La posta di fratel Arturo

Siamo lieti di dare spazio ad Arturo pubblicando due sue lettere. Una ci arrivò quando il precedente numero di Lotta come Amore era già in tipografia. E precedeva di poco la sua venuta in Italia.
L'altra 1'abbiamo ricevuta da poco attraverso i consueti amichevoli «canali». Sarà come vivere ancora la sua calda, serena presenza.

Cari amici italiani,
da più parti d'Italia mi ricordano che in questo mese di giugno si compiono i 50 anni del mio sacerdozio. Non lo avevo dimenticato, ma a quest'età della vita spirituale, gli avvenimenti della relazione si vivono silenziosamente. Con questa lettera mi propongo di darvi una spiegazione, perché le persone che mi amano e vogliono partecipare con sincerità a questo compleanno, mi capiscano e scoprano lo stile della loro partecipazione.
La nostra vita è la storia di una relazione con un AMICO che riesce ad essere presente intensamente nella nostra vita, quantunque invisibile, e a partecipare il suo progetto che riassume e unifica tutti i progetti che un uomo può pensare. Non dice mai: aspettami lì perché ho da fare qualcosa cui tu non puoi partecipare. Oppure: non posso stare con te ora perché altri amici mi attendono. Al suo partner chiede unicamente di credere che la relazione è reale, che è importante, che dà un senso costante alla vita in tutto il suo arco breve o ampio. Questa relazione è in continua evoluzione, anche se in certi momenti appare statica o addirittura sembra scomparire come l'acqua di un fiume sotto le pietre. La mia polemica contro la cosiddetta formazione spirituale programmata negli istituti appositi è che non sceglie come centro e come meta questa relazione. L'AMICO mi ha concesso il privilegio di comunicarmelo molto presto e di convincermi a crederlo con tutte le mie forze. Noi vecchi non possiamo dare molti consigli ai giovani perché nessuna delle nostre vite può servire da modello. Possiamo solo dire che vita spirituale è la storia di una relazione che tocca le punte estreme della gioia e del dolore, e che l'epilogo vi fa esclamare con una sincerità che raggiunge le radici dell'essere: «valeva la pena!». La mia preghiera è spesso una parola molto frequente sulla bocca dei miei amici brasiliani: «valeu», valeva la pena, la vita non mi ha davvero deluso. Vi direi di non frugare nella mia vita per cercarvi grandezze o miserie, peccati o trasparenze della grazia, perché tutto è travolto e distrutto (o trasfigurato) e resta la relazione. A me non è concesso di fare dei feed back nel passato: la relazione è presente, è acqua di fiume che scorre e quella che passava ieri sotto i vostri occhi, non è più. Per fare un bilancio della mia vita dovrei remare controcorrente: ma il guaio è che non ho remi.
La scadenza di cinquant'anni accende in molti il desiderio o prurito di sapere come sta il vecchio, come porta sulle sue spalle questo peso non indifferente. Gli si chiede che metta a disposizione il suo repertorio di fatti che dev'essere ricchissimo. E forse per questo che non amo si organizzi una festa delle «nozze d'oro»: perché non ho novelle da raccontare: non mi piacciono le farfalle infilate in uno spillo e i francobolli scaduti dalla loro funzione di messaggeri di un'amicizia che vi scalda il cuore. Il vecchio non è in casa in questo tempo; vive in una piccola barca senza remi e senza motore che scivola lentamente su un fiume pacifico verso l'estuario. Non aspettatelo sulla riva perché non tornerà: come può tornare se non ha remi? È molto contento, sta molto bene perché dalla riva lo si vede solo, ma l'AMICO è con lui ed è molto esperto dei cammini d'acqua.
Vi confido che il vecchio ha i suoi momenti di crisi: si ricorda in certi momenti di essere stato un buon remato re. E allora cerca i remi con un certo affanno e la barchetta comincia ad oscillare paurosamente. Poi si calma, si siede sulla traversa di legno e si dà dello stupido, ride di sé e qualche volta piange perché scopre che non si è fidato fino in fondo dell'AMICO. Altro momento della crisi è quando si vede solo: è strano che questo fiume immenso non sia popolato di altre barche, che ad altri non sia venuto in mente di scegliere questo cammino per arrivare alla grande città sulla foce. È possibile che questo guscio di noce non regga fino in fondo, si rovesci, e il passeggero sia inghiottito dalle acque senza scampo. Allora prova la durezza delle parole «uomo di poca fede, perché hai paura?». Veramente - dice a se stesso - «la Parola di Dio è più tagliente di qualunque spada a doppio taglio» (Ebr. 4,12).
Capite, amici, come è difficile in queste condizioni organizzare una festa? Certo, voi avete il diritto di chiedergli che cosa ha fatto in questi cinquant'anni! Ma lui non lo sa: tutto è stato investito nella relazione. Guardatelo dalla riva: avete tempo, potete dialogare con lui perché l'acqua scorre molto lentamente. Vi accorgerete che sta bene, che è molto tranquillo. Se vedete la barca agitarsi ora sapete la causa: l'AMICO lo tiene per mano o soavemente o con energia: non lo farà precipitare nell'acqua. Se non vi interessa lui, ma quello che ha lasciato sulla terra ferma, abbandonate la riva del fiume, tornate indietro, frugate quanto volete, dove volete: lui è già tutto nella gioia del prossimo arrivo.
Vi abbraccio con tutto l'affetto.
Arturo


Cari Amici d'Italia,
sto per lasciare l'Italia: forse, quando mi leggerete, sarò già lontano. Questi spostamenti di luogo non hanno molta importanza; vivo una storia unica che è la storia dell' amicizia. Anche voi avete incontrato degli amici nuovi su uno sfondo musicale costante.
La stagione italiana è stata caratterizzata da avvenimenti che mi hanno commosso profondamente. I tre giovani che hanno aperto la catena tragica dei suicidi mi hanno scosso tanto da togliermi il sonno. Nella mia meditazione notturna, ho pensato quanto sia negativo che avvenimenti di tanta importanza siano inghiottiti nella girandola di immagini, di notizie, di emozioni: travolti nelle novità che rovescia sul mercato la velocissima macchina che produce 'informazione'. Non c'è tempo di cogliere il senso simbolico delle azioni e dei fatti, per cui i nostri giudizi sono sempre sbagliati, perché vediamo il segno e non la realtà. Un fatto come questo suicidio viene presentato dai mass media come un pezzo emozionante che ci lascia spettatori. La nostra responsabilità svanisce addossata ad un essere anonimo in attingibile che continuerà a esigere vittime che saranno immolate sotto lo sguardo di noi spettatori impotenti. Eppure i tre giovani ci hanno trasmesso un messaggio che non è quello che hanno lasciato su un pezzo di carta: è quello chiuso nel senso simbolico del loro gesto.
Erano amici perché si trovarono d'accordo in una decisione: quella di morire. Vollero morire l'uno accanto all' altro perché non volevano che la morte li separasse. Avevano dei desideri comuni, desiderio di sesso, di... , di... molte cose. Forse si stimavano perché ognuno era economicamente autonomo; non avevano il gusto del lavoro, non amavano quello che facevano; ma il loro lavoro permetteva di soddisfare le voglie.
Non erano amici perché nessuno dei tre si sentì «altro» per il suo vicino. Nessuno di loro si sentì necessario per l'altro. Nessuno riesce a far sentire all' altro necessaria l'esistenza perché nessuno dei tre ha assolutamente bisogno che il suo vicino esista. L'esistenza è inutile quando nessuno ha bisogno che tu esista...
I tre guardano avanti e vedono solo il vuoto: non sono abituati a guardare di fianco. Hanno raggiunto l'autonomia economica, l'indipendenza della famiglia: non la libertà.
Questi tre giovani ci hanno lasciato una chiarissima apologia dell' amicizia. Paradossalmente hanno praticato il consiglio del Vangelo 'morire per gli amici'. Direi che sono morti proprio a causa dell' amicizia, «per una amicizia mancata». La vicinanza fisica senza comunicazione sottolinea profondamente la necessità dell'amicizia. Non si può vivere da soli, ma non basta accostare una pelle ad un'altra pelle per essere amici.
Perché non sono amici? Perché li unisce un incontro nei desideri: si trovano per soddisfare dei desideri comuni; ognuno è proiettato sul suo desiderio. E fuori di sé, non è più capace di abitare in sè, e quindi l'uno non può bussare alla porta dell' altro, al cuore dell' altro. Perché l'altro non c'è, è fuori. Ognuno è incapace di amare l'esistenza perché non esiste. Hanno rotto il cordone della dipendenza familiare non per salvare la loro esistenza, ma perché i desideri li hanno risucchiati fuori. La separazione non è stata una scelta, ma una frattura. Forse non hanno mai vissuto la dipendenza dell'amore e hanno dovuto attendere una indipendenza che si affidasse totalmente ai desideri.
Ho riflettuto lungamente sulla meccanica dei desideri e sulla pedagogia dell' amicizia che può essere fondata solamente sull'identità. Il suicidio dei tre giovani non è in fondo un suicidio, ma un assassinio. E il killer è questa nostra cultura. Il consumismo ha bisogno di rendere efficiente la meccanica dei desideri. Impossibile trovare la propria identità perché l'io non torna più a casa. E incatenato e deve obbedire ai desideri e all'idolo che invia questi spiri ti folletti sulla terra. Un corpo tocca l'altro, ma il corpo è disabitato.
Non parto triste, anche se questa meditazione mi ha tolto il sonno: questa veglia non ha niente a che vedere con l'insonnia di cui non ho mai sofferto: è un aspetto della mia relazione con l'Amico e della partecipazione al suo progetto. I fornai non lavorano forse di notte?
Ci troveremo ancora insieme, cercando di capire l'enigma del mondo. Non esistono situazioni che ci permettano di disertare la storia. Alcuni momenti esigono più pazienza, più preghiera, più disposizione alla povertà e cioè a rinunziare a certe ricchezze economiche e non economiche per vedere con chiarezza come e perché e con quale senso dobbiamo continuare ad esistere.
Vi saluto, e continueremo a sentirei scambiandoci dei messaggi.


Arturo


in Lotta come Amore: LcA ottobre 1990, Ottobre 1990

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