Ritorni

Settembre 1936 - 28 Novembre 1986
"Nessun uomo è un isola / completamente autosufficiente / ogni uomo è parte di un continente / una porzione del tutto / ...la morte di un qualunque uomo mi sminuisce / perché io ho a che fare con l'umanità intera". (J. Donne)
Uno sciame di ragazzetti e ragazzette uomini e donne in abiti da lavoro, il segretario del partito fascista, il pievano del paese ad attendere l'arrivo della diligenza di Adòne; il primo legionario reduce dalla terra d'africa stava per essere accolto con tutti gli onori e con il doppio festivo delle campane. Si era nel 1936, forse nel settembre, avevo dieci anni, cinquant'anni fa. Con fare dimesso dell' uomo abituato ai lavori semplici ed umili "Cacino di Mammoli" scese all'indietro poggiandosi sulla predella in ferro, un giovane piuttosto piccolo, la divisa kaki su cui brillava una crocettina, era sommerso da un cappellone che lo rendeva goffo e impacciato, il casco coloniale, segno della potenza e della vittoria. Riuscii ad essere in prima fila e in quel chiasso festoso dalla voce del segretario risuonarono tradotte in prosa riveduta dalla maestra elementare le strofe di "faccetta nera" una canzone allora in voga per celebrare la sporca guerra di Etiopia: civiltà-liberazione dalla schiavitù-luce di Roma-Duce-Impero-RePatria. Prima di iniziare il corteo di gloria ci voleva la benedizione con l'acqua santa impartita con devozione e con fede. Su Cacino, povero pastore di Mammoli reduce dalla grande avventura di Abissinia testimone del raggiunto "italico sogno di un posto al sole", su tutti noi ubriacati da una propaganda falsa e miserabile, dominava, lì all'incrocio di "Burone" una croce in ferro su di un solido basamento di marmo. A Cacino e a tutti noi "individui a cui è praticamente impossibile valutare i molteplici aspetti relativi alla moralità degli ordini che riceve" (come insegnava una vescovo ai suoi preti) l'impero veniva presentato come una gloria della patria. La gloria della patria fu raggiunta con l'uso indiscriminato di gas asfissianti - primo uso antivigilia di Natale 1935 sul Tacazé - nella battaglia dello Sciaré contro l'armata di ras Immirù, sul massacro del lago Ascinghi e nella battaglia dell'Ogaden; per maggior sicurezza Mussolini diede ordine che Badoglio trasmise ai suoi soldati di mirare anche agli ospedali.

IL SANGUE DEI POVERI
"La tradizione di Roma che dopo aver vinto associava i popoli al suo destino... il popolo italiano ha creato col suo sangue l'impero. Lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi". Ecco il sangue che ha creato l'impero: perdite italiane dal 2 Ottobre 1935 fino al 30 Aprile 1938 (lungo periodo delle operazioni di polizia coloniale) morti 1863 in combattimento e causa ferite 2977 causa servizio o malattie. Totale 4.840: truppe coloniali circa ventimila morti.
Etiopi (o abissini) 275.000 caduti in guerra 75.000 nella guerriglia 50.000 giustiziati dall'azione repressiva 35.000 in campi di concentramento 300.000 morti in seguito a privazioni e alla distruzione dei villaggi. Un milione di italiani sono stati in Africa orientale tra il 1935 e il 1941 quella fu per loro un bella lunga vacanza! Per questo genocidio don Milani chiama in causa la scuola: "saltavo di gioia per l'impero".
"I nostri maestri s'erano dimenticati di dirci che l'etiopi erano migliori di noi. Che andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non ci avevano fatto nulla... quella scuola vile, consciamente o inconsciamente non so, preparava gli orrori di tre anni dopo. Preparava milioni di soldati obbedienti. Obbedienti agli ordini di Mussolini. Anzi per essere più precisi obbedienti agli ordini di Hitler. Cinquanta milioni di morti." (don Milani)
Noi cristiani abbiamo il dovere per l'amore al regno di Dio di chiamare in causa la chiesa italiana non solo per il suo silenzio ma per l'avallo dato alla sporca guerra etiopica (deve essere sfatato il mito - caro a tanti di noi italiani - che il nostro colonialismo sia stato diverso, più umano, più illuminato, più tollerante del colonialismo inglese-francese-tedesco e sudafricano; il 1935 e il 1936 costituì il momento in cui i fascisti per la prima volta avevano conquistato l'appoggio della maggioranza del popolo!).

ITALIA E FEDE
Come illuminazione (giornale Italia e Fede per la diffusione della Fede anche in campo missionario) evangelica buona notizia esportata sulla punta delle baionette fasciste fu dato un fascicolo degli annuali della missione di E. Lucatello: ventidue anni in Etiopia, La Missione di Giustini De Jacobis con prefazione di P. Bargellini dedicato ai cappellani militari d'italia partenti per l'Etiopia. Questi valorosi cappellani della chiesa con le stellette partivano con i soldati italiani per "liberare milioni di anime dall'eresia monofisita e ricondurle nell' ovile di Gesù Cristo, nel seno della chiesa cattolica". I gas asfissianti e le forche usati da questi soldati "teologi" non tennero conto della natura umana degli abissini e furono un ovile sicuro per queste pecorelle smarrite: di fatti Graziani a Debrà Libanos, nel Goggiam, fece fucilare complessivamente quattrocentoventicinque preti e diaconi copti!
Il 2 ottobre 1935 il vescovo di Cremona, (Ma che zelo!) mentre ancora non era noto l'inizio delle ostilità, invitava i veri cristiani a pregare "per quel povero popolo di Etiopia perché si persuada di aprire le sue porte al progresso dell'umanità, e di concedere quella parte delle sue terre, che egli non può rendere fruttifere, alle braccia esuberanti di un altro popolo più numeroso e più avanzato nell'agricoltura e nell'industria". Eccoli i rappresentanti del progresso, eccole le braccia esuberanti "fu proprio a sud di Soddu (Etiopia) che il colonnello Molinero, con la sua colonna, per un tratto del suo cammino, ebbe l'ordine di trasformare in bracieri i villaggi di capanne che incontrava. Subito dopo Molinero ebbe anche l'ordine di raccogliere circa 200 abissini validi e di farli uccidere a raffiche di mitragliatrice, quell'eccidio non fu l'unico: ne avvennero in quell'anni in quasi tutte le regioni etiopiche".
Il 28 ottobre il cardinal Schuster, il mite studioso e quasi monaco benedettino, celebrando una funzione religiosa nel duomo di Milano, glorificava la marcia su Roma come la data "che ha aperto un nuovo capitolo nella storia della penisola, anzi nella storia della chiesa cattolica in Italia" ed affermava, il piissimo monaco, senza perifrasi che "sui campi d'Etiopia il vessillo d'Italia reca in trionfo la croce di Cristo, spezza le catene agli schiavi, spiana le strade ai missionari del Vangelo".

NATALE DI PACE
Il 25 dicembre il vescovo di Ariano Irpino, pronunziando l'omelia natalizia, diceva: "il santo Natale è la festa della pace. Ma, ahimè, il natale di quest' anno non trova in pace la patria nostra" - poveri no, cosa sarà successo? sentite! - "non intendo alludere al conflitto coloniale, che ha lo scopo di aprire le porte dell'Etiopia alla fede cattolica e alla civiltà di Roma" - di fatti furono aperte con i baci perugina e con il profumo dell'incenso - "alludo alla guerra ingiusta, incivile, insensata che ci viene fatta con le cosiddette sanzioni". Come osservare la vigilia del venerdì senza il baccalà inglese? Poveri italiani! Ma non basta: alle soglie del 1936 il vescovo di Bergamo, invocando l'aiuto divino sulla patria in armi osservava: "se restasse soccombente, l'Italia sarebbe diminuita nella sua grandezza e si vedrebbe arrestato il compiersi della sua missione nel mondo".
Rispose un giorno il dotto Schweitzer a chi gli domandava "dottore, se Cristo ritornasse di nuovo nel mondo lei cosa farebbe?" il vecchio lottatore dell'amore e della giustizia rispose: "abbasserei gli occhi dalla vergogna". Tutti noi dovremmo sprofondare per la vergogna per avere ascoltato tali maestri della "missione".

BEA TI I COSTRUTTORI DI PACE
Nella sala di attesa dell'areoporto di Fiumicino ricordai il ragazzino di dieci anni, Cacino di Mammoli imbambolato, la gente che applaudiva, le bandiere tricolori sulla carta geografica dell'Etiopia che avanzavano ogni giorno pulite pulite senza sangue e senza orrori manovrate dalle mani ben curate della maestra: Adua, Gondar, Maicallé, Ambalagi, Neghelli!..
Rumori di aerei, folla che si allestisce all'uscita, un uomo solo dal passo lento e forte, vestito dimessamente con un cappellino lacero in testa, due scarse valige... l'abbraccio con il cuore colmo di gioia e di ringraziamento... Il ragazzino ora è vecchio di sessant'anni che stringe riconoscente le mani di Luigi per questi cinque mesi meravigliosi di "campagna etiopica" per fedeltà agli affetti, le amicizie, la piccola condivisione ad una storia di sofferenza e di speranza. Le sue mani callose nelle mie sono le mani dei nostri ragazzi del capannone, di tutti gli amici del terzo mondo le scure mani dei centosessantacinque ragazzi di Asella, mani di Sirio di Beppe di padre Silvio temperate dal ferro e dall'amore.

(vedi: Enzo Santonelli "Storia del movimento e del Regime fascista" Vol. Il)


Rolando


in Lotta come Amore: LcA gennaio 1987, Gennaio 1987

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