Con Sarajevo nel cuore

Pubblichiamo una testimonianza di Licio, un amico di Viareggio che, impegnato da sempre in atti concreti di solidarietà, vive - come tanti suoi compagni - una silenziosa, ma reale vicinanza agli abitanti di Sarajevo nell'ambito dell'opera di pace dei "Beati i costruttori".
E, a seguire, una intervista - da lui stesso curata con una donna serba residente a Viareggio da due anni, dopo essere fuggita con la famiglia dalla guerra.
L'azione delle "formiche della pace" e la sofferta condizione di sradicati, in queste pagine della rubrica "I popoli senza volto".
Sono stato a Sarajevo due volte in questi ultimi mesi: alla fine di dicembre '93 e la prima settimana di marzo '94. Ho potuto così verificare il clima che c'era in città prima e dopo la minaccia dell'intervento armato della NATO. Sarajevo è interamente circondata dalle colline: un enorme campo di concentramento di 300/350 mila persone, da cui non si esce e non si entra. La morte e la vita si sono fronteggiate ogni attimo in questa città multietnica e multiculturale che sopravvive grazie alla sua coesione interna, provata da due anni di assedio, ma decisa a non cedere la propria dignità nemmeno di fronte alla morte.
Un elemento centrale di questa città è la solidarietà, perché Sarajevo non vuol perdere quel carattere di tolleranza e convivenza che l 'ha contraddistinta. Qui ortodossi stanno insieme a musulmani, cattolici, ebrei, ecc. e mai niente aveva messo in discussione il diritto all'esistenza di ognuno. Vogliono dividere gli uni e gli altri ma a Sarajevo sono morti ogni giorno sia gli uni che gli altri e tutti insieme rivendicano la pace, finalmente la pace.
Ancor prima della strage del 5 febbraio, a causa della quale è stato imposto il cessate il fuoco, la gente manifestava la sua voglia di vivere continuando, per quanto possibile, le attività culturali e ogni forma di iniziativa che facilitasse le relazioni. Ho visitato il Teatro 55, sulla grande Marsala Tita, più volte bersagliato dalle granate in questi lunghi mesi di guerra. Tre rampe di scale, su un pianerottolo alcuni bambini giocano vociando come tutti i bambini del mondo... un'occhiata, lo scambio di un sorriso e via di nuovo a giocare cantando. Nei primi sei mesi del '93 questo teatro ha prodotto ben 570 rappresentazioni e ancora si producono commedie, musical, concerti, ecc.
Alle 22 comincia il coprifuoco; fino alle sei di mattina uscire in strada è un azzardo che può costare la vita. Ma la vita il giorno dopo ricomincia. Non c'è luce, acqua e gas, ma finché si trova legna da bruciare si può fare un po' di pane nel fornino delle caratteristiche stufe fatte a mano che quasi tutti hanno, e almeno un po' ci si può scaldare. La sede di "Beati i costruttori di pace" è meta tutti i giorni di gente che viene a prendere notizie dei propri cari che sono riusciti a raggiungere l'estero. Le attività pacifiste si susseguono; è terminata proprio in questi giorni una raccolta di firme per intitolare una strada della città a Moreno Locatelli (collaboratore di "Beati i costruttori.." ucciso da un cecchino il 3 ottobre '93 sul ponte Vrbanja). La gente di Sarajevo ricorda con molto affetto e riconoscenza Moreno...
La gente ci saluta, stringe le mani, ringrazia per il solo fatto che siamo lì. Sarajevo non vuole essere dimenticata nella propria tragedia. Un altro giorno è passato e ancora fervono le attività dei beati con la preziosa collaborazione dei volontari di Sarajevo: le riunioni sulle iniziative future, la distribuzione di medicinali, prodotti alimentari e vestiario, i rapporti con i mezzi di informazione ... A Sarajevo ci sono ancora radio e giornali che hanno continuato il loro impegno, spesso in condizioni di fortuna. Radio Indipendente 'Studio 99' è forse tra le più attive della città. Per le attività che svolge e per l'elevato indice di ascolto (quasi 1'80%), è in un certo senso un vero e proprio miracolo in questa guerra. Nel seminterrato che ospita la struttura, ragazzi impegnati a organizzare le trasmissioni, tecnici e ospiti pronti a dare il loro contributo.
Come è lontana da qui l'Europa, come pesa la responsabilità della comunità internazionale che non ha fatto niente per evitare questa guerra. Quante vite costerà ancora l'ipocrisia e l'interesse dell'Europa? Sarajevo vive l'ingiustizia di una violenza che si accanisce indiscriminatamente e nessuno mostra una reale volontà di fermarla. Quanto ancora resisterà l'unità della popolazione, unica vera forza che ancora lascia spazio alla speranza?
La speranza... forse ora, dopo una strage costata più di sessanta vite umane, comincia lentamente ad accendersi. Lo scoppio delle granate non rappresenta più, almeno fino ad ora, il sottofondo macabro del vivere della gente che, giorno dopo giorno, torna a sperare che forse qualcosa possa cambiare. Ma, nonostante tutto, c'è pure un grande pessimismo. La consapevolezza che la fine dei bombardamenti non rappresenta di per sé una pace, la paura che la divisione etnica del territorio sia la tremenda condizione da dover accettare.
Nell'assedio di Sarajevo non esiste famiglia che non abbia avuto un lutto e la distruzione, ora che è meno rischioso girare per la città, appare in tutta la sua evidenza.
Non si può non provare un nodo alla gola nel pensare a quello che ha dovuto subire questa gente in due anni di assedio, durante i quali sono piovute, micidiali, più di tre milioni di bombe. Le condizioni di vita delle popolazioni sono ancora drammatiche; manca di tutto. Dai generi alimentari alle medicine. Solo l'attenzione e la solidarietà della società civile occidentale potranno garantire che Sarajevo ricostruisca, almeno in parte, i suoi legami con l'esterno.
I giovani studenti universitari della capitale bosniaca mi hanno affidato i loro saluti a Viareggio, mi hanno espresso tutta la loro riconoscenza perché la Biblioteca della nostra città ha donato loro alcuni volumi per l'iniziativa culturale "Bosnia-Italia" che si è tenuta dal 14 al 18 marzo. Ed è proprio dai giovani e dalle donne che viene la promessa di costruire un futuro senza odio e senza divisioni; anche se prima di tutto devono cessare la guerra e l'assedio. Sì, perché Sarajevo è ancora assediata e circondata. In Sarajevo si è ancora prigionieri, con l'incubo che questo piccolo spiraglio di speranza possa diss olversi con il solo tiro di una granata sulla gente indifesa. E noi, che troppo facilmente ci siamo dimenticati di quale immane tragedia stesse avvenendo, ci chiederemo forse un giorno perché mai non abbiamo urlato abbastanza la nostra indignazione per quanto stavano facendo a civili inermi fuori l'uscio di casa nostra.


Licio Lepore


in Lotta come Amore: LcA aprile 1994, Aprile 1994

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