Spendendo tutto, fino all'ultimo centesimo

Quando Sirio morì, il motto "la morte non chiude la storia" fu come un grido che diceva tutta la fiduciosa consapevolezza che una vita come la sua conteneva in sé così tanta forza, energia, densità di senso, da trascinar via, come un fiume in piena, ogni ostacolo. Compresa anche la morte.
Quella fiducia esprimeva anche la speranza che la storia di una presenza, scandita ogni giorno negli oltre trent' anni spesi da lui in Viareggio, sarebbe continuata in una memoria viva custodita e alimentata dalle nostre storie.
Scriveva Beppe, esattamente dieci anni fa: "Se perdi la tua vita, allora veramente la possiedi: dentro la misteriosa logica di questa 'assurda' verità ho ritrovato intatta e viva tutta la mia storia di amicizia e di comunione con Siria, tutta la sua vita segnata da questo grande desiderio di perdersi dentro l'esistenza, di partecipare, di condividere, di essere dentro,di compromettersi nel cammino del mondo operaio, della vita della gente, dei problemi della pace, nelle lotte per una terra liberata dalla minaccia nucleare; nella passione profonda e sofferta di una Chiesa sciolta dai legami del potere economico, politico, militare; nella ricerca di una Fede in Dio e in Gesù Cristo che non fosse assolutamente mai imposizione, legalismo, autorità, ma semplice offerta di speranza, di fiducia, di amore.
Per più di 25 anni abbiamo camminato insieme su strade che non garantivano particolari sicurezze, che non promettevano niente di certo e di definitivo. Sono sempre state strade simili al letto dei torrenti dove l'unica certezza è stata quella di dover camminare avanti, senza potersi né volersi fermare. Mi sarebbe difficile dire con esattezza che cosa abbiamo 'concluso', cosa abbiamo 'realizzato'. Quando ne parlavamo insieme, l'impressione era sempre quella di 'aver perduto tutto', di avere speso fino all'ultimo centesimo Oggi mi ritrovo immensamente più povero e nello stesso tempo immensamente più ricco di prima; ho molto di meno e nello stesso tempo mi pare di possedere molto di più. Vorrei soltanto continuare a scorrere fra le pietre del torrente, senza paura, senza difese né particolari sicurezze, disposto dal profondo del cuore a seguire fedelmente il cammino che mi sarà tracciato avanti".
Scrivevo, anch'io sullo stesso numero di Lotta come Amore:
"Questo nostro desiderio di andare avanti sulla stessa strada vogliamo ribadirlo con affetto ed amicizia (e insieme con altrettanta fermezza) a quanti ci hanno interrogato sul nostro futuro dopo la morte di Sirio. Con Sirio abbiamo vissuto tante cose, ora esaltanti ora faticose, e insieme tante ore di serenità quotidiana. Con Siria continuiamo ad andare avanti, amici come prima, compagni come sempre. Anche se la sua presenza ora è diversa; ma sempre fondamentalmente libera e liberante come lo è stati verso di noi.
Non costringeteci entro i rigidi confini della memoria come custodi di un tempo passato.
E troverete ancora la stessa porta aperta, una luce accesa, la tavola apparecchiata con il pane dell' amicizia e con il vino degli ideali. Una comunità piccolissima, ma idealmente allargata a tutti i figli di Dio sulla terra.".
Dopo la morte di Beppe, la comunità è - se è possibile - ancora più piccola, ma credo che ha imparato ancora di più a 'perdersi' .
Imparato?
Per quanto mi riguarda, in questo momento non so proprio quanto io abbia 'imparato' dal 'perdersi' di Sirio prima, di Beppe ora, e quanto il mio sia un atteggiamento dettato dall'evidenza di una storia che è destinata - in quanto tale - a ritornare, nel corso di questa generazione, nel grembo della madre terra.
Come l'avventura nella Chiesa e nel mondo dei "preti operai" , così la storia della Chiesetta e della sua comunità si riconosce nell' arco di una delle tante parabole della vita. E come ogni parabola, traccia un percorso destinato ad incurvarsi e perdersi, a finire, perché se ne possa leggere il senso, il significato, la parola destinata - questa sì - a generare nuove storie e nuova vita.
Durante questi mesi, mi ha molto aiutato e sostenuto (anche se a volte mi ci sono scontrato) lo sforzo di Maria Grazia di dare una lettura della vita di Sirio, del suo rapporto con lui, della piccola/grande storia della comunità. Lei, compagna della prima ora (fino all'ultima) di Sirio, ha saputo trovare chiavi di una storia che si esprime ancora con parole vive, capaci di suscitare attenzione e accoglienza in ascoltatori diversi della memoria di lui.
E Maria Grazia ha trovato, anche la forza di intrecciare in questo tempo, con Beppe fili di paglia. Non solo quelli reali della corda per impagliare le sedie nella piccola bottega della seggiola, ma soprattutto quelli di un confronto vivo piuttosto che di una memoria conservativa.
Io, invece, ho avuto da lottare principalmente contro me stesso. Un avversario che mi è ancora sconosciuto, nonostante l'ormai lunga coabitazione di una vita!
Credo di essere riuscito (sia pure con 'graffi e contusioni ') a resistere alle ansie più eclatanti di onnipotenza e onnipresenza. Forse, sto imparando a 'morire'. Ho messo le virgolette semplici perché qualcuno potrebbe pensare ad un possibile mio stato depressivo. Invece il mio pensiero non è volto alla morte, bensì alla vita e al fatto di immergersi nella vita fino in fondo (' morirei', appunto, o nel linguaggio di Beppe, 'perdersi').
La Chiesetta continua a raccogliermi nel silenzio e nella pace di quest'angolo del porto. Mi sembra incredibile questo eremitaggio nel cuore della città. Eppure vi arrivano solo questuanti smaliziati, povera gente alla deriva e qualche amico che suona il campanello e ha la pazienza di aspettare che i miei movimenti, lenti da sempre, mi facciano arrivare ad aprire la porta.
"Ma non ci siete mai!", continua a brontolare e a rimproverare la gente che mi incontra.
A volte, non ce la faccio a trattenermi, ringrazio ironicamente per il "voi" e rispondo che "quando ci sono, ci sono". E quando non ci sono, in genere non c'è nessun altro. Devo porre attenzione, però, a ciò che la gente dice, a quello che gli altri 'vedono'.
Questa casa continua ad essere 'abitata' da una storia, da una vita. lo non ne sono il custode. Sono, più semplicemente, uno che ci vive, uno che vive quella storia. Storia che non è mia, ma dentro la quale c'è posto anche per la 'mia' storia.
Esco di casa per andare a lavorare e la mia è settimana di lavoro piena.
Vado a dire la messa, una messa, la domenica mattina, il sabato sera e il giovedì sera alla parrocchia del porto, la chiesa dedicata ai sette santi fondatori dell'ordine dei servi di Maria. E' il mio dopolavoro, come lo è stato per Beppe.
Continuo a comporre e spedire "Lotta come Amore".
E a 'perdermi'.
Spero.


Luigi


in Lotta come Amore: LcA ottobre 1998, Ottobre 1998

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