Il profumo del pane

Quando sono arrivato nella piazzetta del piccolo borgo di S. Anna di Stazzema, la prima cosa che mi è venuta incontro è stato un magnifico profumo di pane. Pane che stava lentamente cuocendo nel forno attiguo all'unico negozio del luogo. Quel profumo veramente unico mi ha accompagnato interiormente per il periodo in cui ho potuto partecipare ad un incontro che si è svolto a
S. Anna nell'ultima settimana di Agosto. Il tema di questo campo di educazione alla pace (alla sua seconda edizione) era: "al cuore dei conflitti" .
Il programma prevedeva cinque giorni di riflessione e di confronto su argomenti legati fra loro dal filo di una ricerca nonviolenta delle possibili soluzioni di una realtà umana, sociale, politica, interpersonale e mondiale che quasi sempre segue la logica dello scontro e della contrapposizione fino alla morte.
Che questo sforzo di approfondimento di un modo diverso di affrontare di un modo diverso di affrontare i problemi avvenisse in un luogo come S. Anna mi è sembrato molto significativo: in questo piccolo spazio, chiuso tra le pendici dei monti coperti di castagni, dal 12 Agosto 1944 si respira un' atmosfera carica di dolore e di angoscia senza fine. E' un luogo dove non si va volentieri: il ricordo delle vittime (più di 500) di quel terribile 12 Agosto, quando le SS tedesche decisero una rappresaglia assurda ed atroce, fa scendere nell' anima un senso di oppressione veramente inesprimibile.
Solo chi non sa che cosa vi è accaduto (ormai sono passati più di 50 anni) vi può salire spensieratamente. Anche se appena vi giunge, le lapidi, i monumenti, la chiesa cominciano a raccontare - nel silenzio delle parole scolpite sulla pietra - l'orrore che vi è stato compiuto. Per me, è stata molto importante la partecipazione a questo incontro (anche se in modo parziale), proprio a partire dalla considerazione di ciò che S. Anna rappresenta in una visione di "memoria storica" che in qualche modo dia voce a quei poveri morti e ci consenta di accogliere un messaggio di vita e di cambiamento radicale.
Sono stato contento di aver trovato a S. Anna amici di vecchia data e volti nuovi: eravamo un bel gruppo di persone tese alla ricerca di comprendere il valore di una maniera diversa di concepire i rapporti umani e di trovare stili di vita e ricchezza di pensieri (di "cultura") che nascessero dalla voglia di produrre più vita, più luce, più fratellanza, più scoperta della bellezza della diversità dell'altro...
Senza negare la conflittualità che è scritta nel processo stesso della storia, anzi assumendola consapevolmente come un dato di fatto.
Senza tuttavia fame motivo di distruzione e di morte, decidendo invece con fermezza la linea da seguire per una strada nuova (anche se "antica come le montagne"): quella, appunto, segnata dalla non violenza e dall'affermazione forte del "diritto di non uccidere" e di "non lasciare uccidere nessuno". L'amico Enrico Peyretti ha guidato la riflessione su questo argomento in modo chiaro e penetrante, sul filo di un approfondimento dell'imperativo etico che nasce dal "non uccidere" come dovere, per giungere alla convinzione che esiste, forse più intenso e preciso, il "diritto di non uccidere". In quanto esso stabilisce l'unicità della coscienza di ogni persona come sorgente di un'etica, di uno stile di vita, basata sulla necessità di eliminare dalla storia umana la morte "data" attraverso la guerra ed ogni altra forma di violenza omicida. Come ben diceva Aldo Capitini: "La vita senza morte comincia dal non uccidere".
Il lavoro da fare per sviluppare questa visione delle cose è indubbiamente lungo e difficile: d'altra parte, questa è l'unica maniera per la crescita di veri rapporti umani ed espellere la cultura della violenza e dell' odio (di razza, di classe...) dal tessuto sociale. La presa di coscienza riguardo alla conflittualità delle situazioni, la stessa "memoria" di avvenimenti dolorosi e drammatici come quelli accaduti a S. Anna, può essere la base di partenza per un lavoro educativo attento e costante, per aprire nuove strade nella direzione del "diritto alla vita" e ridurre progressivamente le strutture che per loro natura sono orientate a "produrre la morte".
I drammi terribili e molto recenti della Bosnia e del Rwanda, la situazione dolorosa e amara in Israele-Palestina, sono lì a testimoniare l'urgente necessità di un impegno di "resistenza" alla logica dello scontro violento e dell'eliminazione fisica dell'avversario che attraversa la storia umana e rende la vita (anche quella delle nostre città) un campo di battaglia.
L'incontro di S. Anna ha significato molto in questa direzione: lo scambio tra i partecipanti, le relazioni e le esperienze presentate, la meditazione dolorosa ma viva dei fatti accaduti in quel luogo, rappresenta indubbiamente un momento di approfondimento e di presa in carica del proprio impegno nel quotidiano. Poca cosa, certamente, ma ricca di significato, come quel pane buono e profumato uscito dal piccolo forno dove ogni mattina mani esperte e capaci continuano ad alimentare la vita. Anche il Vangelo, parlando del regno di Dio, parla di cose piccole, ma cariche di vita. Sale, lievito, semi sparsi nella terra, farina impastata da mani cariche d'amore: la civiltà della nonviolenza cammina sicuramente su queste strade.
La lotta è ampia e dall'esito non scontato; ma è importante che ci sia sempre qualcuno che dall'interno di una situazione carica di conflittualità non si stanchi di impastare la farina necessaria a produrre un buon pane ricco di energie capaci di alimentare non il fuoco della distruzione e della morte, ma il "fuoco buono", quello che diventa luce, calore, punto d'incontro e di reciproco scambio lungo i sentieri dell' esistenza.


don Beppe


in Lotta come Amore: LcA dicembre 1997, Dicembre 1997

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