I due volti della pace

Scriviamo questo numero di Lotta come Amore in una situazione particolare. Intanto siamo verso la fine di gennaio e prevediamo che questo giornalino possa arrivare - se tutto va bene - per Pasqua.
Tutto con lo scoppio della guerra nel Golfo, si è come terribilmente accorciato, rappreso. La gente in strada con la radiolina all'orecchio per ascoltare "tutta la guerra, minuto per minuto" non è stato solo uno dei modi nuovi di partecipare questo infausto evento, ma anche un segnale significativo di una dimensione interiore, individuale ed insieme collettiva.
Da una parte una spinta irrazionale alla semplificazione di una realtà estremamente in divenire e piena di complessità, ribollente di conflitti e di tensioni ad ogni livello. Semplificazione offerta dallo scontro diretto, dal duello all'ultimo sangue dai proclami di Bush e di Saddam.
Dall'altra una testimonianza della sfiducia nei valori di una collettività responsabile e solidale. Una corsa all'accaparramento non solo dei generi alimentari nei supermarket, dei bunker unifamiliari, ma anche della ultima notizia così da non rimanere indietro nella maratona di una vita all'insegna dell'ognuno per se e Dio con tutti.
Anche lo scontro tra pacifismo ed intervento militare si è fatto al calor bianco. Fin da subito. Il Papa, citato universalmente prima del 15 gennaio, si è trovato (forse per la prima volta nel suo pontificato) all'opposizione nel contesto politico italiano e mondiale. La sfiducia nell'intervento militare come metodo risolutivo delle controversie internazionali è stata affrontata e respinta come imbelle fantasia utopica da una nutrita schiera di intellettuali cosiddetti opinionisti (fabbricano o vendono opinioni...). Il loro realismo si è ammantato spesso di tali contraddizioni e di tali assunti non provati, da rivaleggiare con posizioni antitetiche altrettanto fantasiose e discutibili. Le TV hanno subìto dosaggi strategicamente stabiliti. Negli USA è stata condotta una battaglia, ritenuta dal Pentagono non meno importante di quella combattuta nel Golfo, per depistare l'informazione sulle manifestazioni e sui movimenti pacifisti.
All'interno del nostro movimento pacifista si è forse sofferta più del dovuto la mancanza di leaders storici, di capi carismatici. Ma il clima che si respira nei coordinamenti locali è in genere diverso da quello di precedenti occasioni. Hanno meno possibilità le volontà egemoniche e di contro cresce una capacità ed una attenzione ai modi concreti e alle diverse possibilità in cui si riesce ad esprimere una posizione comune. E gli slogan vengono - sia pure faticosamente - articolati. Riprende fiducia una informazione che non cerca di scopiazzare le grosse iniziative commerciali, ma trova i più giusti canali di una realtà circoscritta e quotidiana in cui la gente si informa dalla gente.
Dicevamo prima che stiamo mettendo insieme questo giornalino in condizioni particolari. E non solo per la situazione determinatasi nel Golfo che sembra aprire la strada ad un nuovo lungo periodo di conflittualità dura e cruenta. La nostra piccolissima comunità si trova attualmente divisa su due continenti e questo fatto che si è compiuto pochi giorni dopo l'inizio dei bombardamenti su Bagdag, può apparire assurdo e sconsiderato. Non tanto, e non davvero, per rischi e pericoli personali, quanto per suddivisione di forze che indebolisce ancora di più la sottile rete della resistenza delle coscienze. Come spesso ci accade, dal momento che siamo peccatori, ci orientiamo volentieri verso il peccato di presunzione, E così pretendiamo, tramite quel nulla che siamo, che la continuazione di una fatica quotidiana, la sottile progettualità che anima piccoli se non insignificanti gesti di incontro e di comunione, non venga spezzata dalla eccezionalità degli eventi.
E' caratteristica fondamentale di una pace che non chiediamo agli altri, ma a cui apriamo la nostra porta, quella di non lasciarci travolgere dall'immediato, ma di lasciarsi colmare dalle misure sempre sovrabbondanti - dolci e amarissime insieme - della vita. A questa pace - questo sì lo confessiamo come una vera e propria mancanza di fede - a questa pace confessiamo di avere poco creduto quando nulla faceva prevedere l'assurdo precipitare della guerra. Forse ne abbiamo parlato con precisione di termini e acutezza di analisi, ma, nello stesso tempo, ci siamo lasciati mettere in trappola da orizzonti senz'altro nobili, ma sempre troppo angusti e ripiegati. Immersi così tanto amorevolmente e doverosamente nel presente da dimenticare che la storia pretende continuamente da noi di contenere negli otri vecchi il nuovo vino. E la Fede di rinnovare continuamente gli otri. Di fronte al dilatarsi del tempo e dello spazio, al rarefarsi delle possibilità di concretezza immediata, c'è come una tentazione prevalente alla marginalità che ci fa privilegiare il vissuto anche ricco, ma statico, di una quotidianità fine a se stessa.
E viviamo l'eccezionale come tale, amato e odiato nello stesso tempo, oscuro oggetto di un desiderio che non sa se abbandonarsi alla corrente viva della storia di questo mondo, o se preferisce racchìudersi in anse profonde dove più immediati si possono leggere i valori della fedeltà e della continuità.
La pace come frutto di un lavoro continuo, costante, premuroso ed attento e la pace come dono che porta via e continuamente rinnova vecchi e nuovi ristagni.
Dovremmo forse vivere questo dialogo incessante, questo incontro aperto e fecondo.
Labbra di una vita che ha la sua definizione in questo suo definirsi mai.



La Redazione


in Lotta come Amore: LcA marzo 1991, Marzo 1991

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