Lettere di amici

Don Sirio carissimo,
sono contento di ricevere puntualmente il tuo "Lotta come amore". E lo leggo sempre con attenzione. Mi pare sia un barlume di profezia in un mondo appiattito da atavici compromessi.
Se mi è lecito, tuttavia, vorrei manifestarti alcune riflessioni che da tempo maturano nel mio animo. Si è vero che la gerarchia non denuncia con chiarezza ed inequivocabilità le mancanze dei regimi politici; come pure è vero che la guerra dovrebbe essere additata come il male vero e profondo... Quello che però, a mio modesto avviso, sembra essere la radice di ogni deficienza della chiesa gerarchica è la posizione che essa storicamente ha assunto e che continua a mantenere. Da tale posizione, come per conseguenza "inevitabile", derivano le mancanze che il tuo giornale, giustamente del resto, rileva. Cosa intendo? È presto detto.
Alcune accuse mosse da Gesù Cristo alla chiesa ebraica del suo tempo mi sembrano essere trasponibili "ipsis verbis" alla gerarchia ecclesiastica odierna.
«Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo: Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» (Matteo 15, 7-9).
(...) «Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini (...) amano posti d'onore nei conviti, i primi posti nelle riunioni ed i saluti in pubblico, come pure sentirsi chiamare maestri dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare maestri perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno padre sulla terra perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. (...) Appaiono giusti all'esterno, davanti agli uomini, ma dentro sono pieni di ipocrisia e di malvagità» (Matteo 23, 4-9; 28).
Per non parlare poi di come trattano quelle che, per la loro ottica, dovrebbero essere le pecorelle smarrite. Anche in questo sono lontani dall'insegnamento del Maestro buono:
«(...) Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti per andare in cerca di quella perduta? (...) Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli» (Matteo 18, 12.14)
Ma forse è ancora "opportuno" lasciar morire uno solo piuttosto che mettere in discussione l'intera istituzione (confronta Giovanni 11, 50).
Vedi, fratello Sirio, la mia impressione è che sia stato tradito il cuore di Gesù! e, questo è il paradosso, proprio in nome di Gesù stesso!
La dignità, gli onori, le poltrone, i soldi,... hanno sostituito l"'interesse" principale.
È da qui, da questa posizione, che nascono le "conseguenze" gli atteggiamenti accomodanti di fronte ai mali dell'umanità! Una lotta come amore non può non tener conto della radice. Il non estromettersi radicalmente da ogni violenza, da ogni guerra o sopraffazione è "conseguenza" della posizione di fondo
Eccolo mammona! a cui neppure loro hanno saputo resistere. E, come sappiamo bene: «Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona!» (Matteo 6, 24).
Se pensi che la mia lettera sia utile alla "lotta" pubblicala pure sul tuo giornale.
Ti abbraccio condividendo ogni anelito profetico non compreso.

Flavio
Anagni, lì 13 settembre 1986


in Lotta come Amore: LcA ottobre 1986, Ottobre 1986

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