Lettere di Amici

«Voglio ancora sperare»
Nostalgia di bene: che bella frase! Nostalgia di cose buone, di un cuore buono, puro, limpido, capace ancora di amare, di sognare, di trasparenza. Sembra impossibile: talvolta ho la sensazione che son parole che giungono da un pianeta molto lontano e attraverso immagini e forme musicali che irritano il nostro sistema nervoso. Oserei dire che servono quasi da spauracchio, da un qualche cosa da cui si fugge perché in realtà si tratta di setacciare la nostra coscienza, di grattar dentro di noi, di vedere senza veli che c'è nel più profondo del nostro essere «uomini e donne».
Visto che abitiamo in una cittadina di mare ci si potrebbe paragonare ad una barca... andare al largo, tirare i remi in barca, respirare profondamente a pieni polmoni e, dopo le prime resistenze, aver il coraggio di trovarci nudi con noi stessi di fronte a Quello Lassù. Chiederci, col cuore in mano, che cos'è questa bontà? Dov'è il bene? E noi 1'abbiamo cercato, tentato di costruire senza drogarci del nostro egoismo? Però se c'è la nostalgia di cose buone vuol dire che prima esisteva qualcosa di buono; se ce n'è un desiderio immenso, vuol dire che prima c'era qualcosa di simile! Ecco la continua ricerca, nonostante paure, svirgolamenti e pentimenti. Non sarà mica una parola vana dietro la quale si nasconde ipocrisia, approfitto, menzogna, egoismo e ingiustizia! Mi rifiuto di accettare questo essere al negativo anche se talvolta ho graffiato e sono stata graffiata nel profondo.
Io vorrei ancora sperare, immergermi nel sogno di bontà con limpidezza, con semplicità, con chiarezza. Basta con le ambiguità! Mi stanca, non ne ho più voglia! Non è anche più facile vivere con chiarezza piuttosto che fare il giocoliere o l'equilibrista tra le varie persone o situazioni? Uno più è chiaro e limpido con se stesso, più lo è con gli altri: è questa la prova del nove!
Nostalgia di bene, di amore quindi, nel profondo rispetto dei ricordi, delle persone e dei loro sentimenti, della loro fiducia. Milioni di persone sono rimaste colpite (e colpite è dir poco) dall'immagine trasmessa dalla TV del ragazzo cinese che avanza da solo, senz'armi, verso un carro armato. Perplessi, ne proviamo orrore, dolore, disperazione... perché ci è pervenuta l'immagine. Ma quando rifiutiamo una persona o trattiamo i nostri simili come «usa e getta», siamo forse diversi dai carri armati? Spesso mi pare assurdo parlare degli «altri» qualora siamo noi stessi la causa di queste apartheid. Se creiamo noi situazioni di emarginazione, è falso poi accalorarci «in difesa di».
Come si può continuare a credere? E in chi? In che cosa? Non vorrei masticar parole come chewing-gum: ne ho il sacrosanto timore: Ma vorrei sognare di avere un mondo migliore, nel quale ci si può fidare ad occhi chiusi dell' amico. Sognare che ci amiamo in una ricerca di bene vicendevole, con carezze e non con pizziccotti, come diceva Papa Giovanni. Ecco la mia nostalgia; e la mia speranza.
Mi sono ripetuta spesso, e forse son io la prima che devo essere convinta. Se desideriamo ve-ramente bene, pace, amore, proviamo a metterei insieme, convinti che solo in un insieme potremo costruire qualcosa (seppur piccolo, povero, non importante), ma che viene dal di dentro più profondo. Altrimenti viene ad essere una solenne mascherata! Nel libro «Il piccolo principe» c'è scritto che quello che è importante non è visibile agli occhi, ma si vede bene solo con il cuore. Amore, pace, bene, facciamo che non siano solo parole, ma prendano corpo! Non sia solo una no-stalgia di tipo ottocentesco con donna appesa alla tenda in languida attesa, ma una ricerca seria, senza intrallazzi.
Mi è stato detto ultimamente: «tu sei la pace»... Magari lo fossi! Però per un attimo mi sono illusa: allora provo a mettermi al lavoro. Spero di usare abbondantemente il setaccio soprattutto se verrò aiutata in umiltà e chiarezza. E anche voi aiutatemi e aiutiamoci. Forse non ce la faremo, ma almeno avremo cercato di non essere cattivi tra noi, di aver almeno tentato di creare armonia e amore.

«E rimane un sorriso»
La storia dell'ultimo anno di vita di un bambino che muore a dieci anni di tumore, raccontata dalla mamma. Un libro che non si lascia fino a quando non si è finito di leggere e che anche dopo resta a caratteri di fuoco, sferzata di speranza. Testimonianza limpida di una esperienza sconvolgente e tragica. Messaggio di amore e di vita. E bello che la mamma stessa di Paolo - questo stupendo bambino maturato troppo in fretta in un'unica stagione della sua vita - apra a chiunque le tremende angosce e la bellezza di quei momenti di rara intensità: «anche nel massimo dolore, in mezzo alle sofferenze più atroci, si può essere felici, e tutte le peggiori esperienze, anche le più dolorose, acquistano un valore impagabile, se sono esse stesse e soltanto esse ad averci portato ad assaporare quell' attimo di felicità che altrimenti non avremmo avuto».
E da Paolo, vivo in queste pagine prive di retorica, un esempio di maturità, un ammonimento severo e tremendo che scuote. Il giorno della sua prima comunione, quando ormai i dolori erano acutissimi, a poco più di un mese dalla morte, nella lucidità consapevole della sua reale situazione, dice: «Ringrazio Dio di avermi dato la vita».

«E rimane un sorriso» di Maria Pallini Chiandai è edito dalla ETS di Pisa. Il ricavato sarà interamente devoluto all'Associazione dei genitori di bambini affetti da leucemia o tumore (A. C.B.A.L. T.).


in Lotta come Amore: LcA settembre 1989, Settembre 1989

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