondamente convinti che non vi possono essere "eserciti cristiani" anche se così sono stati chiamati a volte in passato.
Riteniamo anche che non vi possono essere neppure "eserciti cristianizzabili", se non nell'unico senso di vendere armi e bagagli e cambiar mestiere.
Con questo non facciamo violenza a nessuno; a meno che non si voglia accusare di violenza - come. fu fatto da un tribunale che allora si chiamava "Sinedrio" - un Uomo povero, senza armi né soldati a suo servizio che venne in questo mondo per ricolmarlo di Grazia, di Verità e di Amore.
Un Uomo che fu condannato da sacerdoti ed esperti nella Bibbia; da un procuratore romano preoccupato molto più della sua carriera politica che della giustizia; condotto a morire su una croce da un manipolo di militari di mestiere che eseguivano semplicemente un ordine.
CHIESA DI DIO: SCENDI DA CAVALLO!
Poiché crediamo - per dono e per grazia - che quest'Uomo era il Figlio di Dio manifestazione e offerta del suo infinito Amore per tutti, ci sentiamo autorizzati a far circolare la nostra voce di dissenso.
Non siamo d'accordo sulla presenza dei sacerdoti cristiani nella struttura dell' esercito, perché siamo convinti che essi dovrebbero semplicemente annunciarne la scomparsa. E poiché "non si può stare con un piede su due staffe", diciamo anche noi che bisogna "scendere da cavallo"! Ma non nel senso dell'invito che mons. Bonicelli rivolge al termine della sua lettera natalizia: "Scendete da cavallo!".
Noi lo diciamo prima di tutto, ai nostri fratelli cappellani militari, perché pensiamo che non si possa chiedere agli altri di fare ciò che noi non facciamo.
E il cavallo non è, almeno secondo noi, quello del buon samaritano della parabola evangelica: è il cavallo dell'esercito, dei gradi, delle stellette, delle messe al campo, sulle navi da guerra, nelle basi militari, sui campi di battaglia (i tempi del Vietnam non sono poi tanto lontani).
E' il cavallo di una cultura di difesa armata, di forza distruttrice, di sterminio di massa che può essere tragicamente riassunta nel nome di Hiroshima. Anche allora, nella base americana da cui partì l'aereo col suo orrendo carico di morte, c'era un cappellano militare - padre Zabelka - la cui testimonianza è sconcertante. Solo dopo molti anni e a prezzo di grosse sofferenze interiori, questo sacerdote cristiano è arrivato a capire e a proclamare dove stava l'imbroglio.
Non si tratta di emarginare nessuno dal Regno per cui Gesù è nato, morto e risorto: di questo Regno noi siamo debitori anche verso i militari.
Ma bisogna avere il coraggio di scendere da cavallo, e passare all'altra riva del fiume, per poi chiamare da lì a fare il passo che porta alla salvezza personale e collettiva.
Bisogna aprire la trappola (e chi devono essere i primi, se non i cappellani militari, vescovo in testa?) perché tutti quelli che ci sono rinchiusi possano comprendere con chiarezza qual'è la strada su cui camminare per costruire la città di Dio. Che poi è anche la città degli Uomini.

GIUSEPPE SOCCI
preteoperaio - Viareggio




in Lotta come Amore: LcA agosto 1999, Agosto 1999

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