Il tempo della disobbedienza

Questa lettera era stata inviata al giornale «La Repubblica» perché venisse pubblicata e servisse di stimolo per una riflessione e una allargamento di dibattito sul problema così tragicamente attuale della corsa al riarmo, Non risulta che il giornale in questione l'abbia pubblicata.
Ho letto con piacere su «Repubblica» del 18/8/81 il commento che il vescovo di Spoleto monsig. Ottorino Pietro Alberti ha fatto il giorno di Ferragosto a proposito del testo dell'Apocalisse cap. 12 denunciando con coraggiosa chiarezza il riarmo in corso a base di missili a testata nucleare e di bombe al neutrone. «Denunciare e deprecare non è sufficiente - dice il vescovo - ma è comunque necessario». Su questo sono pienamente d'accordo, anche perché è raro che a livello di gerarchia della Chiesa cattolica lo si faccia nei tempi e nei modi che sarebbero richiesti dall'urgenza e gravità dei problemi: la storia è piena di questi «ritardi di denuncia» e di prese di posizione chiare e precise.
Penso però - ed è questa la domanda che vorrei fare a monsig. Alberti per aprire un dibattito franco e leale su un problema di vitale importanza per tutti - che riguardo al «che fare?» forse è giunto il tempo per i credenti nel Dio di Gesù Cristo (e anche per i credenti nell'uomo) e quindi anche per la gerarchia, di dare risposte più evangeliche.
Denunciare la corsa agli armamenti da parte delle grandi e piccole potenze, va bene; depreca-re la condizione di ingiustizia e di fame, va bene: ma tutto questo che è già stato fatto in modi e maniere diverse al ripresentarsi di ogni pericolo di guerra (vedi I e Il mondiale), quali risultati ha prodotto?
Non sarà giunto il tempo, e forse chissà da quanto, di proclamare da parte della gerarchia «l'anno della disobbedienza?» Una disobbedienza che nasca, per il credente, dalla radice stessa del Vangelo e dalla profezia del regno di Dio fra gli uomini; e che al tempo stesso affondi dentro l'anima del popolo, del nostro come di tutti i popoli della terra.
Là dove l'umanità ha subito le ferite più terribili, gli inganni e gli sfruttamenti più tragici, lo schiacciamento della propria dignità di uomini in nome di una «difesa» che altro non era se non l'interesse del più forte.
La proclamazione, l'invito, l'annuncio di questo tempo della disobbedienza, dall'operaio che lavora alla fabbricazione delle armi ed è quindi all'inizio della catena della morte - anche di quella nucleare; ai giovani chiamati ogni anno a rinnovare con la loro «obbedienza» la vitalità della struttura di tutti gli eserciti, organismi nati e alimentati unicamente per strategie di morte; ai cappellani militari che in Italia come in altri paesi sono il supporto religioso al concetto di un esercito in qualche modo "battezzabile", di una difesa legittima anche se essa significa in termini reali l'uccisione e l'annientamento del nemico. Ed ora che di fronte alle terribili armi nucleari e al neutrone "nemici" siamo diventati tutti, dal bambino appena nato al vecchio centenario, come la mettiamo?
In questa prospettiva, cosa dovrebbe dire il parroco di Cosimo nel ragusano ai muratori e carpentieri che dovranno mettere mano alla sistemazione delle basi missilistiche per i cruiser?
Forse è davvero giunto il tempo in cui per nessuno "L'obbedienza non è più una virtù" come aveva coraggiosamente e profeticamente intuito l'amico don Lorenzo Milani, il parroco di Barbiana che per fedeltà a Gesù Cristo scelse di stare dalla parte dei poveri per ridar loro la parola.
E molto prima di lui, un altro prete e martire, il tedesco Max Joseph Metzger ucciso dai nazisti nel 1944 aveva affermato in una lettera dal carcere inviata al Papa in quello stesso anno: «Se l'intera cristianità avesse fatto una potente, unica protesta contro la guerra non si sarebbe potuto evitare il disastro? ».
Viareggio 13/8/81



don Beppe



in Lotta come Amore: LcA novembre 1981, Novembre 1981

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