Faccia a faccia

Durante l'estate la Chiesetta riposa immersa nel verde dei platani che 1'abbracciano e la nascondono al chiassoso andirivieni turistico e vacanziero. Il coro dei pensionati che stazionano intorno esplode spesso in un urlio confuso alimentato dal caldo e aiutato da qualche bottiglia.
I rumori rimbalzano contro le finestre dischiuse, si arricciano come ondate di spuma biancastra e irrompono nelle stanzette con fragore inaudito. A volte con insistente crescendo, a volte come punte isolate di un più che gradevole e pacioso silenzio.
Quando il chiasso è continuo e snervante, oltre ogni incidenza del proprio stato d'animo, ci si sente come assediati e minacciati nella propria solitaria intimità. Come se non ci fosse angolo o rifugio dove fuggire, come se non esistesse più la casa e le mura non offrissero più protezione. È inutile chiudere porte e finestre. Le voci alterate dal discutere inutilmente di inutili cose acquistano timbri di una violenza inaudita.
A volte non se ne può proprio più! Eppure sappiamo quante ore di quiete e di pace autentica ci regala questo meraviglioso angolo di Darsena. E questa consapevolezza ci permette di guardare oltre questo nostro privilegio per rabbrividire di fronte alla disperazione di convivenze forzate, alla violenza di condomini ribollenti, di quartieri attraversati costantemente da tensioni sempre pronte ad esplodere... No, non è davvero per farci compiangere o per piagnucolismo cronico che scriviamo queste cose, quanto per avviare una riflessione che viene su da una esperienza semplice e quotidiana, un piccolo segno che nella sonnacchiosa calura estiva, apre, senza soverchio sforzo, ad altre riflessioni...
Succede infatti che basta semplicemente uscire di casa e starsene appena fuori, oppure andare sull'ampia terrazza perché questa sensazione fastidiosa e assordante si modifichi divenendo meno asfissiante e violenta. Può essere che realmente, in casa, certi rumori risultino amplificati; può essere tutto un fatto psicologico per cui l'uscire fuori comporta un diverso rapporto con il mondo esterno. Chissà? Sta di fatto che nasce comunque un rapporto meno negativo: non c'è amplificazione di effetti sgradevoli; ci si sente meno schiacciati; anche la nostra presenza ha uno spazio e si impone.
Uscire di casa; occupare spazi comuni; confrontare direttamente le differenze. Stare faccia a faccia. Non è certo una ricetta per stare tranquilli o una panacea per ritrovare semplificazioni di sogno. Eppure, a volte, si ha quasi l'impressione di stare percorrendo la via nella direzione opposta. Di fronte ai rumori, neppure tanto di sottofondo, di scontri storici nella attualità; di fronte allo stridere acuto della complessità nei rapporti personali e sociali, ai ritmi di vita diversi, sembra che si risponda crescendo lo spessore e la quantità dei muri divisori, creando doppi e tripli infissi, iso-landosi sempre di più in prigioni più o meno artificialmente procurate. Un mondo sempre più lot-tizzato per questi «rifugi» in grado di imbalsamarci perché sia possibile solo udire la nostra voce e contemplare solo il nostro volto. O tutto quello che comunque sia, sia tutto fuorché dissonanza.
Questa nostra società ci sta offrendo tutta una serie di «club» selezionati secondo le caratteristiche di ciascuno, per facilitare al massimo ogni pretesa integrazione ed evitare più che sia possibile - tramite quel formidabile anestetico che è l'uniformità - ogni temuto trauma da differenza. Anche la chiesa spesso, al di là delle parole, finisce per rispondere al mercato della domanda di «merce» religiosa per adepti invece di offrire stimoli autentici per la crescita di una coscienza personale e di popolo. Non tutto comunque fila liscio per chi ha potere e pilota le cose in questo senso. Nel frattempo esperienze concrete, di base, hanno svelenito molte paure tenute in piedi da steccati ideologici con fini strumentali. E c'è gente - più di quanto si immagini - che ha ripreso il gusto dell'avventura con e tra i suoi «simili». E così oggigiorno anche nella ufficialità civile e religiosa si parla molto di confronto, ma sempre strettamente unito all' aggettivo «costruttivo». Invece di rappresentare un elemento tendente a rafforzare il confronto, il «costruttivo» finisce per essere la scusa per non farne di nulla. Si può forse infatti costruire qualcosa senza fare spazio, affrontare nuove esigenze, «faticare» insomma perché si realizzino i presupposti per la costruzione? Ecco allora che per il «costruttivo» bisogna comunque - prima di tutto - uscire, uscire dal guscio, affrontare l'altro a viso aperto, di persona, a faccia a faccia. E questo rischio, questo campo aperto, è poco amato dall'ufficialità che per «costruttivo» spesso intende solamente quello che rafforza le proprie posizioni, che dà ragion di essere al muro e non lo abbatte o, tantomeno, lo scavalca.
Abbandonarsi alla dolce pigrizia può essere tentazione cui è pienamente concepibile concedere qualcosa, ma non più di tanto perché non risulti perdente una sempre sorprendente voglia di vivere.
Del resto, anche e soprattutto parlando di Dio questo confronto è necessario. Se rimaniamo chiusi dentro di noi - anche nei silenzi e nelle clausure più spirituali - di Dio avvertiamo solo rumori senza senso, parole opprimenti e coartanti. Il Dio che sovrintende alla nostra vita. Oppure il Dio silenzioassenza, quando le nostre difese sono tali da aver eliminato anche porte e finestre per rimanere soli con se stessi.
Solo il mio uscire nella storia e nella umanità, il mio «perdermi» nella quotidianità, fa sì che l'io non si perda in Dio o viceversa, e sia possibile quella lotta come amore da cui scaturisce profondo il desiderio della profezia paolina: «ci incontreremo con lui faccia a faccia e lo vedremo così come egli è».


La Redazione


in Lotta come Amore: LcA settembre 1989, Settembre 1989

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