La posta di fratel Arturo

Cari Amici, quando mi leggerete, io starò per imbarcarmi (16 giugno) o sarò già arrivato. Quest'anno parto a cuore più tranquillo perché tutte le attività (e non sono poche) che abbiamo varato, sono affidate alla responsabilità di persone del luogo. E ho la gioia di constatare che sono in buone mani: stanno facendo più e meglio di quello che sapessi fare io.
Ho trovato in una lettera che il maestro generale dei domenicani scrive ai suoi frati. un pensiero che coincide con la decisione che ho preso da quando sono tornato dall'Italia:
"Essere genitore è vivere nella gioia e nella sofferenza di lasciar partire i figli.
La consumazione di essere genitore è di dare ai propri figli la loro libertà e di lasciarli costruire una vita che è diversa da quella che noi abbiamo sperato per loro. Anche noi dobbiamo lasciare partite quello che noi facciamo nascere. Sappiamo che abbiamo davvero portato frutto quando i progetti che abbiamo iniziato e per i quali abbiamo dato la vita, decollano in nuove direzioni per finire in mano di altri".
Non posso presentarmi come un martire perché questa decisione mi è parsa così spontanea e normale e con risvolti tanto piacevoli, che fare il martire sarebbe una vera ipocrisia. Il risultato è che posso dedicarmi a quello che è propriamente mio: lo studio, la contemplazione, il silenzio e avere dei contatti con le Comunità di "Boa Esperança" più gratuiti, più da amico.
Posso dire con sincerità che non ho nulla da dare, perché quello che viene per la mia mediazione, passa alla amministrazione di AFA e devo dire che spendono bene i soldi.
Vi comunico questo avvenimento che può apparire di scarsa importanza, perché è importante nella mia storia personale. Nella mia lunga vita ho avuto delle esperienze così traumatiche riguardo a queste separazioni che il consiglio di fra Timothy non mi sembra né astratto, né superfluo. Ho potuto vedere spesso come la rinunzia a quello che si può definire protagonismo sia più drammatico della morte. Chi non è capace di questa rinunzia, si giustifica dicendo che resta per amore di quelli per cui ha dato la vita. Non saprei dire se soffrono di più i genitori nel distacco di quelli che sono usciti dalla propria carne, o i religiosi nel separarsi dalle loro opere. Credo che la normalità, in cui si è svolto questo mio passaggio sia dovuto all'avere incontrato le persone adatte e soprattutto al mio noviziato di piccolo fratello nel deserto. Nella fraternità le opere sono considerate piuttosto un ostacolo a quella relazione immediata di fratello. Posso dire che il padre Charles de Foucauld ha ottenuto per tutti i suoi discepoli la grazia di non impadronirsi dei progetti che si trovino forzati ad assumere per amore ai fratelli.
Vi ho scritto che parto a cuore tranquillo e potrei aggiungere che arrivo con cuore di piombo in una Europa in stato di guerra.
Che stupendo brindisi prepariamo al Pastore, al Cristo Gesù, per il suo tanto reclamizzato compleanno. I romei che confluiranno a Roma e avranno trovato nei repertori dei vari giubilei canti che celebrano Roma come la nuova Gerusalemme potranno cantare: "O Roma felice capitale di un paese da cui decollano aerei che fanno piovere bombe sui fratelli". Qui in America latina sento il cuore più in pace perché mi trovo dalla parte degli oppressi e con gli oppressi, perché, soprattutto in questa parte di America, l'episcopato brasiliano, prima che se ne accorgesse il signor Reagan, si era convertito al popolo, si era fatto solidale con le vittime dell'ingiustizia.
Dal terzo mondo inoltre sono partite le teologie della liberazione che rappresenteranno per gli storici del futuro, quel resto di cristiani che hanno preso sul serio la voce dello Spirito santo che si espresse nel Concilio Vaticano II. So che è ingenuo dire che il cuore può essere lieto a un parallelo e triste a un altro: la peste del neoliberismo ha invaso la terra. So che in Italia non troverò solo la guerra, ma divisioni fra amici per divergenza di opinioni sulla guerra. Dichiaro subito di essere contro la guerra, penso che è metafisicamente impossibile trovare delle ragioni alla guerra. Ma prima bisogna essere radicalmente contro i fabbricanti di armi e coloro che investono capitali nelle fabbriche di armi.
E andando più a monte dobbiamo negare le ragioni di questa società neo-liberista come assolutamente irrazionale.
Si presenta attualmente come la fase arteriosclerotica di una civiltà definita illuminista cioè figlia della luce. Investigando le varie cause non possiamo trovarci d'accordo con la linea politica della nostra Chiesa che, preoccupata di mantenere un prestigio politico, piuttosto che la sua credibilità, produce documenti profetici, e in concreto nell' opposizione fra gli oppressori e gli oppressi generalmente sceglie i primi. Anni fa lessi un'osservazione del teologo Chiavacci che m'impressionò fortemente e motivò il mio interessamento per l'economia: "La morale cattolica non é andata oltre il settimo comandamento - Non rubare - ". La maniera di prescindere da un'etica economica che manifestano molte persone "di Chiesa" nella gestione del denaro é incontestabile. Ma senza un'etica economica è possibile parlare di amore ai poveri? di giustizia? di pace? E' possibile evangelizzare trascurando un' etica economica? Se non affrontiamo con serietà e responsabilità queste domande, contaminiamo la nostra fede del sospetto d complicità con progetti politici assolutamente incompatibili col messaggio evangelico di fraternità.
Possiamo declamare contro la guerra e continuare ad alimentarne le cause.
Prima di assumere il compito di propagandai la fede, dobbiamo urgentemente assumere la responsabilità di scagionarla dall'accusa di complicità con l'idolatria imperiale del mercato.
Vi scrivo nel giorno di Pentecoste invocando lo Spirito del Signore di salvarci dal pericoli di perderci nella confusione dell'idolatria.
A presto.

Il vostro piccolo fratello Arturo




in Lotta come Amore: LcA agosto 1999, Agosto 1999

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