Storia di un viaggio interiore e dei suoi simboli

Questo piccolo libro prezioso è stato determinante per la vita di diverse persone: per me che ve ne parlo stasera, per don Beppe che venne da Firenze a conoscere il suo autore, per don Rolando che rafforzò la sua amicizia con don Sirio dopo la sua lettura. Noi quattro, con alcuni amici della prima ora, nel lontano '65 decidemmo di dare vita a una comunità di uomini e donne desiderosi di vivere gli ideali evangelici. Da lì prese vita l'avventura che tutti voi ben conoscete, quella della comunità del Bicchio dapprima, in seguito, quella della Chiesetta del Porto.
Ma «Una zolla di terra» era nato prima: don Sirio vi raccoglie i pensieri, gli slanci, la visione che lo animavano durante i primi anni della sua avventura operaia. E un testo che si può associare ai libri di spiritualità, ma detto questo si apre a diverse interpretazioni.
Oggi, per voi, ne ho scelta una fra le, tante, quella di un viaggio interiore. «E' un viaggio - scrivo nella nota di apertura - che si iscrive nei mille racconti (poesie, favole, miti...) dell'anima che vuole avanzare verso Dio, mossa da un'inesplicabile visione, ma per farlo deve superare molti ostacoli. Cosa spinge il protagonista ad affrontare l'avventura? Al richiamo di Dio, si affianca la compassione per il dolore del mondo; durante il cammino scopre che l'amore giustifica tutto, "tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta").1
Don Sirio in quel periodo è disposto ad abbandonare il conosciuto e a diventare folle per il mondo: è un procedere, il suo, che all'inizio è leggero, alato, quasi un volo di uccelli. Più tardi incontrerà la «dura realtà»: come vi ho accennato, sono gli anni in cui compie l'esperienza operaia, conosce fatica, sfruttamento, solitudine e il mondo degli esclusi, ai quali si lega per sempre con un patto di solidarietà che non tradirà mai.
Il libro comincia con queste parole:
"Ho sempre sognato un modo di vivere disperso nel mondo. Un abbandonarsi alla vastità della terra. Come l'acqua d'un fiume che scorre calma e serena e si abbandona alla corrente, lasciandosi portare.
Mi piacciono gli uccelli migratori perché hanno bisogno istintivo di sconfinare, di volare via, di abitare lontani, di arrivare e di partire per gioia di perfetta libertà. Così i pesci che nelle profondità del mare navigano in banchi immensi verso il mistero".2
Nei primi capitoli don Sirio usa - inconsapevolmente, credo - parole, frasi, richiami dal mondo delle favole: sono briciole di innocenza che semina per indicarci un cammino. Il suo cuore, come quello dei bambini e dei poeti, è attratto dal bello e riesce a vedere la realtà esistente sotto la scorza che la nasconde, la presenza dell'anima del mondo, la sua intima essenza. Cristina Campo, in un suo saggio, ci spiega come l'eroe delle fiabe sia sempre mosso dal Bello che irresistibilmente lo attrae e questo bello non è altro che l'immagine del Bene, il suo aspetto sensibile.3
Credo che Don Sirio si sentisse, a tratti, anima del mondo. Quando, durante il viaggio, arriva insensibilmente verso un punto di non ritorno, la visione di luce che lo aveva attratto cambia. Si compie il passaggio dall'infanzia all'età adulta, nella quale le fiabe sono solo un ricordo, d'altronde, il suo è un viaggio di iniziazione. Troppo si è lasciato immergere nella solitudine dell'uomo, non ha parole che per descrivere il dramma "dell'anima schiacciata dal peso della terra e del tempo". Sarà con le braccia cariche di questa realtà che don Sirio riesce a risalire verso l'amore, non lottando, ma abbandonandosi a Dio, sicuro che Lui saprà portarlo alla meta.
Il suo procedere si fa via via sempre più assorto, preso completamente da quanto va scoprendo: "Bisogna abituare il cuore ad udire le voci del filo d'erba e della stella del firmamento, ma in modo speciale il richiamo della solitudine e della pena degli uomini. "4
Il passaggio chiave che distingue un prima da un dopo, l'ultima volta di un novellare di ragazzo e la forza che gli occorre per avanzare verso il bagliore che aveva intravisto, li descrive così:
"Se il camminare e camminare nella luce e nel buio, in superficie e negli abissi alla ricerca del mistero è fatto in serena libertà, si arriva alla porta misteriosa delle novelle antiche che si apre solo al suono di magiche parole. E una soglia da varcare con coraggio, anche se il paesaggio intravisto ci spaventa, perché diverso da quello fin qui conosciuto.
Sembra un abisso senza orizzonti, eppure, se la ricerca non è finita, dobbiamo trovare l'ardire di avanzare, i piedi nel vuoto, non più sorretti dal selciato duro e solido della strada battuta e nemmeno dalle pietre di breccia scagliosa dei sentieri montani.
Smarriti, entriamo lentamente dentro il Mistero di Dio, dove arrivano tutte le strade che fasciano il mondo."5
È giunto anche lui nella selva oscura, oscura per lo smarrimento che gli viene dal non avere più punti di riferimento (la diversità del paesaggio che intravede gli pare un abisso senza orizzonti) oscura per il dolore e la solitudine che incontra.
Entrare nel "luogo oscuro" è una situazione ricorrente dei miti o delle favole. È nella difficoltà che l'eroe mostra le sue capacità, ma don Sirio non è lì né per combattere, né per vincere la partita con l'astuzia; non desidera ottenere la mano di una principessa, come ricompensa al suo ardire.
A chi, allora, va nelle fiabe la sorte meravigliosa? "A colui che, senza speranze, si affida all'insperabile. Non conta su eventi particolari, perché è certo di un Realtà che racchiude tutti gli eventi e ne supera il significato".6 Qui, magicamente, lo sconosciuto (i nuovi paesaggi) diventa il conosciuto massimo:
"Allora ciò che stiamo vivendo acquista valore, come se cominciasse a crescere di preziosità per il semplice far parte di un disegno misterioso eppure chiaro, un gioco che intreccia cielo e terra. L'intima essenza della realtà si rivela e se ne conosce il cuore".7
Da lì cerca Dio per tutti gli uomini, d'ora in poi il nuovo che può guidarlo ha un solo nome: la Pietà.
"Mi guida l'Amore determinato da identità di problemi e di destini, che rinuncia a una conoscenza fredda e staccata".8
Il tema di rinunciare alla guida della Ragione per affidarsi al cuore, agli istinti, alla densità dei sentimenti, è stato sottolineato da diversi pensatori del '900. La Ragione ha fatto molto per noi, ci ha condotto per mano dalla Rivoluzione Francese in poi verso un sistema di leggi e di rispetto, ma più in là della giustizia e della tolleranza non è in grado di andare. Per avvicinare l'uomo, per guarire il suo cuore occorre, diceva Maria Zambrano - una grande filosofa spagnola che ha attraversato tutto il secolo scorso - la Pietà. Ne parla circa l0 anni prima che don Sirio scrivesse questo libro, nel '49, quando definisce la Pietà il più gigantesco dei sentimenti, «il più ampio e profondo, quasi la patria di tutti gli altri9".
E ancora, scrive: "Al di là dei saperi chiari, non ci sarà bisogno di altri saperi, meno distinti e chiari ma altrettanto indispensabili?" Pietro Barcellona, filosofo del diritto, una delle belle menti di questo nostro tempo, si e molto occupato negli ultimi anni dei limiti della Ragione10, capace di mutilare l'esistenza reale, il corpo, le emozioni, fino a produrre una nuova patologia: l'uomo senza sentimenti.
E come non citare il sociologo francese Edgar Morin, padre del pensiero complesso come unico metodo di lettura della realtà, una modalità che «permette di articolare ciò che è collegato e di collegare ciò che è disgiunto»? E nell'ambito di questa complessità che Morin rivendica la liberazione della Ragione dai suoi limiti che le impediscono di vedere i bisogni, le spinte, la ricchezza dei miti: la vita.11
Tutto questo don Sirio lo ha scoperto non perché ha elaborato un pensiero filosofico, ma semplicemente vivendo la vita senza difendersene, andando avanti, mai stanco; perché si è lasciato dilagare il cuore dalle domande senza risposte che ha incontrato. L'intera sua ricerca è fatta di partecipazione. Stefano vi leggerà due brani, tratti da due diversi testi: «Una zolla di terra» e «Uno di loro», il suo secondo libro. "Non sono mai solo. Sono legato a tutti. Camminiamo a folla, ma uniti a catena. E i miei diritti sono ormai solo doveri: la legge che mi regola è l'Amore, solo la sua osservanza può giustificarmi a vivere, a mangiare, a respirare. "12
"Mentre lavoro in cantiere, nonostante il rumore assordante e la stanchezza fisica, mi sembra di essere sponde di una fiumana infinita. E allora mi sale dal cuore un desiderio immenso come tutto l'universo, una preghiera, un chiedere con gli occhi, uno scongiurare con tutta l'anima, un implorare dolce e calmo con dentro una sofferenza ed una gioia terribili ... perché io so quanto l'umanità ha bisogno di Lui. E davanti a Dio non sono più io, sono loro, sono tutti."13
Durante il lungo viaggio che ha compiuto, don Sirio di è guadagnato faticosamente ogni progresso: era il prezzo da pagare per giungere a scoprire il segreto nascosto in basso, nelle pieghe della storia (gli abissi di cui parla). E questa coralità collettiva alla quale giunge che lo distingue dagli Eroi, il cui compito è singolo/singolare, per definizione, mai corale.
Da una storia simile a tante storie antiche, alla sua storia, quella di un cantore dell'Amore che ha una caratteristica: partecipare, essere insieme, accogliere, tessere Luce dentro una realtà di ombra, sicuro che il mondo è in cammino e che esiste una forza creatrice più grande di come si è espressa fino a questo momento; e certo che noi, se crediamo, possiamo tradurla in forme nuove. Per gli uomini va tenacemente alla ricerca della Speranza nel cuore di Dio per "portarla in ogni angolo, accanto ad ogni essere vivente. Non si può -scrive- lasciarne fuori nemmeno uno".14 Nel cuore gli canta la speranza, perché "cercando al di là del tuo limite e del mio, al di là della mia misura e della tua ho scoperto Dio".15
La cosa forse più straordinaria di questa avventura è che don Sirio riesce a tenere insieme il dolore e l'amore: Simon Weil, che è stata per lui in quegli anni un punto di riferimento forte, scriveva «La fede è credere che la realtà è amore e niente altro. [ ... ] Credere che la realtà è amore, pur vedendola esattamente come è»16.
"Lo so che questa realtà umana sconcerta e smarrisce e per noi credere di essere amati diventa quasi un assurdo sogno impossibile, ma è perché non abbiamo ancora accettato che Dio sia Amore. E che per Lui la misura di amare è veramente quella di amare senza misura: non prova delusione, Lui, non ha paura a cedere, a rinunciare. Può permettersi di tutto accettare, anche i condizionamenti più gravi, perché qualsiasi cosa richiesta o imposta, gli dà d'essere Amore."17
Questo atto di fede è stato forse il passaggio più difficile da compiere: lo scandalo del dolore del mondo ha sempre fatto sentire forte la sua voce. Ma lui ha creduto che, nonostante tutto, il mondo è amore e tutta la sua esistenza ha testimoniato che è possibile fare nascere nuove dinamiche di vita.

(1) 1Cor 13,4-7
(2) Sirio Politi, Una zolla di terra,EDB, 2008, Cap. I,44,45
(3) Cristina Campo, Della fiaba, in Gli imperdonabili,Adelphi, 1987, 29-42
(4) Politi, op. cit. Cap. I,47
(5) Politi, op. cit. Cap. III,58
(6) Campo, op. cit. 41
(7) Politi, op. cit. Cap. II,55
(8) Politi, op. cit. Cap. VIII,85
(9) Maria Zambrano, Per una storia della pietà, Cuba, 1949
(10) Pietro Barcellona, Critica della ragion laica, Città Aperta edizioni, 2006
(11) Edgar Morin, Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer, 1993
(12) Politi, op. cit. Cap. XVIII, 139
(13) Sirio Politi, Una giornata di lavoro, in Uno di loro, Gribaudi, 1967, 80
(14) Politi, op. cit. Cap. II,53
(15) Ibid, Cap. VI,76
(16) Simone Weil, Quaderni IV, Adelphi, 1993, 300
(17) Politi, op. cit. Cap. XI,103,4

"Forse ho soltanto scritto una lunga lettera a chi si può scrivere a cuore aperto e come ogni lettera anche questa è fatta di parole semplici e vere: parole scoperte e raccolte con gioia e sofferenza nel segreto dell'anima e scritte con tanta fiducia perché vogliono essere soltanto Amore"
(dall'introduzione di Una zolla di terra)


Maria Grazia Galimberti


in Lotta come Amore: LcA dicembre 2008, Dicembre 2008

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