Lo spettacolo

Si tratta di un fenomeno non certamente tipico del nostro tempo. Il mettersi in mostra, l'esibizione personale, l'organizzare manifestazioni spettacolari, la strumentalizzazione delle folle, delle moltitudini affascinate, imbambolate dal personaggio spettacolo, è sempre stata una risorsa del potere per avvincere e convincere le masse. Il fenomeno spettacolo "spettacolo", favorito com'è dalla tecnologia e dai mezzi di comunicazione, in questo nostro tempo, sta trasformandosi però in vero e proprio attentato alla ragione umana. Siamo al punto di rischiare l'assassinio delle facoltà costitutive dell'essere umano e cioè dell'intelligenza della volontà, della libertà, della coscienza individuale e collettiva.
In mano e totalmente al potere, in tutte le sue espressioni settoriali e globali, lo spettacolo e i suoi attori, intenzionalmente, volutamente, sta scavando sempre più vuoti paurosi d'interesse personale e collettivo, riempiendoli e traboccandoli poi - si tratta di micidiale violenza e sopraffazione - di interessi cari al potere: qualsiasi realtà di potere, da quello politico, all'economico, da quello partitico, al militaristico, da quello ideologico a quello religioso.
Lo spettacolo è sempre una violenza del potere sulla suggestionabilità della gente, dei popoli. Si tratta ogni volta di giocare sulla sensibilità della massa per catturarne e imprigionarne il consenso, l'adesione, la dipendenza. È il perdersi dell'individuo e lo smarrirsi del suo giudizio soggettivo e oggettivo, nella marea montante dell'entusiasmo provocato dallo spettacolo.
Gli occhi, l'immaginazione, la fantasia, il sentimento, a causa dello spettacolo, acquistano tali misure di sopraffazione sul pensiero, il ragionamento, la capacità di giudizio fino a produrre la distorsione più assurda dei valori e ciò che è può essere, nullità, irrazionalità di ridicolezza od orrore, diventa persuasione, consenso, partecipazione.
Lo spettacolo è il momento e il luogo dell'irrazionalità perché è il momento e il luogo dell'emozione e dell'emozione personale e collettiva, individuale e di massa. Ogni volta che la persona viene aggredita e sopraffatta (e lo spettacolo ha dell'irresistibile per la sua forza di oppressività) diventa la goccia d'acqua a formare la fiumana capace di tutto travolgere. La persona, questa sintesi di ogni valore umano, ammassata nella moltitudine, diventata marea di teste, di braccia agitate e di bocche gridanti, non è più umanità, qualsiasi possano essere le motivazioni, i valori rivendicati o affermati.
Perché l'ammasso è irrazionalità, passivizzazione, remissività rinunciataria. La folla significa soltanto e sempre delega, un affidarsi emotivo, un consegnarsi irresponsabile. A parte la stupidità del godersi lo spettacolo, dell'esaltazione collettiva, del compiacimento per un'impressione di forza, il raduno "oceanico" è sempre e unicamente rafforzamento del potere, appoggio ai programmi prestabiliti, consenso alle scelte già fatte.
L'affollamento non è mai una ricerca propositiva, un dialogo libero e paritario, una possibilità di scelte.
Non è manifestazione di volontà libera ma di obbedienza cieca, di accettazione, di annullamento personale per la fiducia di ritrovarsi vivo ed esistente, deciso e forte, "nell'altro", cioè in chi ha pensato, organizzato e gestisce lo spettacolo.
E una moltitudine di esseri umani che si fa tutt'uno con chi utilizza e strumentalizza la moltitudine, si raccoglie nelle sue mani e gli offre la propria forza, non è umanità, ma servilismo, supinità, assurdità.
"Tu sei noi. .. noi siamo te" è trasposizione di pazzia collettiva, di esaltazione criminale, di vera e propria idolatria. E sappiamo bene che l'idolatria è peccato che non è né può essere perdonato. Si paga sempre. È il "vitello d'oro" (simbolismo di sconcertante chiarezza) che non può che essere distrutto, ridotto in polvere e la polvere sciolta nell'acqua, acqua che dev'essere bevuta da chi ha posto l'idolo sul piedistallo.
E la storia racconta che cosi sempre è avvenuto. La constatazione è amarissima: la storia non è maestra della vita, è soltanto la vicenda di una pazzia, di una schizofrenia implacabile, irrefrenabile, inguaribile. E la civiltà, il progredire della cultura, non ha fatto fare all'umanità un passo avanti nella liberazione della disumanità della storia.
E cosi è delle religioni, cosi è del Cristianesimo, della Chiesa.
Su una piazza, quando il potere politico, partitico, sindacale, ecclesiastico, lo ritiene opportuno.
Questo radunarsi a folla, a moltitudine, sempre plaudente, osannante, delirante... ad ascoltare "uno" che parla cioè legge un discorso preparato con cura e furbizia nei giorni precedenti e forse affinato e collaudato dai consigli dei consiglieri.
Davanti al televisore e la folla è sbriciolata in una miriade di salotti, di cucine, di bar, di ritrovi. E tutto è studiato ad effetto, accuratamente programmato. Tutto, assolutamente tutto è spettacolarizzato, senza pietà, sviscerato in immagini e in parole, mostrato, sezionato fino all'orrore, alla nausea.
Perché ormai lo spettacolo e le sue esigenze hanno sostituito i valori umani, il rispetto, la pietà. E più ancora la essenzialità costitutiva dell'essere umano e cioè la ragione.
Si sta costruendo un'umanità i cui gusti sono sempre più il disumano e il disumanizzante. Allora ogni orrore è possibile, l'abitudine può cancellare le ultime difese, le estreme speranze di respinta.
E ci si appiattisce tutti, in una passività assurda, nel ruolo di spettatori, gente da ammasso in piazza e da ammasso sulla poltrona davanti al televisore. È costatazione impressionante, sconcertante, quanto l'emotività, il provocarla e lo sfruttarla, sia la realtà di rapporto dove le classi dirigenti (politiche, culturali, economiche, militari, ecclesiastiche) ricercano spazi di potere nei confronti delle classi subalterne, popolari.
Lo spettacolo ad ogni costo, attraverso qualsiasi mezzo, lasciando cadere ogni pudore e ritegno, con l'insistenza più pressante, ricorrendo a qualsiasi risorsa, è l'arma spietata di questa guerra per sottomettere e soggiogare individui e popoli in un asservimento di passività, di rassegnazione, di qualunquismo. Perché ciò che interessa ai personaggi dello spettacolo è sostituirsi al pensiero libero, alla ragione indipendente, al giudizio responsabile, in modo e misura tale che la persona si dissolva nella folla e la folla, che è sempre anonima, attraverso la commozione e l'esaltazione dello spettacolo, si lasci andare all'applauso, questo dialogo assurdo a base di irrazionalità e di plagio, di asservimento e di stupidità.
Tutta questa oppressione e strumentalizzazione dello spettacolo, è realtà di ogni giorno in ogni angolo della terra, dove uomini e popoli vivono e dove quindi domina autorità e potere.
Sono gli schemi obbligati e puntualmente raccolti anche se con diverse modalità e misure da ogni e qualsiasi regime politico. Sono le adorabili verità del mistero di Dio e dell'amore cristiano tradotte in realtà storica temporalistica, terrena, non evangelica.
Nella condizione storica nella quale stiamo vivendo, c'è una guerra guerreggiata ricorrendo a tutte le risorse che la cultura e la tecnologia moderna offrono: la guerra dello spettacolo.
Questa guerra piace molto ai diversi personaggi e la combattono con perspicacia, furbizia, e instancabile perseveranza. Perché spettacolo oggi e spettacolo domani, lo spettacolo finisce per creare il personaggio e allora il gioco è fatto: lui crescerà (e chi può misurarne le dimensioni d'importanza storica?) e il popolo diminuirà nei suoi diritti e nei suoi valori ( e chi potrà calcolare il bloccarsi del sud cammino storico e forse il suo regredire?).
Non intendiamo fare riferimenti a personaggi e a spettacoli. Anche perché l'elenco sarebbe interminabile e i luoghi a carta geografica. È chiaro che particolarmente interessa e angoscia lo scivolare in questa tentazione, della Chiesa e della sua gerarchia. Confessiamo che anche celebrazioni liturgiche spesso le avvertiamo cedere allo spettacolo e in quei casi ci sgomenta che anche Gesù Cristo e Dio e la Fede (con tutta la carica emotiva che comporta) siano strumentalizzazione per spettacoli che è forse sacrilegio definirli spettacoli di Fede. La Fede non è e non può essere mai spettacolo.
Le tentazioni respinte da Gesù (fra i misteriosi significati) certamente sono anche un tagliente e categorico rifiuto dello spettacolo.
Perchè l'unico "spettacolo" cristiano è unicamente quello della Croce. Quello spettacolo (lo descrive S.Paolo) di gente che raccoglie in se stessa l'orrore che imperversa nel mondo e ne fa la sua Croce sulla quale crocifiggere l'Amore, la fraternità, la dignità umana, in riscatto, in redenzione, in speranza di salvezza.
La cristianità non è crocifissione, le chiese non sono un Golgota ma spettacolo di liturgie e Gesù Cri. sto continua ad essere il solo Crocifisso davanti a spettatori.
La passività, come sempre, è il grande nemico dell'Amore perchè è indifferenza. E è peccato contro la Fede perché è rispondere di no alla chiamata a coinvolgersi attivamente nel mistero della gloria di Dio e della salvezza del mondo.
Offrire come proposta il rifiuto del personaggio, della piazza, dello spettacolo, può essere giudicato contestazione assurda a va bene, proporre però che ogni cristiano, ogni comunità cristiana si prenda sulla coscienza, personalmente, la responsabilità della salvezza del mondo e sulla propria croce apra le braccia all'Amore universale, non è sogno mistico, utopia medioevale, ma serio impegno di sincerità cristiana, autentico rapporto con il mondo in nome e in virtù di Cristo.



in Lotta come Amore: LcA settembre 1982, Settembre 1982

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