Il dovere di pensare

L'autunno ripropone uno scenario mesto e preoccupante. I rituali dello sciopero generale seppure caldi e partecipati non aiutano più che una fiammata d'arbusti ad allontanare il senso di gelo tutto intorno. La politica sembra oscillare tra due schieramenti dai contorni non bene definiti che consentono il fluttuare di un grosso numero di persone e di voti. Questi due schieramenti sembrano però addensarsi intorno a nuclei assai consistenti che rappresentano interessi contrapposti. Da una parte chi si riconosce (a torto o a ragione) negli interessi governativi e quindi reputa che i sacrifici li debbano fare gli altri e quelli che i sacrifici sanno di essere costretti a fare perché più deboli. Le ragioni e i torti dall'una e dall'altra parte si sprecano. Sta di fatto che la cronaca di queste settimane ci sta consegnando un vero brodo di cultura di nuovi irrigidimenti, nuove violenze, nuovi fronti di scontro sociale e culturale. Rinasce forte nella coscienza della gente la convinzione che solo con il mettere a tacere la parte avversa (con più o meno simbolici bavagli) si possa sperare in una azione coerente capace di salvare il salvabi1e. Lo spazio della politica, in queste condizioni, rischia di restringersi sempre più ad aree di interesse periferico. Lo spazio del potere e della violenza sembra affermarsi al centro noda1e della vita sociale e delle relazioni interpersonali.
Che fare in questa situazione? Se lo chiede e lo chiede anche Mons. Nervo nella relazione "Vecchie e nuove povertà in Italia, fenomeno accidentale o strutturale?" al convegno nazionale (Rimini 23-25 settembre) dell' Associazione Papa Giovanni XXIII. Che fare?
"Accettare passivamente, limitandosi agli interventi assistenziali preziosissimi e alle forme di condivisione di grande valore di ogni giorno che nessuno ci potrà impedire?
Adattarci alla situazione ricavandone i vantaggi che ci può dare, come il giovane prete Giovanni Battista Montini lamentava in una lettera al padre, scritta dalla nunziatura di Varsavia, quando seppe che Don Sturzo era stato costretto a lasciare il Partito Popolare ed andare in esilio: 'sono molti anche nel mondo cattolico quelli che preferiscono stare con chi vince che con chi pensa e prega.'? Andare controcorrente come è scritto nel titolo provocatorio del convegno 'La società del gratuito' e organizzare una solida e costruttiva resistenza democratica non-violenta di base per richiedere ed esigere con la tenacia che nasce dall'amore che in ogni scelta si riparta dagli ultimi, davvero?".

E prosegue Nervo: "Se questa, come immagino ed auspico, è la scelta, bisognerà darsi obiettivi grandi e concreti".
Non si può, insomma, se si vuole essere coerentemente resistenti, nasconderci dietro la complessità delle cose, l'irruenza e l'arroganza dei vincitori, la sottile tentazione di limitarsi a stare a guardare. Occorre comunque un punto di aggancio, chiaro ed evidente: Ed occorrono obiettivi reali, degni di essere oggetto di una lotta ampia e vigorosa.
Che l'orizzonte di lotta sia a tutto campo lo si coglie anche dagli anniversari che punteggiano questi anni: lo sbarco degli alleati in Normandia, la liberazione dell'Italia, l'immane tragedia dei bombardamenti delle città fino allo sganciamento delle prime bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki... 50 anni! La maturità di una generazione. Il mondo degli accordi di Yalta arriva a quest'età critica per gli umani in una condizione che rivela uno scenario di muri ancora saldamente in piedi e di muri ormai in sfacelo. Ma è come se il crollo di questi ultimi abbia messo in luce ancor più la radice di questa costruzione mondiale: la divisione, la spartizione di zone di interesse per cui pochi hanno in mano la sorte di molti.
La svolta epocale di questo nostro tempo si traduce in scadenze che possono confermare questa tendenza (avvicendandone semmai gli attori) o andare realmente verso la ricerca di nuovi (e più giusti) equilibri. L'anno prossimo si saprà se le nazioni (e quali nazioni) firmeranno un nuovo trattato di non proliferazione delle armi atomiche (la tensione con il Nord Corea è spia rivelatrice di possibilità nefaste in questa direzione). Gli accordi economici mondiali resistono ad aperture di qualsiasi tipo ai Paesi emergenti e la crisi del debito stravolge qualsiasi bilancio dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo.
In Italia, la fine della Prima Repubblica continua ad erodere un patrimonio ideale e storico per una mancanza di alternative realmente credibili ed una inarrestabile imitazione dell'immagine del "vincente" .
Accettiamo tutto questo passivamente, limitandoci alla preziosissima e indispensabile attività delle buone opere? O preferiamo dire che abbiamo sbagliato tutto nel cercare di fondare la città degli uomini su spazi di condivisione e che ora non c'è altro da fare che liberare le energie di ogni libera impresa?
Stare con chi pensa e prega, diceva il giovane che diventerà Paolo VI. E se ricordiamo il volto tirato di questo papa "triste", la preghiera può essere intesa, laicamente, come il convivere con un senso di inquietudine e di ricerca tesa fino all'angoscia. Non possiamo credere di essere giustificati nella nostra inettitudine dalla complessità del mondo presente. C'è un dovere di vegliare che può rendere i nostri occhi velati dalla fatica per rimanere aperti. E non solo i nostri occhi, ma anche il cuore e lo spirito. E un dovere di pensare, e cioè non perdere la lucidità della memoria e della coscienza. Ora più che mai i motivi che stanno al fondo della nostra identità e delle nostre scelte non possono essere "spiritualizzati" e cioè ridotti a pure e belle intenzionalità. Non ci è permesso sognare alcun sogno che non sia già l'inizio di un cammino nuovo e ogni fedeltà può avere la sua conferma solo dal nascere di nuovi virgulti. Ognuno è di fronte a se stesso. Ma, insieme, possiamo essere di nuovo l'uno accanto all'altro. E' necessario che ciascuno di noi abbia il coraggio di guardare dentro di sé e di dar seguito a ciò che vi scorge. Come nell'avvenimento evangelico ognuno di noi può avere con sé - per motivi diversissimi - i pochi pani e pesci che possono sfamare moltitudini. Ma non si può né ignorare il possesso, né riservarlo a se stessi e ai pochi con cui si giudica di poterlo dividere. Sulla fiducia si possono calare di nuovo le reti della speranza, la fiducia che ci siano braccia pronte come le nostre a tirarle fin sull'altra riva. L'approdo di una umanità ritrovata.




La Redazione


in Lotta come Amore: LcA dicembre 1994, Dicembre 1994

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