Cosa fare

Sempre più martella nell'anima con esigenze irrimandabili di risposta, la domanda. Urge trovare, scoprire o almeno inventare la strada sulla quale camminare, decidere quale fardello portare sulle spalle e poi sapere, almeno con una certa approssimazione, verso quale meta orientarsi e là dove è giusto e necessario arrivare.
Non può essere preso in considerazione il problema dei prezzi da pagare, delle amare delusioni da inghiottire e tanto meno va messa in conto la stanchezza, che può anche essere suprema; come quando si ha l'impressione di non farcela assolutamente più.
Perché in questo frangente di tempo, da pochi mesi a questa parte, il senso del vuoto e dell'inutile, angoscia l'anima incredibilmente e si porta via, con la tentazione dell' «ora basta» , le ultime, residue forze della fiducia e della speranza.
I movimenti per la pace e le grandi manifestazioni in Italia e in Europa, hanno concluso con lo scavare fino all'osso questo vuoto. E' venuto l'inverno meteorologico, ma più terribile ancora quello iniziato con i113 dicembre e sceso giù dalla Polonia a raggelare una circolazione di sangue giovanile che pareva rivelarsi ardente come una promessa nuova di vitalità. Così tanto da scuotere e agitare la morta gora del qualunquismo generale, soffocante e maleodorante, fino a impressionare e impensierire le crasse istituzioni politiche di casa nostra e fuori.
Un'ondata di piena insomma non straripata al di fuori degli argini, ma che se non si arrestava e si placava cosi improvvisamente e stranamente, avrebbe sicuramente straripato e nella piena dilagante non poche resistenze avrebbero travolto: senza dubbio gli euromissili a Comiso, i militarismi di Lagorio, le strategie americane della Nato, hanno messo in difficoltà molti schemi di politica sclerotizzata, la disumana industria delle armi, il patriottismo dell'esercito... e creato una coscienza nuova popolare, consistente specialmente nel fatto che se il popolo vuole ancora può.
Invece è venuta di colpo la paura. E non soltanto per il popolo polacco e il suo sindacato. È venuta la paura alla chiesa ridotta a piangere in piazza S. Pietro e davanti ai televisori insieme al papa polacco, angosciato per le sorti ingloriose della «sua patria» e della chiesa polacca.
E la paura è venuta e sconcertante al P.C.I. come quando si agita il vento di tempesta e il mare a forza dieci mette in grave pericolo la nave: bisogna gettare a mare la zavorra (65 anni di storia, accidenti) e cercare di reggere e dominare il ciclone.
I sindacati, ma specialmente gli operai, hanno avuto paura che i loro problemi sul costo del lavoro e sulla cassa integrazione, fossero scavalcati dalla tragedia di Solidarnosc. Come se non fossimo tutti legati alla stessa catena tenuta per mano da una parte da Reagan e dall'altra da Bresnev.
I giornali hanno soffiato sulla paura e si sono riempiti di Polonia e di terrorismo, di mafia e di camorra. Le televisioni hanno fatto rivedere le stesse immagini delle strade di Polonia sporche di neve infangata da carri armati e autoblindo, almeno un milione di volte, e i volti sorridenti e trionfanti degli sfruttatori delle disgrazie altrui.
E i movimenti per la pace?
Forse sono rimasti paralizzati dalla paura di essere rimasti soli e quindi in pochi, per il fatto che i cattolici avevano altro da fare, piangere con il papa Woitjla e i comunisti anch'essi in altro impegnati, a piangere cioè con Berlinguer o non con lui.
Della pace non se n'è occupato più nessuno. Un clima tiepido autunnale raggelato dal vento glaciale venuto dal nord.
E ora?
Rieccola la domanda, acutizzata e sconcertante come un vecchio malessere che ritorna ancora più carico di sgomento: cosa fare?
Pensiamo che nessuno ha delle risposte chiuse nel cassetto, dei preparati pronti all'uso, delle ricette misteriose. E forse nemmeno idee nascoste negli angoli più segreti della propria anima.
Parrebbe che tutto sia come logorato, consunto e i rattoppi erano qualche pezzo di stoffa nuova sul vestito vecchio.
E certamente è successo (e sono alcuni decenni che sta succedendo) che il vino nuovo si è trovato in otri vecchi e tutto è andato puntualmente in malora. C'è chi nel cercare di ravvivare la speranza, nei tentativi di ricominciare con fiducia, è invecchiato. Perché gli anni passano e scavano il corpo e l'anima di abissi sempre più senza fondo, dove è inevitabile e giusto perdersi. Ma questo perdersi non vuoi dire staccarsi, dividersi, sparire, seppellirsi...
Forse è rinsaldare quella libertà fino a diventare anima della propria anima, destino del proprio destino?
E tutto questo però può anche voler dire che chi ha scoperto che la propria vita, la propria esistenza, è ordinata spiegabile e giustificabile soltanto nell'affermazione della libertà per se stesso, per gli altri, per tutti, per l'umanità intera, ha scoperto e trovato una buona risposta alla domanda, all'angoscioso problema del «cosa fare».
Perché, sempre, ma particolarmente adesso, in questo tempo in cui è così abissale il vuoto di valori, può anche comportare il decidersi a vivere, pagando qualsiasi prezzo, liberamente, con spirito libero, in un'umanità schiavizzata da ideologie e culture disumanizzanti, da interessi economici fino alla pazzia, dal culto della violenza e della morte, dalla produttività del benessere a gettito continuo e progressivo, dall'oppressione di blocchi imperialistici, di militarismi spietati e di armamenti fino alla capacità distruttiva del mondo intero. Può anche significare che il vivere la vita, la propria vita, il proprio quotidiano e custodire rapporti e alimentarli, con gli altri e con la storia in modo umano, con spirito libero, pacifico, fraterno ecc. è già un «cosa fare» scoperto e vissuto, realmente formidabile.
Perché il non lasciarsi travolgere e affogare dallo straripamento della fiumana, è già salvarsi e salvare.
È di nuovo il tempo in cui la «resistenza» è decisiva, essenziale impegno, dovere, responsabilità, giustificazione di vita.
Tanto più è rispondere al «cosa fare» la capacità di offrire. Offrire cosa?
Offrire la Fede, una Fede. Credere in Dio è credere nell'uomo. Credere nell'uomo è credere in Dio. Lottare contro la violenza, qualunque essa sia. è sempre Amore. Difendere la creazione, l'esistenza. è essere dalla parte del Creatore. Affermare la vita contro lo strapotere della morte affermata e cercata come l'unica soluzione dei problemi umani, è credere nella Resurrezione. Respingere l'esercito, le armi convenzionali e nucleari, le fabbriche di armi, i blocchi tutta la politica di guerra, è sognare e amare la fraternità, l'uguaglianza, la non violenza...
Svanire dentro se stessi ogni istintività egoistica, saper essere felici di un bicchier d'acqua e di una boccata d'aria pura, dell'aurora e del tramonto, di un fiore e di una stella, di occhi luminosi di Amore, di una stretta di mano... è affermazione e credere appassionatamente alla pace.
Forse tutto ciò che è organizzato (l'organizzazione è sempre un insieme, un accumulo, spesso un'accoglienza, di valori e di miserie umane) va male, frana, è inghiottito e sparisce nella fiumana travolgente della storia, perché gli uomini (l'umanità) si convincano (!!?) che «il Regno di Dio - cioè l'umanità vera - è dentro di noi», in ciascuno di noi, come Gesù affermava.
Bisogna cioè decidersi a rifarci da noi, da ciascuno di noi (è chiaro, non per chiuderci nel personale, nel privato). Sì che ognuno sia quell'umanità che sogniamo. È per questa pace, per noi e per tutti, che lottiamo. Anche per non perdere tempo e forze e speranze, logorandoci nell'angoscia di quella terribile domanda «cosa fare».
E per, essere pronti nel caso che Dio o la storia, cioè la Fedeltà, ci abbiano a chiamare.
E sarà sempre come bussare alla porta di casa, cioè forse quando meno ce l'aspettiamo.




in Lotta come Amore: LcA gennaio 1982, Gennaio 1982

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